Ci sono storie vere e storie vere. O meglio, ci sono narratori e narratori, anche di storie vere. Se la frase based on a true story, in italiano o in altre lingue, è diventata onnipresente nella maggioranza dei film che vediamo, magari facendo storcere il naso a più di qualcuno (chi scrive ammette di essere tra quelli), ci sono poi cineasti che dalla verità sanno come distillare il cinema e non semplicemente la cronaca. Paul Greengrass è tra questi.

Come sopravvivere al più folle degli incendi

 

Matthew McConaughey è il protagonista di The Lost Bus
Matthew McConaughey è il protagonista di The Lost Bus – ©Apple TV+

The Lost Bus è il suo ultimo film (da noi in streaming su Apple TV+, a cinque anni di distanza da Notizie dal mondo, atipico western prodotto e distribuito da Netflix) e ovviamente racconta una storia vera: quella di un autista di bus scolastici che si ritrova nel mezzo del più mortale incendio che abbia mai colpito la California, con un carico di bambini, la loro insegnante e sua madre e suo figlio dispersi.

Il film parte da un’inchiesta giornalistica (Paradise: One Town’s Struggle to Survive an American Wildfire) scritta da Lizzie Johnson in cui si raccontava minuto per minuto l’evolversi di una serie di incendi mai visti prima e, al contempo, si descriveva il lavoro dei vigili del fuoco e dell’amministrazione per limitare le fiamme e mettere in salvo quanta più gente possibile. La pellicola isola così una delle storie raccolte da Johnson per coinvolgere lo spettatore nel meccanismo classico del racconto, ossia raccontare una vicenda individuale per far comprendere meglio un contesto collettivo.

Fuori e dentro il fuoco

Paul Greengrass sul set di The Lost Bus
Paul Greengrass sul set di The Lost Bus – ©Apple TV+

Questo doppio punto di vista, potremmo dire ora oggettivo ora soggettivo, permette a Greengrass di far entrare il pubblico dentro la vicenda, ponendolo al fianco dell’autista interpretato da Matthew McConaughey, e di percepire la portata gigantesca della vicenda, mostrandola nel suo svolgersi come fosse in presa diretta, come se dagli occhi scavati e spaventati del protagonista e dei bambini che trasporta anche lo spettatore si rendesse conto, vivesse la paura in tempo reale.

È un lavoro che parte da una scrittura particolarmente attenta, operata da Brad Inglesby e dallo stesso Greengrass, ma soprattutto dalla regia del londinese che ritrova uno spirito dell’azione e del movimento che va alla radice stessa del concetto di tensione. Una verve che il regista non sembrava avere più da qualche tempo, per chi scrive da una decina di anni, dai tempi dello stanco Jason Bourne. In questo caso, invece, sembrano configurarsi di nuovo gli elementi che hanno reso significativo lo stile del regista, a partire dal lavoro congiunto della macchina da presa diretta da Pål Ulvik Rokseth (e manovrata da otto operatori, tra i quali ci preme segnalare il lavoro della steadicam di Janice Y. Min) e del montaggio a cui hanno lavorato in tre, William Goldenberg, Paul Rubell e Peter Dudgeon.

Il segreto di Greengrass

The Lost Bus
Una scena di The Lost Bus – ©Apple TV+

All’inizio, The Lost Bus sembra uno dei film di Mark Wahlberg diretti da Peter Berg, con un uomo della classe operaia che il sistema sfrutta e costringe a ritrovarsi in situazioni inaffrontabili, ma grazie al lavoro di cui dicevamo poco sopra, gli elementi esterni prendono poco a poco un valore quasi metafisico, costringendo personaggi e spettatori a fare i conti con l’inferno, a sentirlo muoversi. Il senso di verità, molto più tagliente del presunto realismo, porta a chiedersi cosa avremmo fatto noi in quel contesto, come saremmo sopravvissuti mentalmente prima che fisicamente.

È il segreto di Greengrass fin da Sunday Bloody Sunday e United 93, che qui fa ancora una volta capolino grazie proprio al modo in cui la macchina da presa, con il suo movimento incessante e disperato, definisce i personaggi: non solo li getta nel vortice, ma li comprende e li costruisce, li rende cari a chi guarda. Certo, The Lost Bus sorvola volentieri sulle implicazioni “politiche” della vicenda, ma si concentra su quelle umane dando loro il valore di sguardo collettivo: e forse, va benissimo così.

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La rivista del Cinematografo e Il sussidiario, collabora con vari siti internet, quotidiani e riviste, cura programmi radiofonici, rassegne e festival cinematografici. Ha pubblicato saggi, in opere come Il cinema di Henri-Georges Clouzot (a cura di Stefano Giorgi, Il foglio) e Il cinema francese negli anni di Vichy (a cura di Simone Venturini, Mimesis), e monografie come Beautiful Freak. Le fiabe nere di Guillermo Del Toro, Blue Moon. Viaggio nella notte di Jim Jarmusch e Bigger Boat e Blinded by the Light dedicato a Steven Spielberg per Bakemono Lab. Dal 2016 è membro della Commissione di selezione della Mostra del Cinema di Venezia, dal 2019 è socio della Rete degli Spettatori con cui organizza rassegne cinematografiche e progetti culturali volti alla diffusione del cinema di qualità e indipendente, nelle sale, in streaming, nelle scuole.