Prima di addentrarci nella recensione di Downton Abbey II: Una Nuova Era in senso stretto, è d’uopo pensare a quanto un sequel come questo sia diventato un’anomalia nel panorama cinematografico odierno, dove i franchise tendono a essere tutti a base di supereroi, alieni, magia ed esplosioni (o, al limite, horror a basso budget). Ma tale è stato l’impatto della serie creata da Julian Fellowes per ITV, talmente popolare da generare un primo lungometraggio che nel 2019 ha incassato quasi 200 milioni di dollari nel mondo (circa dieci volte il suo budget).
Ed ecco, quindi, il secondo capitolo cinematografico, con l’equipe praticamente intatta (a questo giro manca completamente all’appello l’attore Matthew Goode, e in cabina di regia a Michael Engler è subentrato Simon Curtis). Un sequel più leggero ma al contempo più malinconico, che segnala forse, come da titolo, la fine di un’era e la volontà di passare ad altro (Fellowes è già attivo con la HBO con un altro dramma seriale in costume, The Gilded Age). E laddove il primo capitolo poteva in parte funzionare per i neofiti, questo è for fans only, com’è giusto che sia per il (possibile) gran finale della saga dei Crawley.
Downton Abbey II: Una Nuova Era
Genere: drammatico, storico
Durata: 125 minuti
Uscita: 28 aprile 2022 (Cinema)
Cast: Hugh Bonneville, Laura Carmichael, Jim Carter, Raquel Cassidy, Brendan Coyle, Hugh Dancy
Cinema e Costa Azzurra
Il primo Downton Abbey cinematografico finiva con l’annuncio della probabile uscita di scena di Violet Crawley (Maggie Smith), affetta da un male non specificato. Il sequel, invece, inizia con il matrimonio fra Tom Branson (Allen Leech) e Lucy Smith (Tuppence Middleton), con tanta allegria. E Violet, pur muovendosi poco, è ancora lucida e in (relativa) buona salute. Ma non abbastanza da recarsi in Francia, dove invece va Robert (Hugh Bonneville) con gran parte della famiglia per indagare su una misteriosa eredità: un francese, che Violet ha conosciuto decenni fa, le ha lasciato una villa in Costa Azzurra. Sul fronte domestico, dove le responsabilità principali sono ormai in mano a Mary (Michelle Dockery), arriva un’altra ventata di novità. Downton, infatti, è stato scelto come parte del set per un film, e lo staff ha modo di vedere da vicino le star del cinema che tanto ammirano. Ma anche per le star i tempi stanno cambiando: il film è muto, e il sonoro sta per scombussolare tutto…
Arrivederci, Downton
Nell’ormai lontano 2010, il primo episodio della serie televisiva iniziava il giorno dopo l’affondamento del Titanic, nel 1912. Il messaggio era chiaro: il progresso non era per forza un bene nel mondo molto tradizionale dell’aristocrazia britannica. Dodici anni dopo, arrivati quasi agli anni Trenta nel mondo fittizio ideato da Fellowes, siamo in territorio opposto. Il cinema (che Robert continua a chiamare kinematograph), qui nel momento di transizione tra silente e parlato (e con inevitabile gag alla Cantando sotto la pioggia), rappresenta quell’evoluzione inarrestabile che i Crawley hanno osteggiato per decenni, se non secoli. Downton non è più la dimora prestigiosa di un tempo, ma una reliquia del passato, destinata a diventare pezzo da museo e location per film e serie TV (come accaduto con il vero castello di Highclere, usato per l’intera durata del franchise e dal 1982 luogo prediletto per varie produzioni in costume). È un addio alle vecchie tradizioni, nel mondo di finzione ma anche nella realtà, con Fellowes e Curtis che sembrano suggerire l’arrivo al capolinea per quanto concerne questa allegra banda (ma non è escluso che vi si torni in futuro per parlare delle nuove generazioni, florido argomento di conversazione nel film).
È un addio, dicevamo, ma non dal tono funereo, anzi: è forse l’inanellamento più consistente di tutta la saga in termini di gag, dalle battute sardoniche di Maggie Smith (“Ho l’aria di una che rifiuterebbe una villa nel Sud della Francia?”) al fiero patriottismo del Carson di Jim Carter, pronto a imporre il suo punto di vista da perfetto maggiordomo sugli omologhi transalpini (“Qualcuno li avverta, stanno arrivando gli inglesi!”). Uno humour perfettamente integrato nel meccanismo del racconto, dove ognuno ha diritto al suo momento di gloria, in alcuni casi con la chiusura di storyline individuali che non avevano raggiunto particolari traguardi narrativi nel finale della serie o nel film precedente (e anche questo lascia intendere che si tratti del capitolo conclusivo). Si può parlare di fan service, ma non vi è traccia di cinismo commerciale nella scrittura di Fellowes, genuinamente affezionato a tutti i personaggi – anche coloro che inizialmente erano antagonisti, come nel caso di Thomas Barrow – e spinto dal desiderio di lasciarseli alle spalle nelle migliori condizioni. Rimarrà la gioia di rivedere le loro storie, dando un nuovo senso alla battuta finale di Carson nel primo film: “Fra cento anni Downton ci sarà ancora, e ci saranno anche i Crawley. È una promessa.” Lì eravamo nel 1927, e adesso è il 2022. Con i tempi più o meno ci siamo.
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Conclusioni
Come abbiamo visto nella nostra recensione il secondo film di Downton Abbey si conferma un ottimo divertimento per chi è appassionato alle vicende dei Crawley, ed è anche un buon epilogo per il franchise inaugurato nel 2010.
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Voto ScreenWorld