È furbo Tron: Ares, perché proprio quando il mondo si chiede delle implicazioni sociali, professionali e morali dell’utilizzo delle Intelligenze Artificiali, ecco che il tema viene preso di petto e affrontato con ampio respiro. In un quotidiano dove ci aspettiamo che il cinema come l’audiovisivo in generale possa dare una risposta ai tempi che stiamo vivendo (vedi il caso di La voce di Hind Rajab), Disney ha il tempismo giusto per togliere la polvere dal motociclo di Tron e farlo correre nuovamente – questa volta fuori da un server – per illuminare le nostre fredde cittadine. Scelta giusta? A tratti.

Per anni il Cinema ci ha aiutato a entrare in mondi fantastici o digitali, a creare da zero realtà immaginifiche. Adesso il viaggio è contrario: il mondo digitale prende forma nella nostra dimensione, ma solo per pochi minuti. E se un programma senziente, la miglior IA mai addestrata e creata, volesse andare oltre questo minutaggio e ottenere lunga vita? E se un programma volesse diventare un uomo?

Da Tron: Ares a Pinocchio

Corsa sui motocicli in Tron Ares
Corsa sui motocicli in Tron Ares – ©Disney

Si sprecano i parallelismi con gloriose opere immortali e pop: i riferimenti a Blade Runner, Pinocchio o Frankenstein sono molteplici, perché nella ribellione di Ares – un risveglio sensoriale grazie alla delicatezza della pioggia, emozione non convertibile in dati digitali – c’è la conseguente voglia di non essere più un programma di distruzione, ma di abbracciare una filosofia pacifista e zen dove la perfezione dell’individuo passa dalla centralità dell’essere umano con il resto del mondo.

Qui nascono i problemi di semplice e naturale logica: il processo che porta Ares a ribellarsi al suo tiranno creatore, abbracciando la crociata umanitaria della Encom del genio di Kevin Flynn, è fin troppo superficiale e rende i protagonisti freddi, insipidi. Lo stesso Jared Leto prova a dare spessore ai dilemmi esistenziali di Ares, ma il più delle volte scade in un ridicolo ingiustificato.

Nonostante ciò, sulla superficie c’è tanto materiale lasciato un po’ in balia degli eventi: il discorso attualissimo sul ruolo delle Big Tech e la corsa agli armamenti per eserciti privati e non. Pur presentando diversi punti su cui avviluppare altrettante sfumature, si sceglie sempre la strada più semplice e veloce, costruita su una sceneggiatura che risponde a domande che nessuno si è posto, seguendo pedissequamente le crisi esistenziali di Ares e arrivando presto al tedio.

Un lunghissimo videoclip musicale

Ares e gli altri protagonisti in Tron Ares
Ares e gli altri protagonisti in Tron Ares – ©Disney

C’è del buono in Tron: Ares, specialmente quando torna indietro nel tempo per attingere all’originale del 1982, giocando di nostalgia e cercando quei ponti per collegare il passato agli eventi di oggi. Il tutto è sempre estremamente forzato e la soluzione di avere Kevin Flynn come genio visionario che ha la risposta a tutto è una trovata fin troppo abusata.

Poi ci sono i Nine Inch Nails che prendono il posto dei Daft Punk in cabina musicale e lì è tutto un altro campionato. Il suono dei Nine Inch Nails è incessante, tenebroso, sperimentale e fortemente industrial, le sinfonie sono perfette per accompagnare quelle immagini e il matrimonio perfetto è la sequenza di fuga di Ares dal mondo digitale. Ecco cosa doveva essere Tron: Ares sin dall’inizio, uno psichedelico incontro di immagini e musica che si sposano in emozioni sensoriali così da aprire gli occhi su una realtà tutta nuova.

Una piccola nota di colore sul finale: il film è sì musicato dai Nine Inch Nails, ma Trent Reznor (frontman) e Atticus Ross figurano addirittura tra i produttori della pellicola. Non è un crimine pensare che siano state realizzate prima le tracce sonore e poi le immagini da applicarci sopra. Adesso la palla è in mano al box office perché questo è il secondo tentativo, dopo Tron: Legacy, di rilanciare il franchise e renderlo duraturo nel tempo. Il potenziale alla base è sempre stato accattivante: perché non si è mai riusciti a renderlo eterno?

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Classe 1989. Gabriele Barducci scrive di Cinema e serie tv. Dal 2022 è responsabile dell'area videogiochi di ScreenWorld. Comincia a scrivere di Cinema e serie tv nel 2012 accompagnando gli studi in Scienze della Comunicazione presso l'università di Roma La Sapienza. Nel 2016 entra nella redazione di The Games Machine occupandosi anche di videogiochi, mentre dal 2017 è nello staff della rivista di cinema Nocturno.