Tenet è la summa della poetica di Christopher Nolan, che se ne sia rimasti soddisfatti o meno. Che si ritenga oppure no il miglior lavoro dell’autore britannico. Perché molte volte non si tratta di analizzare la presa o la qualità di un prodotto, né delle abilità tecniche o dello scossone che può provocare un’emozione, bensì di mettere in prospettiva un quadro più grande in cui veder poi andare a confluire tutti i pezzi di un affresco più espanso, diretti in un’unica direzione, che è quella dell’espressione massima della voce di un artista. Nonostante infatti i suoi mille effetti speciali, nonostante le costruzioni digitali e le impalcature tecniche del cinema più moderno di Nolan, è sempre stata la ricerca dell’autenticità anche all’interno dell’incredibile ad aver contraddistinto il cineasta.
Il quale voleva farci credere nella malleabilità dell’architettura di Parigi nell’intricato Inception, che voleva i gadget e i mezzi del suo Cavaliere Oscuro non semplicemente hi-tech, ma agili e performativi e che nella ricostruzione di un pezzo della storia contemporanea ha ricercato le vere imbarcazioni che hanno coinvolto la spiaggia di Dunkirk con i suoi soccorritori. Una coerenza della verità nella messinscena della finzione, come una finestra spalancata sulle opportunità che continuano a venir concesse a uno dei registi e sceneggiatori mainstream più divisivi della propria epoca, tanto da ironizzare sull’utilizzo di una vera bomba atomica per il film Oppenheimer (cosa ovviamente impossibile, state tranquilli) mentre con un cast esorbitante ripercorre le tracce lasciate dal fisico.
Andare indietro nel tempo, ma come?
Pur non arrivando direttamente alla scissione dell’atomo e tornando alla pellicola di Christopher Nolan del 2020, era comunque un aereo reale quello coinvolto in una delle scene più iconiche della pellicola, nonché spostato avanti e al contrario, proprio come l’impalcatura del film richiedeva, secondo l’immaginario delineato dall’autore. Nell’iperrealismo della fiction, in cui le cose desiderano risultare talmente vere da assumere un alone di irrealtà, Tenet è l’espressione cinematografica per eccellenza di tale risultato, dove ogni elemento viene ricreato al massimo delle potenzialità artigianali restituendo però il corrispettivo di un mondo non riscontrabile in natura, bensì solamente nella nostra fantasia.
Esattamente come l’intero cinema di Nolan. Come le opere di un autore che si è mosso nell’elaborazione di scene e racconti tutti volti al riassemblaggio di puzzle messi però insieme secondo la propria forma, che, pur corrispondendo alla realtà, molto spesso riusciva a restituirne una visione insolita e inaspettata. Muovendo l’enorme aereo in una delle sequenze centrali di Tenet, mettendo in piedi un set che fosse tangibile per poterlo poi riportare all’indietro sul grande schermo con la modalità dell’inversione del tempo, Nolan combina l’eccesso e la minuzia. Mescola la materia con ciò che sarebbe solitamente impossibile da gestire, da toccare, piegando le linee narrative a proprio piacimento e costruendo una storia che possa svolgersi tutta all’indietro. Anche con un aereo di mezzo.
Macchine che schizzano all’inverso, pallottole che rientrano nelle canne delle pistole, personaggi che si osservano attraverso uno specchio guardando coloro che sono dall’altra parte, i quali agiscono andando controtempo. La manipolazione di uno dei principi dell’universo si abbina perfettamente alle manie egoriferite di un regista che è sempre stato in grado di contenere tali deliri di onnipotenza facendone proprio uno dei suoi tratti stilistici e permettendogli di spostarsi in questo modo oltre il concepibile, come nella memoria di Memento o nel cosmo di Interstellar. Tutta la grandezza perseguita da Nolan, le sue scene mastodontiche e le opportunità che vengono offerte dall’obiettivo cinematografico anche nella delineazione delle sue storyline, confluiscono perciò nell’opera forse meno appassionante, meno esaltata e meno amata della sua filmografia, eppure indubbiamente la più rappresentativa.
Benvenuto nel mondo del mago di Oz
Per Christopher Nolan Tenet è il suo Il mago di Oz. Lo è per l’occasione che offre alla cinematografia di poter plasmare mondi che non esistono, per aver condotto i suoi protagonisti dal loro Kansas (la vita normale, lineare) e aver trasformato a colori un universo che, per il protagonista interpretato da John David Washington, fino a quel momento era stato sempre ben suddiviso, separato nella dicotomia di bianco e nero.
Quando le porte di un universo al contrario si aprono di fronte del protagonista, il quale non ha nome proprio perché, come tutti gli eroi delle storie, incarna l’archetipo dell’eroe alle soglie di un viaggio, vediamo nei suoi occhi la consapevolezza di trovarsi in un luogo a lui sconosciuto in cui le regole a cui si era sottoposto fino a quel momento sono state completamente trasformate. Una dimensione in cui l’uomo deve imparare tutto di nuovo: come muoversi, come spostarsi, come gestire addirittura la propria respirazione. È Dorothy che si immette sulla strada di mattoni gialli e, per percorrerla, inizia a saltellare a suon di musica accompagnata da amici e passi di danza.
Oltre l’arcobaleno per il personaggio di Washington c’è un mondo che va al contrario rispetto a come dovrebbe, di come gli è stato insegnato, e che si piega alle regole degli uomini i quali, però, dovranno affrontarne le conseguenze. Ma è comunque un percorso necessario per poter tornare a “casa”, per rimettere i piedi in Kansas in cui i gabbiani non volano al contrario, le navi non sfiorano la superficie dell’acqua all’indietro e in cui tutto torna a scorrere in modo abituale. Come nella filmografia di Christopher Nolan, che da ora in poi potrà continuare nell’ampliamento della sua carriera, la quale vedrà per sempre Tenet come un punto fisso, per l’appunto, nel tempo.
C’è un prima e un dopo le porte spalancate su un John David Washington e quel primo piano che nei suoi occhi racchiude il barlume e la curiosità degli spettatori in procinto di muovere il primo passo all’inverso. C’è un film che è l’emblema di una cinematografia che ha raggiunto la cima della propria teorizzazione, che può ora voltarsi e proseguire nella direzione che più desidera, avanti o indietro che sia.