Nope, terzo lungometraggio scritto e diretto da Jordan Peele dopo i successi di pubblico e critica ottenuti da Scappa – Get Out e da Noi è un film che, ancor più dei suoi tentativi precedenti, spinge le ambizioni dell’autore e le aspettative del suo fedele pubblico verso picchi irraggiunti fino ad ora nel suo cinema. Non solamente horror e nemmeno smaccatamente sci-fi, impossibile da classificare come film d’avventura o semplice thriller sovrannaturale, il Nope di Jordan Peele è la pellicola più stratificata e pregna di allegorie del cineasta premio Oscar, fino ad oggi.
Una stratificazione complessa di temi, di allusioni, di suggestioni ed omaggi cinematografici che si fa ancor più sorprendente se si mette per un attimo da parte l’ambizione da thriller sociale e si analizza la confezione di inedito blockbuster estivo. Sì, perché Nope sa funzionare al suo meglio anche e soprattutto quando celebra ed omaggia spudoratamente la grande tradizione del film estivo da sfracelli al botteghino, primo fra tutti l’immortale Lo squalo di Steven Spielberg. Quest’ultimo ha cambiato per sempre non soltanto il sistema della distribuzione cinematografica moderna, ma ha ridefinito il concetto stesso di blockbuster, ispirando centinaia di appassionati e cineasti che ancora oggi non possono fare altro che omaggiare lo stile e i temi affrontati dal cult di Spielberg. Jordan Peele è uno di questi e vi spieghiamo il perché.
Attenzione: saranno presenti spoiler su Nope.
Il poster: dal basso verso l’alto, dall’alto verso il basso
Partiamo banalmente dalle immagini promozionali di entrambi i film. Nel celeberrimo poster de Lo squalo di Steven Spielberg le mascelle possenti e minacciose del predatore marino affiorano dalle profondità del mare per ghermire la bagnante che sta nuotando sul pelo dell’acqua. Un pericolo dal basso verso l’alto che alla sua uscita nelle sale ha profondamente turbato l’America degli anni ’70 generando isterie di massa sulle spiagge di tutti gli Stati Uniti. Parallelamente, anche le immagini promozionali di Nope sembrano richiamare il movimento dal basso verso l’alto, con la differenza che nel film di Jordan Peele la minaccia senza nome arriva con tutta la sua violenza a turbare le vite dei protagonisti dall’alto del cielo.
La navicella (?) aliena di Nope si nasconde argutamente tra le nuvole che sovrastano il maneggio per cavalli di OJ ed Emerald Haywood (rispettivamente, Daniel Kaluuya e Keke Palmer) seminando morte e distruzione nella Santa Clarita Valley. L’orrore senza nome arriva in questo caso dall’alto verso il basso, in comunione quasi antitetica con le profondità degli oceani da cui proviene il sanguinario predatore di Spielberg.
Paura dell’ignoto
Si potrebbe quindi affermare che entrambi i lungometraggi si pongono come analisi cinematografica sull’origine della paura negli esseri umani nella società post-moderna. Nel film di Steven Spielberg la paura dell’ignoto arrivava dalle oscure ed inesplorate profondità degli abissi, quasi lo squalo volesse insozzare con la sua carica di inaudita violenza e truculenza le sonnacchiose e spensierate tradizioni da spiaggia ed ombrellone di un’America in pieno decollo economico a metà degli anni ’70. Jordan Peele, che invece sta costruendo una preziosa cinematografia di genere sulla figura della black people nella società americana di ieri e di oggi, mantiene intatta la sua impronta di forte invettiva sociale raccontando un’altra America, quella in cui l’impossibile diventa possibile, dove un manipolo di fratelli di colore riesce a catturare e sconfiggere l’ignoto terrore dai cieli in un’avventurosa caccia alla creatura senza esclusione di colpi. Vi ricorda qualcosa?
Dove li abbiamo già visti?
Già, impossibile non pensare a Lo squalo quando si va a vedere Nope, tanto che i personaggi principali del film di Peele potrebbero funzionare alla perfezione come ipotetici “avatar” di quelli che popolavano il capolavoro di Spielberg. Se l’OJ di Kaluuya e la Emerald di Keke Palmer ricordano da vicino lo spavaldo Brody di Roy Scheider, lo stesso si può affermare dell’Angel Torres interpretato da Brandon Perea in Nope. Esperto installatore di videocamere di sorveglianza ad altissima tecnologia, sarà un braccio destro fondamentale per i due Haywood nel dare la caccia al mostro dei cieli, un po’ come lo era stato Richard Dreyfuss con il suo Hooper in Lo squalo, esperto di biologia marina che darà man forte alla missione di Brody.
Ma i parallelisimi tra i personaggi dei due film si sprecano. Sembra quasi naturale rivedere nel superbo regista di documentari Antlers Holst (Michael Wincott) e nell’avventato Jupe Park (Steven Yeun) sprazzi del Quint di Robert Shaw nella pellicola di Spielberg. Nei rispettivi film, questi si avvicinano talmente tanto alla creatura da domare che ne rimangono letalmente scottati, come moderni prometei: Quint viene divorato vivo dal predatore degli abissi, il regista Holst ingoiato dalle fauci dell’alieno dei cieli mentre cerca di catturarlo con la videocamera. Stessa sorte per Park, risucchiato dal mostro senza nome nel corso di un’esibizione circense dal dubbio valore morale. Destini cinematografici che si intrecciano a 46 anni di distanza dall’uscita del caposaldo di Spielberg, quando Peele scrive la sua nuova sceneggiatura tenendo bene a mente la lezione e i personaggi del primo blockbuster estivo della storia.
Costruire la tensione
Un caposaldo del cinema americano di genere che il cineasta premio Oscar per Scappa – Get Out omaggia non solo nella costruzione dei suoi protagonisti, ma anche nell’intelaiatura della tensione narrativa. Forse molti non sanno che durante la lavorazione de Lo squalo, Spielberg e il suo team trovarono non poche difficoltà nell’usare l’animatronic del predatore per girare alcune scene chiave. Spesso e volentieri il “pupazzo” non voleva saperne di funzionare, e così il regista decise di riscrivere alcune sequenze senza mostrare direttamente lo squalo allo spettatore ma suggerendone la presenza con un abile lavoro di regia, montaggio e colonna sonora. Un escamotage perfetto per generare tensione e che negli anni a venire ha fatto scuola.
Una lezione preziosissima che Peele ha immediatamente fatto sua nel descrivere la creatura ignota dei cieli. Per buona parte del suo terzo film, il regista non mostra chiaramente le fattezze e la natura dell’UFO che miete vittime e terrore dall’alto, suggerendone la virulenza con la costruzione di efficaci sequenze notturne e concitate scene d’azione avvolte dalla densissima sabbia del deserto californiano. Un modo anch’esso per instillare nell’audience della sala cinematografica dubbi, tensione e genuino terrore.
“Apri la bocca, figlio di puttana!”
Un ultimo spunto di riflessione. Se il Nope di Jordan Peele funziona alla grande è anche perché sa raccontare con originalità ed intelligenza la nevrosi tutta contemporanea dell’apparenza, dell’essere al mondo “qui ed ora”, di documentare gli attimi più ordinari della nostra vita in immagini, fotografie e parole da condividere con la comunità tramite i social network. Un esercizio di narcisismo quotidiano che si riflette nella ricerca spasmodica dell’immagine perfetta della creatura dei cieli, la cui pubblicazione potrebbe cambiare per sempre la vita dei fratelli Haywood.
Una missione che va a buon fine al termine del film di Peele, e che rievoca ancora una volta in maniera suggestiva l’iconica conclusione de Lo squalo di Spielberg. Nelle immagini finali di quest’ultimo, Brody punta il fucile contro un serbatoio per provocare un’esplosione che possa uccidere una volta per tutte il predatore marino; prima di infierire il colpo fatale, il protagonista urla, “Apri la bocca, figlio di puttana!“. Un’esclamazione che nella versione originale sembra ancor più adatta ai fini del parallelismo con il film di Peele: “Smile, you son of a bitch!” (“Sorridi, figlio di puttana!“), come se la creatura dei mari fosse esortata a posare per uno scatto fotografico prima dell’affondo finale. Anche questa volta, un richiamo incredibilmente adeguato alle ambizioni e ai temi sopracitati della pellicola di Jordan Peele. Una confezione perfetta ed intelligente che ci ha convinto di quanto Nope sia probabilmente il miglior omaggio che si potesse fare oggi al capolavoro di Steven Spielberg.
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