“Mi piacciono i film con cui devi lottare”
Lo dice spesso Jane Schoenbrun, regista che dalla nicchia sta rapidamente conquistando gli Stati Uniti a suon di sorprese. La regista e sceneggiatrice che oggi celebriamo ha aperto le porte a un intero mondo in cui lo sguardo giovanile si affaccia all’orrore della modernità: We’re all going to the world’s fair e I saw the TV glow non sono soltanto due opere da consigliare per scoprire uno sguardo ammaliante sul cinema, ma due progetti dal significato profondo che vale la pena approfondire.
La sera in cui il suo show preferito finisce per sempre, Owen (Justice Smith), l’ossessivo protagonista adolescente di I Saw the TV Glow, si prende un momento per sedersi al buio – esattamente ciò che ha dichiarato di aver fatto Schoenbrun alla fine di Buffy the Vampire Slayer, quando ha concluso la sua corsa con la Warner Bros. nella primavera del 2001. Lei sapeva che non era davvero la fine: lo show stava solo cambiando rete e non c’era modo che Buffy fosse davvero morta, ma le sembrava che qualcosa fosse passato lo stesso. Così ha spento la TV e ha lasciato che i sentimenti la travolgessero. Sentimenti che hanno trovato sfogo in un’idea di Cinema tutt’altro che casuale.
Voglio andare all’Esposizione Universale (x3)

We’re All Going To The World’s Fair è una storia di formazione horror che segue Casey dopo che accetta una particolare sfida (menzionata addirittura nel titolo). La ragazza vive in una cittadina apparentemente molto sonnolenta, fatta di parcheggi vuoti e tranquille catene di negozi. Ci viene dato scarso spunto sulla sua vita, ma l’alienazione e la solitudine emergono sin dalle prime inquadrature: significativamente, vediamo molte auto in città ma nessuna persona che cammina in giro durante il giorno. La cosa più vicina a un’amica che ci viene mostrata è il suo lemure di peluche.
Si sente un padre fuori campo, ma non abbiamo alcun spunto sulla sua famiglia. Per la maggior parte il film è presentato nel formato screenlife, tuttavia a volte se ne discosta presentando alcune scene in uno stile tradizionale. Nel corso del film vediamo la ragazza mentre documenta il processo e le conseguenze della World’s Fair Challenge. Secondo la tradizione, chiunque segua i passaggi di questo gioco virale (che include la pronuncia della frase “Voglio andare all’Esposizione universale” per tre volte di seguito) subisce una serie di cambiamenti.
World’s Fair Challenge

La gente ama definire gli/le adolescenti (in particolare le ragazze) eccessivamente drammatiche. La verità è che tutto origina dalla prima consapevolezza di trovarsi all’interno di un processo massacrante che negli anni dell’adolescenza trova sfoghi più o meno estremi. Guardare Casey recitare durante il climax di We’re All Going to the World’s Fair potrebbe spaventare o, al contrario, lo si potrebbe trovare stranamente catartico. Come la World’s Fair Challenge stessa, il film è un esercizio di immaginazione, un invito a interrogare i recessi più intimi della mente nello stesso modo in cui Casey esplora gli angoli più oscuri di Internet.
Uno dei forum web più visitati da Schoenbrun adolescente era dedicato a Scream: il successo al botteghino del film ha portato a diversi film postmoderni che si interrogano su una micro-era della storia dell’orrore, su cui Schoenbrun ha deliberatamente riflettuto durante il processo di sviluppo del suo primo film. Per la regista abbiamo raggiunto un punto emotivo in cui possiamo comunicare e costruire noi stessi/e solo attraverso la finzione.
La preoccupazione di Schoenbrun per l’evoluzione del cinema di genere viene esplorata attraverso Casey, un personaggio che può elaborare la realtà usando solamente il linguaggio dei film e dei programmi TV che ha consumato. Quella confessione video su come potrebbe essere bello esistere all’interno di un film horror risuona in modo diverso quando riconosciamo che Casey sta operando nel contesto di un gioco che incoraggia l’auto-performance.
Return to Fair

Una somiglianza molto significativa è quella tra Casey e l’iconica Dorothy de Il mago di Oz – due giovani solitarie che utilizzano i sogni a occhi aperti per sfuggire alle loro paure quotidiane, ma che nel tentativo di scoprirsi inciampano inavvertitamente in momenti di disorientamento. Casey è una specie di Dorothy post-Internet, un’eroina che trova una tregua dal mondo reale attraverso un reame mistico. In particolare, il pensiero va a Return to Oz, il sequel dark del 1985 di Walter Murch, che in definitiva ha più in comune con qualcosa come Valerie and Her Week of Wonders che con il musical di Judy Garland.
L’apertura di quel film vedeva la giovane Dorothy di nuovo nel grigio Kansas dell’era della Depressione, così scoraggiata dopo le sue avventure che la sua famiglia la manda in una struttura di degenza che pratica l’elettroshock su bambini/e. Il distico di apertura di End Song, che Alex G ha scritto per i titoli di coda di World’s Fair, recita “I choose to stay / There is no other way”. Questo testo evoca ricordi dello stato mentale depressivo di Dorothy all’inizio di Return to Oz, ma completa anche perfettamente l’ambiguità della conclusione inquietantemente toccante di World’s Fair.
Il fatto che We’re All Going to the World’s Fair lasci così tanto senza risposta suggerisce che Schoenbrun non stia cercando di realizzare un trattato sullo stato dell’adolescente contemporaneo o sui pericoli di una vita passata online, ma più un’operazione legata alla memoria collettiva. Questo film risuonerà profondamente in coloro che hanno trascorso notti insonni a immergersi in creepypasta e ARG (giochi di realtà aumentata) come ECKVA.
Buffy vs The Pink Opaque

Quando la regista ha iniziato a lavorare a I Saw the TV Glow, ha ripreso da dove aveva iniziato con il film precedente – sia nel modo in cui il film usa schermi all’interno di altri schermi, sia perché parla del nostro attaccamento alla finzione come un modo per esplorare noi stessi/e. Partendo da idee sedimentate nella sua mente dai tempi di Buffy, sua ossessione televisiva e parte integrante della sua vita, Schoenbrun ha realizzato un’opera sull’ossessione e sull’amore dislocato.
In I Saw the TV Glow, la cui storia inizia nel 1996, The Pink Opaque rappresenta il corrispettivo della Vampire Slayer: nello show, Tara e Isabel, una coppia di ragazze legate psichicamente ed emotivamente, combattono settimanalmente contro le forze del male in modo allettante e irraggiungibile. La serie va in onda alle 22:30 il sabato sera, poco dopo l’ora in cui Owen deve andare a letto. Per sua fortuna, Maddy (Brigette Lundy-Paine), una studentessa più grande, registra gli episodi per lui lasciandoli in alcune cassette nascoste nella camera oscura della loro scuola. Per un po’ il fandom è tutto ciò che Owen e Maddy condividono.
La serie diventa tutto per loro: non solo un mezzo per comprendere il mondo, ma un intero mondo a sé stante. Quando Maddy vuole assicurarsi che il suo giovane e appassionato compagno non si faccia un’idea sbagliata, informandolo che a lei “piacciono le ragazze”, lui risponde: “Penso che mi piacciano i programmi TV”.
Void High

I Saw the TV Glow è di per sé una specie di deposito – un posto in cui Schoenbrun, una regista transgender che ha iniziato a lavorare al film durante i primi mesi di terapia ormonale, può custodire una vita di artefatti sacri. La camera da letto di Maddy è decorata con i poster di band d’epoca, ma sulla parete sopra il suo letto c’è una nota scritta a mano dall’etichetta indie-rock Sarah Records che apparentemente si scusa per non avere in magazzino la musica che ha ordinato.
La nota è indirizzata a Maddy, ma a sinistra del suo nome c’è un rettangolo oscurato, come se avessero scritto per errore quello di qualcun altro e poi l’avessero cancellato. Considerando quanto il film possa sembrare allegorico (la scuola frequentata da Owen e Maddy si chiama Void High, per esempio), si tratta di un dettaglio stranamente specifico, ma trasmette la sensazione che questa storia sia molto più complessa di quello che sembra e che probabilmente non riusciremo mai a comprenderla appieno. Come la palestra della scuola in cui si incontrano Maddy e Owen, poi un seggio elettorale e in seguito un planetario improvvisato, I Saw the TV Glow potrebbe essere meglio inteso come uno spazio polivalente che può contenere una varietà di significati.
Come ha spiegato Schoenbrun al Sundance, questo è un film che riguarda l’essere nati/e in un’esistenza e la sensazione di dover vivere un’esistenza diversa, senza sapere come passare dall’una all’altra. Ma riguarda anche le profonde ricompense del fandom, così come i pericoli del non sapere quando disimpegnarsi. Mentre il confine tra The Pink Opaque e il mondo reale inizia a confondersi, Owen inizia a immaginare sé e Maddy all’interno dello show stesso, assumendo i ruoli delle sue eroine.
Paura della propria verità

Owen e Maddy sono due lati dell’esperienza del processo di transizione di genere della regista. Con questo, lei non intende necessariamente la transizione vera e propria, ma il processo che inizia all’inizio della propria vita, quando si nasce e si viene socializzate/i nell’identità sbagliata. Le due coppie di personaggi hanno due diverse risposte a questo “destino”: Owen e Isabel hanno paura della propria ombra ed esitano a intraprendere un viaggio nell’ignoto; Tara e Maddy sono delle toste, inclini a fidarsi della propria voce interiore e per questo disposte a intraprendere un viaggio nell’ignoto.
Qui si scontrano il desiderio di restare a casa e quello di non lasciare indietro tutto ciò che hai conosciuto di te stessa, della tua comunità, della tua famiglia e della tua vita. Nel suo nocciolo, Glow è un’allegoria transgender che affronta la paura di vivere la propria verità, ma articola il terrore più vero di intrappolarsi in ciò che non è. Le parti più spaventose non sono le scene agghiaccianti di Owen che viene violentemente risucchiato nelle scintille esplosive di uno schermo TV, ma le frenetiche realizzazioni che egli ha mentre perde tempo per una vita che non lo soddisfa.
Glow sfida il fatto che ciò che ci lega alle nostre realtà sono le scelte che facciamo attivamente: scegliere di rifugiarci nelle realtà che desideriamo non è una scelta futile, né fantastica. Il bagliore di un sogno non può svanire quando vive dentro di te. C’è ancora tempo, se si ha fiducia che ci sia.
Vivere alle proprie condizioni?

Questo film è anche un’opera d’arte complessa che gioca a briglia sciolta con le regole del realismo per offrire una visione di ciò che è possibile al di là del mondo che conosciamo. Un film più convenzionale si sarebbe basato sul realismo psicologico diretto, portando il pubblico nel mondo di Maddy e Owen e nel ruolo che The Pink Opaque vi gioca. Ma in I Saw the TV Glow i mondi sono permeabili: l’universo immaginario di The Pink Opaque non resta fermo sullo schermo, e quel luccichio rosa che brilla ai bordi di alcune scene prende lentamente il sopravvento nel mondo reale.
Il resto del film trascorre in un isolamento crescente per il protagonista, che lavora anno dopo anno in una sala giochi per un capo sprezzante, interagendo con nessuno se non con i clienti. È un’esistenza che lo sta letteralmente soffocando: l’asma di Owen peggiora sempre di più ed è qui che la realtà si infrange per lui – accade nella sala giochi, in una scena in cui Owen urla tutta la sua disperazione eppure nessuno sembra sentirlo. I sorrisi dei partecipanti alla festa sono congelati sullo schermo, sospesi in un altro continuum spazio-temporale, completamente ignari dell’angoscia di Owen.
È una scena che ci riporta ancora una volta alla questione di come funzioni la realtà nel film: i momenti di ripiegamento che rendono unica l’esperienza di I Saw the TV Glow possono esser compresi meglio per il modo in cui comunicano la realtà interiore. In questo contesto, il racconto di Maddy sulla vita dopo la morte non è una questione di verità o assurdità, ma uno sguardo alla natura esistenziale della lotta di chi intende vivere la vita alle proprie condizioni.