Era il 31 luglio 1992 quando debuttava nelle sale statunitensi il curioso progetto cinematografico di Robert Zemeckis, dopo il successo di pubblico e critica di Ritorno al Futuro – Parte III; il cineasta americano lasciava gli anni ’80 con ottimi risultati al botteghino, grazie alla trilogia fantascientifica con Michael J. Fox e Christopher Lloyd e il rivoluzionario Chi ha incastrato Roger Rabbit? del 1988. Quest’ultimo titolo aveva portato al settore degli effetti speciali dell’industria cinematografica una rivoluzione senza precedenti (fu il primo a mescolare animazione tradizionale e riprese live-action con l’aiuto della CGI dell’Industrial Light and Magic), a cui però fece seguire, nel 1992, un titolo dalle ambizioni decisamente differenti dal precedente campione d’incassi: stiamo parlando della commedia nera La morte ti fa bella.
Un vero e proprio (s)cult, che all’uscita venne letteralmente massacrato dalla critica e dal pubblico, ma che negli anni successivi si trasformò lentamente in uno straordinario evento da passaparola, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove occupa un posto privilegiato tra i film camp più amati del cinema post-moderno e tra i più seminali della filmografia di Robert Zemeckis. Festeggiamo quindi i trent’anni dall’uscita nelle sale de La morte ti fa bella celebrandone gli elementi più innovativi, quelli che ancora oggi lo rendono uno di quei film da imparare tutto a memoria, parola per parola, dialogo per dialogo.
Il film più anarchico di Robert Zemeckis
Carico del successo commerciale della saga di Ritorno al Futuro e di Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Robert Zemeckis decise di voltare pagina in cabina di regia per un lungometraggio più piccolo, meno costoso ma allo stesso tempo altrettanto ambizioso; basato su una sceneggiatura originale curata da David Koepp e Martin Donovan, La morte ti fa bella sarebbe diventato, e a ben vedere lo è tutt’oggi, il film più anarchico della carriera di Zemeckis, certo il più sbeffeggiato alla sua uscita, ma anche quello che con il tempo avrebbe raccolto i frutti migliori della sua semina. Non è un caso, difatti, che Death Becomes Her (il titolo originale della pellicola) sia uno dei lungometraggi più quintessenziali nella carriera del cineasta statunitense. Il racconto camp e sopra le righe dei destini della star del cinema in declino Madeline Ashton (Meryl Streep), della scrittrice in erba Helen Sharp (Goldie Hawn) e della loro ridicola rivalità amorosa nei confronti dell’ingenuo Ernest Menville (Bruce Willis), è quanto di più simile a una curiosa commistione tra gli elementi tipici della commedia di George Cukor e La notte dei morti viventi di George A Romero. Senza dimenticare i toni gore e sopra le righe de I racconti della cripta. Un mélange cinematografico semplicemente esplosivo che è riuscito a mescolare in totale anarchia slapstick comedy, effetti visivi all’avanguardia, una critica spudorata ai meccanismi tossici dello show business e una riflessione originalissima sulla smania tutta contemporanea della chirurgia estetica. Un mix che era semplicemente troppo per la stampa e il pubblico del tempo, che di Zemeckis avevano conosciuto e apprezzato titoli ben più mainstream.
Il racconto della cripta definitivo
Non è affatto un caso che Robert Zemeckis abbia intervallato i suoi grandi successi cinematografici nel corso degli anni ’80 con la regia di alcuni dei più riusciti episodi della serie televisiva antologica I racconti della cripta; tutto sommato, La morte ti fa bella non è che un esperimento destinato alla sala cinematografica sulla falsariga di ciò che il regista aveva già esplorato nei lungometraggi da lui diretti per la serie horror: racconti dal carattere squisitamente sovrannaturale, carichi però di spiccata ironia e riflessioni sociali, proprio come Death Becomes Her. Un film di certo impreziosito da interpreti di grandissimo richiamo per il pubblico (i premi Oscar Meryl Streep e Goldie Hawn, ma senza dimenticare la messa in gioco di Willis come inedita slapstick star), ingannato però da una commedia che prometteva di mettere alla berlina vizi e virtù di certe convinzioni dello show business e che invece si è trovato davanti un horror in piena regola sulla paura di invecchiare e sui pericoli della chirurgia estetica. La morte ti fa bella, a tal proposito, funziona alla perfezione anche come riflessione parossistica sulla caducità dei corpi umani.
Un film che sa di putrefazione
Tutto il film diretto da Robert Zemeckis sa di putrefazione, odore che emana dai corpi in decadenza dei suoi protagonisti; a partire da quello di Helen Sharp, che da scrittrice con qualche chilo di troppo si trasforma in rossa in splendida forma, oggetto di invidia della sua amica e rivale in amore Madeline Ashton, ex-diva del cinema che non riesce più a fare i conti con la sua incombente vecchiaia. Le due cadranno vittima di un elisir di lunga vita offertogli dalla misteriosa 75enne “in splendida forma” Lisle Von Ruhman: “Una sola goccia e non invecchierete mai più di un giorno!”, tuona la Rhuman, interpretata da una sensualissima Isabella Rossellini. E così sarebbe dovuto accadere, se non fosse che Madeline precipita dalle scale di casa dopo un violento litigio con il suo Ernest rompendosi il collo, mentre Helen riceve una fucilata in pieno petto; tutte e due sopravvivono alla morte, una con il collo letteralmente al contrario, l’altra con un vero e proprio buco in piena pancia. Due morte viventi dai corpi sghembi, cartooneschi, desiderose di qualcuno che avrebbe potuto rimetterle a posto una volta per tutte. La scelta guarda caso ricadrà su Ernest, truccatore professionista di cadaveri. Un’amara ironia della sorte.
Viale del tramonto in chiave horror
I ritocchi chirurgici di Ernest ai suoi due “cadaveri eccellenti” non risolveranno però gli effetti devastanti dell’elisir di lunga vita di Lisle; con il passare degli anni, i corpi di Madeline e Helen subiscono il lento e inesorabile decadimento del tempo, trasformandosi in manichini ambulanti con parti anatomiche in orrorifica, libera caduta. Del resto, la Rhuman aveva detto loro che la pozione magica non le avrebbe più fatte invecchiare, ma nulla era stato rivelato circa le conseguenze sul corpo con il passare dei decenni. Un contrappasso perfetto ed efficace per le due protagoniste, dive in decadenza che, a guardar bene, sembrano uscite da una parodia camp della Gloria Swanson di Viale del tramonto, “pronte per il loro primo piano”.
A trent’anni dal debutto in sala, La morte ti fa bella è il testimone cinematografico perfetto delle varie istanze che avevano mosso la poetica di Zemeckis fino ad allora: dall’uso di effetti visivi all’avanguardia (il film vinse poi l’Oscar di categoria) al gusto per il racconto di un vero e proprio monito sociale dai toni inquietanti ed esasperati. Il racconto della cripta definitivo di Robert Zemeckis è anche il suo personale Viale del tramonto in chiave horror. Che per fortuna gode ancora oggi di un successo a posteriori e di un seguito accanito, capace di recitare ogni singola battuta del film, parola per parola. Mica male per un ironico lungometraggio che sbeffeggiava la morte, e che invece sembra più vivo e vegeto che mai.