Tremate, tremate, le cattive ragazze sono tornate. Sì, gli oscuri cancelli della Nevermore Academy si stanno riaprendo. La serie-tormentone Mercoledì è tornata su Netflix con la seconda stagione. Questa volta tagliata in due in modo macabra. Quattro episodi ad agosto e quatrro episodi a settembre. Giusto per far soffrire un po’ i fan. Lusso che solo una serie da record come Mercoledì può permettersi.

Parliamo dello show in lingua inglese più vista della storia su Netflix, con buona pace di Stranger Things, capace di raccogliere 250 milioni di visualizzazioni e soprattutto di sollevare un fenomeno pop inarrestabile: balletti, meme, fanart. Il merito di questo successo? Sicuramente aver avuto Tim Burton come testimonial. Dal 2022 a oggi il regista di Burbank è sempre stato “venduto” come il papà creativo di Mercoledì. Ma è davvero così? Siamo sicuri? O siamo tutti vittime di un grande abbaglio collettivo? O meglio di pubblicità ingannevole? Facciamo luce su questo oscuro mistero.

Una serie d’autore?

Tim Burton sul set di Mercoledì
Tim Burton sul set di Mercoledì – ©Netflix

Ottobre 2022. Il Lucca Comics & Games si trasforma in un enorme luna park macabro. Perchè? Perché c’è Tim Burton in città. Fan impazziti, marea di gente per strada, folla in delirio. Tre anni fa, l’evento di lancio della serie puntò tutto sulla benedizione papale di Tim Burton, che infatti si affacciò anche da una balcone. Lo abbiamo notato tutti, no? Netflix ci ha sempre “venduto” Mercoledì come una serie firmata Tim Burton. La serie diretta da Tim Burton, partorita dal genio di Tim Burton e robe del genere. Ma è davvero così? Insomma. Non proprio. Prima di tutto di Tim Burton ha diretto la metà degli episodi della prima e della seconda stagione.

Quattro nella prima e quatto nella seconda. I restanti sono stati affidati ad altri registi che hanno seguito la sua traccia. Per cui non si può parlare di una specie di lungo film diviso in puntate come successo con True Detective, con la stessa mano e lo stesso sguardo a dirigere tutta la serie. Mercoledì sta a tim burton cone Mindhunter sta a David Fincher. Anche lì, il regista aveva partecipato come produttore esectivo e diretto solo qualche episodio della serie. E qui arriviamo al punto: Mercoledì non è stata scritta da Tim Burton, ma da Miles Millar e Alfred Gough, le menti dietro Smallville. Gente evidentemente fissata con adolescenze non proprio normali.

Frame che ritrae Jenna Ortega in Mercoledì
Il frame più iconico di Mercoledì – ©Netflix

Quindi, non avendo firmato la sceneggiatura, non è proprio corretto definire mercoledì una serie d’autore di Tim Burton. La verità è che Burton è stato scelto da netflix per dirigere parte della serie. Non è stato Tim Burton a proporla a Netflix. Sono due cose molto diverse. Burton è stato convinto proprio dallo script, infatti qualche giorno fa ha detto: “Appena ho letto il copione ho subito amato il personaggio di Mercoledì. Conoscevo la Famiglia Addams, ma il motivo per cui ho realizzato la serie è che ho pensato: “Io mi sento allo stesso modo rispetto alla scuola, la famiglia, la psichiatria, la società”. Quindi Mercoledì è una serie di tim burton? Non del tutto. Al massimo è una serie commissionata a Tim Burton.

Quanto Burton c’è?

Una scena di Mercoledì
Una scena di Mercoledì – ©Netflix

Quindi la domanda è: quanto si vede la mano di Tim Burton? Oltre a essere produttore esecutivo di Mercoledì, il nostro Tim ha contribuito molto all’impostazione artistica della serie, realizzando bozzetti, concept art e spunti utili per dare allo show una direzione estetica burtoniana. E cosi è stato: i costumi, le ambientazioni, il trucco. Tutto richiama Tim Burton. Tutto trasuda Tim Burton. A livello registico la sua impronta è evidente: l’insistenza sui primi piani, la passione per gli occhi grandi e gli sguardi silenziosi e poi improvvisi campi lunghi per dare spazio ad architetture gotiche, rami secchi e atmosfere dark. Insomma, c’è la patina di Tim Burton. La confezione di Tim Burton. Ma l’essenza di Tim Burton c’è? Per rispondere a questa domanda, bisogna prima capire cosa intendiamo per “Tim Burton”.

Perché se lo associamo al vecchio Tim Burton, dietro Edward mani di forbice, Batman e Ed Wood la risposta è no.
Quel Tim Burton non c’è più, è morto. Facciamocene una ragione. Quello era un regista allergico al sistema. Questo, invece, è un regista che il sistema lo ha accettato, abbracciato e capito. Prima Burton sfruttava il palcoscenico e la visibilità delle major per raccontare il suo male di vivere, il suo disagio di outsider in una società sempre più omologata, mercificata e consumista. Adesso, come dimostra bene proprio Mercoledì, Tim Burton è diventato un ottimo mestierante. E non lo diciamo in senso spregiativo. Anzi.

Ci vuole talento anche per svolgere bene un mestiere complesso come la regia. Quindi, ammettiamolo a noi stesso: Mercoledì è un lavoro su commissione svolto con professionalità, in cui Burton si è adattato al target teen della piattaforma, prestando la sua estetica a una materia sulla carta perfetta per lui. Ma pretendere che un regista di 60 anni capisca davvero i tormenti degli adolescenti di oggi forse è troppo. Così come è sbagliato pretendere che Burton sia sempre quello di una volta. Semplicemente si cambia e con l’età, forse, Burton ha perso quel malessere di una volta che gli donava una sensibilità diversa da quella del 60enne affermato che è oggi.

Un grande inganno?

Tim Burton sul set di Mercoledì
Sul set di Mercoledì – ©Netflix

Guardando la serie, sembra che sia stato Tim Burton ad adattarsi alla serie e non viceversa. In che senso? Pensiamoci un attimo: l’immaginario della famiglia Addams è sempre stato coerente con la sua poetica: disadattati, reietti, strambi ed emarginati. Un matrimonio dark perfetto in cui Burton è quasi un promesso sposo. Era tutto già apparecchiato per il banchetto in streaming. Così Burton ha abbracciato una serie dove l’adolescenza irrequieta è stato il tema che più lo ha intrigato come regista. Peccato che nella serie non ci sia mai vera profondità. Né quel tocco malinconico, profondo e struggente che ci ha fatto innamorare di lui e dei suoi personaggi ai margini. Nella serie Mercoledì è una ragazzina stramba, cattiva, sadica, ma emerge sempre come un personaggio cool. Una protagonista figa. Una vincente spacciata per perdente. Non si sente mai davvero lo strazio, il disagio. Non si entra mai sottopelle, rimanendo solo a ballare in superficie.

Stesso discorso per il potenziale horror della serie. Genere caro a Tim Burton, che qui resta una promessa non mantenuta. Mercoledì ha un’ambientazione dark molto intrigante, un immaginario abitato da vampiri e licantropi in cui l’orrore, però, rimane sempre in sottofondo, depotenziato, inespresso. Soffocato da uno show troppo patinato per essere davvero sporco di inespresso. Ma anche spacciare Mercoledì come serie di Tim Burton è abbastanza “furbo”. Di Burton qui c’è la patina, l’orpello, l’immaginario gotico, ma nella essenza è solo una copia sbiadita di quella vecchia anima oscura. È un prodotto furbo, tutto studiato a tavolino. Fatto bene, sia chiaro, perfetto per il pubblico adolescente di Netflix e abilissimo nel miscelare i generi: mistero, teen drama, true crime e fantasy scolastico alla Harry Potter. È un prodotto di testa. Non di pancia, non di cuore. Almeno con la pancia e il cuore del vecchio di Tim Burton. Di cui rimarrà soltanto un vecchio ricordo da cullare. Con una ninna nanna macabra, ovviamente.

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Nato a Bari nel 1985, ha lavorato come ricercatore per l'Università Carlo Bo di Urbino e subito dopo come autore televisivo per Antenna Sud, Rete Economy e Pop Economy. Dal 2013 lavora come critico cinematografico, scrivendo prima per MyMovies.it e poi per Movieplayer.it. Nel 2021 approda a ScreenWorld, dove diventa responsabile dell'area video, gestendo i canali YouTube e Twitch. Nel 2022 ricopre lo stesso ruolo anche per il sito CinemaSerieTv.it. Nel corso della sua carriera ha pubblicato vari saggi sul cinema, scritto fumetti e lavorato come speaker e doppiatore.