Pochi film riescono a sorprendere sottovoce, dando libero spazio ai pensieri e alle emozioni. Nel contesto di un Cannes “esplosivo”, quanto mai deciso a stupire il pubblico di appassionati con colpi di scena o twist scioccanti, The History of Sound decide di muoversi controcorrente. Oliver Hermanus ragiona di sottrazione, raccontando una love story queer di rara delicatezza – tratta dall’omonimo racconto di Ben Shattuck, qui nelle vesti di sceneggiatore. Il regista sudafricano rapisce i sensi per condurre lo spettatore verso un mondo di melodie e legami straordinari, con Paul Mescal e Josh O’Connor uniti in una storia di voci incrociate, armonizzate dolcemente al magnetismo del Suono – qui simbolo, strumento e infine catalizzatore d’esperienze e vissuti.
Non sorprende che il film sia stato accolto con pochi sussulti al Festival: certi pubblici, soprattutto entro i circuiti di critici e cinefili, tendono a cercare in eventi come questo significati e brividi che (troppo spesso) prescindono dalle storie raccontate. Nel mondo di oggi risulta estremamente comodo criticare ciò che non c’è senza analizzare a dovere ciò che si vede: una superficialità che la stessa pellicola rende rimorso e ferita cruciale. The History of Sound avrà poche possibilità di aggiudicarsi un premio a Cannes, ma resta uno degli amori cinematografici più interessanti degli ultimi anni.
Genere: Drammatico, Storico, Romantico
Durata: 127 minuti
Uscita: tba (Cinema)
Cast: Paul Mescal, Josh O’Connor
La felicità non è una storia

Quello di Hermanus è un viaggio nel tempo e nello spazio, un percorso a tappe in cui l’America del primo ‘900 è un punto fisso. A cavallo della Prima Guerra Mondiale, l’incontro tra Lionel (Paul Mescal) e Daniel (Josh O’Connor) apre le porte a un’idillio complesso e magnetico: un rapporto di pura luce e corrispondenza che sembra destinato a svanire ancor prima di poter sbocciare davvero. Nel viaggio indimenticabile che ha permesso ai due personaggi di trovare la musica attraverso le voci altrui, gioie e dolori seguono il ritmo del suono mentre il dramma prende forma in una struggente sinfonia dell’assenza.
La grande peculiarità del romanticismo di The History of Sound è che si vede poco, ma si percepisce parecchio. Sostenuto da una colonna sonora incredibilmente avvolgente, Lionel si trova ai due versanti della corrente: l’animo si lascia trascinare dall’interminabile melodia dell’esistenza, mentre il cuore detta l’andamento del flusso, cambiando costantemente nella speranza di ritrovare il motivo perduto alla prossima battuta. Quella del racconto è una ricerca spezzata, la malinconica esecuzione di una melodia incompiuta che vede Paul Mescal vagare nel mare del suono (e quindi negli ambienti) come una nota caduta fuori dal pentagramma.
La natura, quasi a richiamare atmosfere malickiane, lega così le anime in una storia dello spazio. Uno spazio che si fa negativo, persino oscuro quando il dolore prende il sopravvento. Hermanus ragiona sugli spazi vuoti, sui non detti, sul peso delle possibilità perdute, e in quelle cupe spire dove il nulla è l’unico confine cerca ciò che non può tornare.
Le frequenze del sentire

Per un’opera dall’andamento così ragionato e attento, risulta difficile capire se la storia voglia concentrarsi maggiormente sugli amori incompiuti o sul peso di dolori troppo grandi da superare. Senza paura di rischiare, ma esigendo la giusta attenzione, Hermanus e Shattuck trovano la quadra in un tono minore – tra un sentimento che permane e un ricordo che sfugge. Quando le ombre si fanno più ingombranti, sono le melodie distorte a svelare il senso profondo dell’opera: quell’idillio cominciato a Boston, quella gioia assoluta e fugace, risuona in una storia umana carica di emozioni universali. Sentire diventa fondamentale, soprattutto qui: oltre voci e melodie si cela qualcosa di più profondo del dolore che bisogna saper ascoltare.
Forse il destino ha la forma di uno spartito già scritto. Un mistero che neppure il più grande orecchio può svelare. Eppure, nel suo racconto d’assenza e solitudine, The History of Sound riesce a superare anche i suoi didascalismi. Quello di Oliver Hermanus non vuole essere un film prevedibile (tanto nel suo concetto quanto nel suo svolgimento), né porsi agli occhi dello spettatore come un’educazione al sentire. Non c’è spazio per i rimorsi sulla propria identità, né per futili paragoni ad altre opere: gli unici rimorsi sono legati a una vita che seduce e tradisce, cambiando accordi senza alcun preavviso. Nella malattia di un amore che non vuole svanire, resta una storia di passione incredibilmente dolce. Una ninna nanna per chi si aggrappa con tutte le forze a pochi, fragili istanti di meraviglia. Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
Conclusioni
The History of Sound trova il coraggio di abbracciare la delicatezza in un mondo troppo veloce per comprendere appieno le sue sottigliezze. La love story con Paul Mescal e Josh O'Connor non ha bisogno di urlare o sconvolgere per colpire dritto al cuore: bastano pochi sussurri, gesti silenti che valgono più di mille parole e lasciano spazio alla musica - un'onda sinuosa che accompagna in un viaggio ai confini del dolore. Il film di Oliver Hermanus chiede soltanto attenzione: per sentirlo davvero, bisogna saper ascoltare.
Pro
- Le interpretazioni di Paul Mescal e di Josh O'Connor rendono questa storia d'amore una dolce melodia
- Le scelte registiche di Hermanus colpiscono gli occhi e il cuore
- Lo stile del racconto, deciso a non puntare sulla veemenza rappresentativa, permette al film di distinguersi dalle altre storie d'amore queer
Contro
- Il ritmo della narrazione, decisamente troppo ragionato in alcuni frangenti, rischia di allontanare una buona fetta di pubblico
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Voto ScreenWorld