Un suono per mascherarne altri. Un suono che aiuta a rilassarsi, a staccare da tutto e tutti, a dimenticare il rumore fastidioso della vita. A questo serve il rumore bianco: a distrarsi. Un riparo rassicurante a cui si appigliano i protagonisti di questa storia assurda. Apriamo la nostra recensione di Rumore Bianco raccontandovi l’approccio alla vita descritto da Noah Baumbach nel sua commedia grottesca, tratta dall’omonimo romanzo di Don DeLillo. Una storia amara, in cui tutte le grandi certezze borghesi (la famiglia, il lavoro, la fede) vengono ridotte a briciole da eventi grandi e piccoli. Dall’imprevedibilità di un’esistenza che si prende gioco delle nostre ridicole certezze. Accade tutto dentro un film strabordante di temi e spunti, ma che fatica a mettere tutto a fuoco. Una black comedy pienamente radicata nei nostri tempi, che procede a fiammate, con momenti di grande cinema e sequenze parecchio meno riuscite. Venezia 79 si apre così, con un Baumbach a intermittenza.
Rumore Bianco
Genere: Commedia, grottesco
Durata: 136 minuti
Uscita: 30 dicembre 2022 (Netflix)
Cast: Adam Driver, Greta Gerwig, Don Cheadle
La trama: scorie di un matrimonio
Appena tre anni fa il regista newyorkese arrivava a Venezia per condividere una ferita personale. Perché lo splendido Storia di un matrimonio (in concorso nel 2019) aveva il profumo della vita vera. Un film autentico sui dolori della vita di coppia, che parlava in modo semplice di cose complesse. Ecco, Rumore Bianco fa l’esatto opposto partendo da premesse simili. Siamo negli anni Ottanta, al fianco del professor Jack Gladney (esperto di storia hitleriana) e di sua moglie Babette, alle prese con una crisi personale difficile da definire. Entrambi sembrano tenere sotto controllo la loro famiglia ricca, abitata anche da figli avuti in matrimoni precedenti. Una pseudo-normalità che viene sconvolta dall’improvviso arrivo di una nube tossica molto minacciosa. Se con Storia di un matrimonio Baumbach aveva attinto al suo vissuto personale, trovando una commovente naturalezza nel tatto, con Rumore Bianco le cose sono andate molto diversamente. Perché nei dialoghi, spesso sagaci, taglienti e a tratti esilaranti (come nello splendido incipit), si avverte quasi sempre qualcosa di artefatto, qualcosa che tradisce lo stampo letterario del film.
Adam Driver e Greta Gerwig: troppo artefatti
Un artificio di scrittura che toglie autenticità alle performance di un imbolsito Adam Driver e di una svampita Greta Gerwig, incapaci di farci affezionare davvero alle loro anime in pena. Non che l’empatia fosse negli obiettivi di Baumbach, che questa volta preferisce puntare il dito e mettere a nudo le presunte certezze di cui circondiamo. Forse è per questo che manca un vero appiglio emotivo in questa storia d’amore che crede di navigare in acque sicure e invece è in preda alle tempeste. Un film che parte dal generale (una catastrofe collettiva) per scendere poco per volta nel particolare, senza mai diventare davvero intimo. Eppure Rumore Bianco lascia comunque l’amaro in bocca. Una leggera indigestione che ti abbandona a uno scomodo esame di coscienza. La domanda che verrà a galla potrebbe essere questa: quante bugie mi racconto pur di vivere la mia vita?
Il suono della fine
Dilemmi filosofici che attraversano di continuo un’opera molto esistenziale e cinica come Rumore Bianco. Un film pungente, che non risparmia nessuno: l’egocentrismo degli intellettuali, le contraddizioni delle famiglie occidentali, i miti americani. Tutti scudi dietro cui nascondere paure e fragilità negate, affogate per proteggere una parvenza di normalità. Tanti temi che sgomitano e faticano a convivere in armonia. Baumbach ha tante cose da dire (forse troppe), ma finisce con lo sfiorare una marea di spunti senza affondare il colpo e ferire davvero. Peccato, perché la premessa era perfetta e beffarda: un film previsto su Netflix il prossimo 30 dicembre, in pieno periodo natalizio, pronto a destabilizzare le famiglie stesse. Perché delinea una quadro domestico grottesco, assurdo e a tratti persino miserabile. Perché in Rumore Bianco non si salva nessuno. Forse solo i giovani che si informano, sono curiosi e si pongono tante domande, laddove gli adulti fingono di avere tutte le risposte.
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La recensione in breve
Noah Baumbach torna in concorso a Venezia con una black comedy grottesca, che cerca di mettere a nudo le ipocrite convenzioni borghesi, ma non riesce mai a mordere davvero. Colpa di una scrittura troppo letteraria e artefatta, che inibisce la naturelezza di un ritratto familiare (e umano) impietoso.
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Voto ScreenWorld