C’è un sinistro senso di ineluttabilità che grava su quest’ultima stagione di Better Call Saul, e non potrebbe essere altrimenti. Si tratta di una caratteristica endemica al concetto stesso di prequel: una storia che avanza verso un destino già segnato e in cui gli spettatori ben sanno cosa il futuro ha in serbo per i personaggi. Con il susseguirsi dei suoi sei capitoli, tale aspetto ha acquisito una rilevanza sempre maggiore per Better Call Saul: una serie in cui i colpi di scena e le svolte improvvise convivono con la cupa fatalità che sembra ammantare la provincia di Albuquerque, luogo-simbolo di una “terra di frontiera” in cui la civiltà è lambita da un deserto senza fine e la solidità della legge è intaccata da un brulicante microcosmo criminale.
La legalità e il crimine, la sorpresa e il destino sono le antinomie su cui si innestano due puntate complementari della stagione 6 di Better Call Saul: Il piano e l’esecuzione, che il 24 maggio aveva interrotto con uno scioccante cliffhanger la prima manciata di episodi, e Punti e premi, che il 12 luglio ha aperto l’ultimo segmento della serie creata da Vince Gilligan e Peter Gould. Il piano e l’esecuzione, ambientato nel ‘mondo’ degli avvocati, suggellava in maniera esemplare la natura di legal drama di Better Call Saul, con lo “scacco matto” assestato all’ignaro Howard Hamlin mediante uno spietato raggiro; in Punti e premi, al contrario, è l’universo del crimine a irrompere sulla scena, fagocitando tutto il resto e ritrasportando la serie nei territori del puro thriller.
Jimmy, Kim e la perdita dell’innocenza
Opera dal carattere bifronte, ancor più del suo predecessore, Better Call Saul sta giungendo in prossimità dell’epilogo con un obiettivo ben preciso: chiudere le linee narrative che non hanno alcuno spazio in Breaking Bad e condurre la parabola di Jimmy McGill, l’ingegnoso avvocato interpretato da Bob Odenkirk, nella direzione che lo vedrà aderire appieno all’identità con cui lo abbiamo conosciuto per la prima volta nel lontano 2009, ovvero quella di Saul Goodman. Se Breaking Bad raccontava la progressiva adesione al male di un uomo qualunque come Walter White, il ‘bianco’ contagiato dall’avidità e dal delirio di onnipotenza, Better Call Saul è nato attorno a un protagonista presentato da subito come un individuo scaltro e moralmente ambiguo, per poi illustrare le conseguenze via via più drastiche delle sue scelte.
Il piano e l’esecuzione ce lo ha mostrato superbamente: l’inganno perpetrato ai danni di Howard Hamlin è andato oltre la specifica battaglia legale, arrivando a distruggerne la credibilità e la carriera. E negli ultimissimi minuti dell’episodio, la rabbiosa invettiva di Howard metteva in luce proprio questo: la malvagità intrinseca delle azioni di Jimmy e della sua partner Kim Wexler. Ed è appunto Kim, a cui presta il volto la bravissima Rhea Seehorn, l’altra figura-chiave di Better Call Saul: abile avvocatessa, donna altruista e generosa, Kim si è lasciata ‘convertire’ da Jimmy a poco a poco, in maniera quasi inconsapevole. Dal ruolo iniziale di “grillo parlante”, la ritroviamo ora complice a tutti gli effetti del compagno, disposta a ricorrere a un modus operandi che le sta facendo abbandonare i suoi scrupoli etici.
Una resa dei conti, aspettando il destino
Ma in Punti e premi, che inaugura l’atto finale di Better Call Saul, né Kim né Jimmy sono al centro della trama: lei è costretta ad agire come una semplice pedina, recandosi con una pistola in pugno all’abitazione di Gus Fring, salvo essere intercettata dalla sua vigile guardia del corpo Mike Ehrmantraut; lui trascorrerà quasi tutto il tempo legato a una sedia, accanto al cadavere di Howard, mentre dalla TV accesa risuona la voce squillante di Judy Holliday in Nata ieri (è un altro, delizioso saggio della propensione di Gilligan per lo humor nero, con la stridente sovrapposizione fra un classico della commedia hollywoodiana e il letterale “bagno di sangue” nel salotto di Jimmy e Kim). A dominare l’episodio, invece, è la resa dei conti fra Lalo Salamanca e Gus Fring, con un sanguinoso faccia a faccia consumato nel laboratorio sotterraneo di Gus, un luogo emblematico dell’immaginario di Breaking Bad.
Chiunque abbia visto la serie cult con Bryan Cranston (imminente guest star in Better Call Saul) non avrà avuto dubbi sull’esito di tale scontro: il clan dei Salamanca è avviato a una distruzione quasi totale, mentre il Gus Fring di Giancarlo Esposito, la cui freddezza è l’opposto del sadico istrionismo di Lalo, diventerà da lì a breve un incontrastato boss del narcotraffico. Non potendo contare più di tanto sulla suspense, Gilligan (regista) e Gordon Smith (sceneggiatore) riescono comunque a rendere Punti e premi uno degli episodi più tesi ed elettrizzanti di Better Call Saul, trasformando il confronto fra Lalo e Gus in una “discesa agli inferi” da cui uno soltanto uscirà vivo. L’altro sarà seppellito insieme al corpo di Howard, sotto lo sguardo spento (rassegnato?) di Mike. L’ineluttabilità, appunto: i cadaveri di due uomini che hanno incrociato le proprie strade solo per un breve, fatidico istante, ma condannati a condividere la medesima tomba negli abissi di un futuro impero del crimine.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!