“Ne parliamo domattina“.
È una delle primissime battute di uno dei videogiochi più famosi, celebrati e straordinari degli ultimi dieci anni. La pronuncia un uomo al telefono, che non vede l’ora di sedersi sul divano e ignora che di lì a poco, dopo aver ricevuto un orologio come inaspettato regalo di compleanno, la sua vita cambierà radicalmente. L’uomo si chiama Joel ed è il protagonista di The Last of Us, il capolavoro targato Naughty Dog che nel 2013 sconvolse e sorprese milioni di giocatori.
Dal taglio fortemente cinematografico e una scrittura sopraffina, The Last of Us venne salutato come uno dei migliori giochi della generazione PS3. Non sorprese nessuno quando, un anno dopo, venne proposta una versione rimasterizzata e migliorata per la generazione successiva di console. The Last of Us Remastered presentò parecchie migliorie rispetto all’originale uscito un anno prima, inserendo anche un DLC prequel dal titolo Left Behind. Il resto è storia.
Con un balzo di sette anni si arriva al giugno 2020. Il sequel tanto atteso, dall’efficace titolo The Last of Us – Parte II si dimostra l’ultima grande opera per PS4, ormai pronta a cedere il passo alla next-gen. Divisivo per i giocatori, ma acclamato dalla critica, la nuova fatica di Neil Druckmann, direttore creativo, si dimostra un caso più unico che raro: un capitolo capace di sviluppare e donare ulteriore forza all’originale, dimostrando che la saga post-apocalittica – presto anche una serie tv – è un fenomeno che sembra non conoscere rivali. E come spesso capita a tutto ciò che diventa troppo celebrato, diventerà un bersaglio troppo grande da poter mancare.
Giugno 2022. Trapela una data, trapelano un trailer e una notizia: è in arrivo una nuova edizione del primo capitolo. The Last of Us – Parte I uscirà a settembre per PS5, promettendo una grafica ancora una volta migliorata e un sistema di gioco rinnovato completamente. I pareri nei social esplodono, ma è una bomba che lascia un’onda d’urto diversa dal previsto. Chi aveva bisogno di una nuova versione del primo capitolo a così pochi anni di distanza dalla prima Remastered?
Questa volta sembra proprio che l’orologio regalato a Joel da sua figlia Sarah nelle prime scene del gioco sia rotto davvero. Un eccessivo sfruttamento può aver rovinato la nomea e il valore di un’opera come The Last of Us? Ma, soprattutto, siamo arrivati al punto di non ritorno nel vedere riproposte nuove versioni degli stessi giochi?
L’eterno ritorno
È intorno a noi e non possiamo farne a meno. Siamo immersi in un oceano di nostalgia, dove sembra mancare sempre di più l’apertura alla curiosità verso l’incognito. Troviamo uno strano ma soddisfacente piacere nell’essere circondati da tutto ciò che riteniamo rassicurante. Che siano le canzoni del cuore, i film che amiamo, le storie che ci si sono incollate addosso. Sappiamo bene cosa vogliamo e lo cerchiamo instancabilmente con l’obiettivo di provare le stesse emozioni della prima volta. Lo si nota, per esempio, dai successi cinematografici degli ultimi due anni, dal bisogno impellente di racchiudere personaggi, storie e capitoli in un canone narrativo riconoscibile. Ci interessiamo del brand e del marchio consolidato, dubitiamo della novità, tanto da respingerla facilmente.
Non sorprende che uno dei titoli meglio accolti della storia videoludica recente possa presentarsi in una nuova versione per una console che sembra essere ancora di difficile reperibilità, bisognosa di giochi e di esclusive. Bisognosa di vita. Quale modo migliore per farlo se non inserirsi nella moda dei remastered, che da qualche anno – con operazioni più o meno riuscite – ha acquisito sempre più importanza? Guardiamo l’orologio: forse il tempo che stiamo dando alle cose sta correndo troppo velocemente. Nove anni possono essere abbastanza per l’ennesimo upgrade di un gioco disponibile per ogni console targata Sony delle ultime tre generazioni. Le novità presenti all’interno di questa Parte I potrebbero giustificare l’ennesimo acquisto. L’eterno ritorno intriso di nostalgia per rivivere qualcosa che ci ha lasciato un segno.
Abbiamo una scelta
Verità o bugia. Etica contro interesse personale. Il dilemma finale di Joel, quello di essere sincero con Ellie o vivere nella menzogna, è una scelta compiuta con dolore nei confronti della giovane ragazza e di sé stesso, un giuramento sconsacrato che chiude un primo capitolo e lascia un alone terribile nel sequel. Potremmo riassumere tutte le ore di gioco di The Last of Us con una semplice descrizione: la storia di una scelta.
In un mondo post-apocalittico e denso di morte come quello rappresentato nel gioco, scegliere è l’azione più umana possibile. Quindi dettata dalle emozioni, dolorosa e imperfetta.
Forse proprio quel senso di sicurezza mancante da sotto i nostri piedi ci porta a dimenticare che possiamo scegliere.
In parole povere, se non ci riteniamo pronti a rivivere la storia di Joel ed Ellie su PS5 non siamo costretti a farlo.
Le calde reazioni all’annuncio di The Last of Us – Parte I, quasi scandalizzate dall’operazione commerciale, sembrano partire dal presupposto di dover procedere con l’acquisto obbligato della nuova versione del gioco, come fosse un cartellino da timbrare controvoglia, un giro di giostra su cui non vogliamo salire. Invece, possiamo farci bastare quello che già abbiamo giocato. Possiamo scegliere.
“Eppure in qualche modo”
Sarebbe facile vedere in tutto questo solo un’operazione puramente economica, una mucca che viene munta più del dovuto e che, di conseguenza, si attira delle antipatie da parte di chi predilige la creatività e un approccio puramente artistico al medium. La domanda più comune che ci si pone in questi casi è sempre e sola una: avevamo bisogno di una nuova versione di The Last of Us?
Facciamocene un’altra, più provocatoria: e se la risposta fosse “Sì”?
The Last of Us sembra non appartenere a una precisa generazione di console, e quindi a una precisa generazione di giocatori. Forse quel famoso orologio non è rotto, ma siamo noi che, ogni volta che guardiamo il quadrante, troviamo le lancette più o meno alla stessa ora. Perché la forza della storia di Joel ed Ellie sta nella sua costante contemporaneità. Una storia sempre uguale a sé stessa, eppure diversa in base al momento in cui la giochiamo. È la migliore dimostrazione dello slogan di queste pagine: The Last of Us sembra presentare continuamente il mondo attraverso lo schermo, non invecchiando mai. Rendendo ogni nuova versione non tanto una variazione, quanto una nuova finestra da cui osservare. Casualmente è proprio una finestra l’immagine presente nel menù principale del gioco.
L’importanza della scelta, il viaggio verso l’ignoto, la possibilità di conoscere, legarsi, parlarsi, emozionarsi. Anche “combattere” dividendosi in fazioni. Un clima da fine del mondo, la paura di smarrirsi e il timore di restare soli. Tutti temi così universali da risultare costantemente attuali e, quindi, meritevoli di essere riproposti, generazione dopo generazione. È quello che succede ai classici letterari, costantemente ristampati in edizioni tascabili, di pregio o illustrate. Si tratta del migliore traguardo per un medium troppo spesso relegato ai margini e demonizzato come quello dei videogiochi. Un traguardo che può trasformare una moda economica, come quello delle versioni rimasterizzate, in una necessità non tanto per far ritornare i giocatori, ma per crearne di nuovi.
Il passato nostalgico potrà diventare la curiosità del futuro?
Ne parliamo domattina.
Caro papà, vediamo… Non sei mai nei paraggi, odi la musica che preferisco, praticamente disprezzi i film che mi piacciono, eppure in qualche modo riesci ancora ad essere il miglior papà ogni anno. Come ci riesci? 🙂
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