Con la terza parte, la serie Netflix di Hwang Dong-hyuk si spoglia definitivamente dell’illusione di essere soltanto un survival game con tinte drammatiche, diventando un vero e proprio saggio sulla disumanizzazione, sulla colpa collettiva e sul potere del denaro. La violenza e le esecuzioni sommarie non sono mai state solo un espediente per intrattenere: lo avevamo intuito fin dalla prima stagione, ma ora ogni dubbio viene spazzato via.

Pertanto, diamo inizio a questa analisi conclusiva su una delle opere più chiacchierate degli ultimi anni: un’analisi, tuttavia, non esente da qualche spoiler.

Squid Game – Stagione 3
Genere: Drammatico
Durata: 6 Episodi/55 minuti ca.
Uscita: 27 Giugno 2025 (Netflix)
Showrunner: Hwang Dong-hyuk
Cast: Lee Jung-jae, Wi Ha-joon, Lee Byung-hun

«Non se ne staranno mica lì fermi, aspettando di morire…»

Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center
Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center

Come se volersi salvare fosse un peccato.

La terza parte di Squid Game si apre con una rivelazione destabilizzante: non tutti i soldati in rosa sono dei mostri. Dietro quelle maschere ci sono volti, paure, esitazioni. E mentre nel retroscena si consuma l’ennesimo massacro, una sinistra scatola-regalo viene consegnata ai giocatori. Al suo interno, il corpo del giocatore 456. Tuttavia, come già sospettavamo, Seong Gi-hun non è morto. Al suo risveglio, però, ad attenderlo c’è un inferno peggiore della morte stessa.

Ora osserva le conseguenze della tua piccola rivolta.

Gi-hun ha perso. La sua sconfitta è sotto gli occhi di tutti. Gli uomini che aveva reclutato per ribaltare il sistema sono caduti uno dopo l’altro, vittime di una rivoluzione dal basso che portava già in sé il germe del fallimento. Eppure, il gioco continua. Nulla sembra scalfire le regole imposte dal Front Man. Ed è allora che Seong, distrutto, domanda: Perché? Perché non avete ucciso anche me? A che gioco stai giocando?

Il senso di colpa per non aver salvato nessuno lo annienta lentamente. Si aliena in mezzo ai suoi compagni, mentre tutti gli altri giocatori lo isolano, passandogli accanto. Finché non si avvicina a confortarlo l’anziana Jang Geum-ja, incurante degli avvertimenti del figlio. È lei a rivelargli la verità: Kang Dae-ho ha avuto un attacco di panico. Non ha portato i caricatori, ha preferito vivere e nascondersi.

Ma l’odio è un sentimento bastardo, infido. Si insinua nella mente a poco a poco, come un serpente velenoso. E Seong, dopotutto, è squisitamente umano. E la sua vendetta potrebbe giungere di lì a poco, proprio durante il nuovo gioco: Nascondino, la squadra Blu si nasconde, la squadra Rossa deve trovarli e ucciderli tutti. Difatti, questa volta non è affatto un gioco, è un massacro in scala 1:1. Nessuna metafora. Nessuna via d’uscita. E persino un figlio potrebbe essere costretto a uccidere sua madre. O il contrario.

Nasconditi ben, attento ai capelli

Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center
Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center

Ci dispiace. Dobbiamo chiederti di morire.

Nel vasto campionario di disturbante malvagità che è Squid Game, c’è sempre stato un fil-rouge quasi consolatorio: le persone morivano, certo, ma erano i soldati a sporcarsi le mani. Stavolta, tuttavia, i giochi non sono più veri giochi: mentre nelle precedenti stagioni c’era maggiore spensieratezza anche tra i giocatori, che non venivano quasi mai costretti a uccidersi a vicenda a mani nude, in questa terza parte la situazione è ben diversa. Qui vediamo i nostri personaggi preferiti costretti a uccidere o essere uccisi, senza possibilità di cavarsela con qualche astuto escamotage: in termini di crudeltà, siamo ai livelli della sfida delle biglie della prima stagione.

Stavolta, dunque, non si tratta più solo di sopravvivere, ma di accettare l’omicidio come passaggio obbligato. Il pubblico si ritrova davanti alla prova definitiva della banalità del male, concetto introdotto da Hannah Arendt: non mostri, ma persone comuni che, per denaro o sopravvivenza, si sporcano le mani. Ma cosa spinge le persone a uccidere? Denaro? Sadismo? O potere? O sete di vendetta?

Pro e contro

Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center
Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center

La seconda parte della seconda stagione di Squid Game segna un deciso miglioramento sotto il profilo registico: i passaggi tra una scena e l’altra sono più fluidi, la narrazione risulta meno artificiosa e le sequenze d’azione appaiono finalmente coreografate con cura. Sebbene non si possa parlare di un capolavoro, il salto di qualità rispetto alla stagione precedente è evidente e meritevole di nota.

Restano però diverse criticità che continuano a penalizzare la serie. Innanzitutto, la condizione dello spettatore onnisciente annulla gran parte della suspense: conosciamo fin da subito dettagli sui personaggi, su ciò che sta accadendo al di fuori e sulla struttura del gioco, e le rare sequenze in grado di conservare un minimo di mistero si contano sulle dita di una mano. Questo eccesso di informazioni riduce drasticamente l’effetto sorpresa e smorza l’impatto emotivo.

Le storyline secondarie, inoltre, si rivelano fragili e poco sviluppate. È il caso, per esempio, della guardia No‑eul, la cui vicenda resta marginale e priva di spessore. A ciò si aggiungono i cosiddetti VIP, i magnati del gioco, i cui dialoghi surreali e le performance imbarazzanti stonano con il tono cupo e drammatico del resto della serie. Infine, la CGI pecca spesso di superficialità: le scene con la neonata o il cane risultano visivamente poco credibili e quasi disturbanti, mettendo in luce i limiti tecnici nonostante i progressi registici.

Sul piano narrativo, la sceneggiatura oscilla tra violenza cruda, apatia diffusa e barlumi di speranza, mostrando uno spettatore quasi anestetizzato mentre assiste alla discesa collettiva nell’abisso. Persino Seong Gi‑hun, da simbolo di speranza, si trasforma in emblema di rimorso e perdita: il dolore per la morte dell’amico, il senso d’impotenza di fronte ai potenti e la rabbia accumulata lo spingono oltre i limiti dell’umano. Da questo percorso non si torna indietro. Tuttavia, la discesa nell’orrore viene improvvisamente interrotta da un evento sensazionale, che riapre spiragli di tensione e mistero, lasciando presagire nuove svolte drammatiche.

Il denaro può davvero tutto?

Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center
Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center

Per la prima volta, i miliardari che finanziano il crudele torneo non si limitano più a restare nell’ombra, ma scendono in campo come carnefici armati. Non sono più semplici spettatori: plasmano il destino dei partecipanti con la freddezza di chi non ha mai conosciuto il valore della sofferenza. In questa escalation di violenza, il denaro si manifesta nella sua forma più pura di potere assoluto.

Questi VIP, usciti da un’iperbolica “Capitol City”, uniscono all’estetica kitsch una brutalità incontestabile. Non provano pietà, nemmeno dinanzi a una madre anziana che supplica il pubblico dorato di risparmiare la vita di Jun‑hee e della sua bambina, ma la sua preghiera rimane inascoltata. Né i giocatori né i carnefici ricchi mostrano un briciolo di empatia. Solo chi guarda da casa conserva ancora il senso di compassione.

Anche le istituzioni, naturalmente, si rivelano corrotte: la polizia non difende la legge, ma serve il profitto, complice del massacro. Nell’arena dello Squid Game, l’unica regola valida è il denaro; chi si rifiuta di piegarsi alla logica del guadagno finisce per morire.

Madri e padri

Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center
Squid Game, parte 3 (seconda parte seconda stagione), © Netflix Media Center

In questa terza parte di Squid Game il tema della maternità diventa cuore pulsante della narrazione, incarnato da tre donne diverse tra loro ma unite dal medesimo istinto di protezione. Jang Geum‑ja, la giocatrice numero 149, è un’anziana madre pronta a tutto pur di salvare una vita; Kim Jun‑hee, concorrente 222, è una giovane incinta che affronta il terrore dei giochi, affidando alla forza d’animo di Gi‑hun il destino della sua neonata; infine No‑eul, fuggita dalla Corea del Nord, cerca redenzione salvando Park Gyeong‑seok, padre di una bambina malata, vedendosi riflessa nelle sue stesse perdite.

Ognuna compie una scelta irreversibile e sfacciatamente umana: Geum‑ja si divide tra il dovere materno e l’affetto per Jun‑hee, mentre una scelta dolorosa della futura madre – consapevole della propria fragilità – riaccende in Gi‑hun l’istinto paterno che credeva sepolto. No‑eul, invece, sacrifica tutto per mantenere viva la speranza di un uomo disperato. Sono queste madri a conservare autentica empatia in un mondo privo di morale, incarnando amore puro, sacrificio e speranza laddove tutto sembra aver perso senso.

Magari devi soltanto… guardare dall’altra parte

E Gi‑hun, a sua volta, attraversa una crisi profonda: da uomo smarrito e tormentato, si ritrova a interpretare finalmente il ruolo di padre presente. Tant’è che, di fronte alla proposta di sacrificare la bambina per guadagnare una fetta del montepremi, la sua risposta è immediata: no, non si volterà dall’altra parte. Nel momento più buio, Gi‑hun sceglie la luce: non è un eroe epico né un genitore in cerca di salvezza, ma un essere umano che rifiuta cinismo e disumanità, offrendo una lezione di solidarietà. Con lo sguardo fisso sul Frontman, dimostra che la speranza non è vana, anche se sa che da solo non potrà ribaltare il sistema.

E mentre il cerchio sembra chiudersi, un nuovo reclutatore avvicina un’altra vittima tra i vicoli di Los Angeles: il gioco ricomincia, pronto a coinvolgere un nuovo cavallo.

Conclusioni

7.0 Straziante

La serie di Hwang Dong‑hyuk abbandona l’illusione del survival game per trasformarsi in un saggio sulla disumanizzazione. La violenza, già percepita come strumento narrativo fin dalla prima stagione, diventa qui centrale per evidenziare il lato più crudele della natura umana. Sul fronte registico, si avverte un netto miglioramento: i passaggi tra le scene sono più fluidi, la narrazione meno artificiosa.

Restano però alcune criticità. La condizione dello spettatore onnisciente toglie gran parte della suspense, poiché conosciamo fin dall’inizio dettagli essenziali su personaggi e dinamiche di gioco. Le storyline secondarie, come quella della guardia No‑eul, risultano deboli e poco sviluppate, mentre i dialoghi con i VIP appaiono surreali e spesso imbarazzanti. Infine, la CGI, in particolare nelle scene con la neonata e il cane, non sempre regge il confronto, penalizzando l’immersività complessiva.

Pro
  1. Disumanizzazione in primo piano
  2. In questa bolgia infernale, tuttavia, c'è ancora speranza
  3. Focus sulla maternità e paternità molto toccante
Contro
  1. CGI
  2. Dialoghi tra secondari o VIP imbarazzanti
  3. Spettatore onnisciente: appiattimento della tensione all'esterno
  • Voto ScreenWorld 7
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Napoletana, classe 92, nerd before it was cool: da sempre, da prima che fosse socialmente accettato. Dopo il diploma al Liceo Classico, una breve ma significativa tappa all'Accademia di Belle Arti mi ha aperto gli occhi sul futuro: letteratura, arte e manga, compagni di una vita ed elementi salvifici. Iscritta a Lettere Moderne, ho studiato e lavorato per poi approdare su CPOP.IT e scoprire il dietro-le-quinte del mondo dell'editoria. Dal 2025 scrivo per LaTestata e mi sono unita al team di ScreenWorld in qualità di Capo Redattrice Anime e Manga: la chiusura di un cerchio e il coronamento di un sogno.