Akira Kurosawa è stato uno dei registi più iconici della storia del cinema e uno dei maggiori autori che il mondo abbia mai conosciuto. Eppure, anche i nomi più famosi possono perdere la loro forza se non rievocati e riproposti ciclicamente: Cane randagio, I sette samurai, Ikiru e Sanjuro sono protagonisti di una rassegna che ricorda l’importanza di questo autore nel mondo. Oltre a creare un vero e proprio genere, il Jidai-geki (cinema di samurai), Kurosawa ha spaziato fra il poliziesco, il thriller e il dramma intimista, dimostrandosi anche un abilissimo adattatore di opere classiche – come La morte di Ivan Il’ič di Lev Tolstoj (Ikiru, 1952), L’idiota di Dostoevskij (L’idiota, 1951) o il King Lear di Shakespeare (Ran, 1985).
Oltre ad aver influenzato registi famosissimi come Sergio Leone, George Lucas o Martin Scorsese, Kurosawa è riuscito perfino a superare il confine fra i media. In uno fra i videogiochi più popolari degli ultimi anni, Ghost of Tsushima, è presente addirittura una “modalità Kurosawa” che permette al giocatore di passare dall’immagine a colori a un bianco e nero contrastato. Non ci resta che analizzare in che modo i suoi lavori siano riusciti ad arrivare così lontano.
I sette, magnifici samurai
I sette samurai (1954) è sicuramente il film più influente del regista per il panorama mondiale. Parliamo di un’epopea, lunga circa tre ore e mezza, che narra la liberazione di una comunità di contadini dall’oppressione dei banditi locali per mano di un sgangherato gruppo di rōnin.
L’attenta struttura sociale, politica ed economica messa in scena dal regista non serve solo per rappresentare con perizia il famoso periodo Sengoku, ma anche per portare in scena una riflessione sui metodi della società giapponese. Gli stessi rōnin sono considerabili degli anti-eroi anzitempo: il samurai senza padrone è sempre stato etichettato come un recluso dalla società, ma con l’abile mano di Kurosawa ora assurge al ruolo di salvatore.
I sette samurai ha, di conseguenza, finito per reimpostare un certo tipo di cinema western. I magnifici sette (1970) di John Sturges ricalca fedelmente la struttura del film giapponese, ponendosi come una delle pietre miliari del western americano, mentre Yojimbo (di cui Sanjuro è il riuscito sequel) fornirà lo stampo per Un pugno di dollari (1964), opera consacratrice di Sergio Leone e di tutto lo spaghetti western.
High and low
Con Cane randagio (1949) Kurosawa mette in scena un poliziesco che sfida il prototipo del detective classico di Hollywood, eroico e infallibile. Nel film, l’investigatore Murakami perde la sua pistola d’ordinanza e si vede quindi costretto a iniziare una caccia all’uomo al fine di preservare il suo onore. Inizia così un viaggio teso a mostrare l’oscurità di un’umanità alle prese col periodo post-bellico.
Ricordiamo che l’America, in quel preciso momento storico, stava configurando il proprio canone poliziesco secondo il neo-genere del noir. Cane randagio, infatti, prende a piene mani da The Naked City (1948) di Jules Dassin, elaborando e sviluppando il genere con una nuova connotazione umanistica. Questo passaggio di consegne creerà un’eco così profonda da raggiungere perfino Martin Scorsese con il suo The Departed (2010).
L’accoppiata Murakami-Sato, inoltre, delineerà il prototipo della combinazione poliziotto buono e cattivo caratterizzando un nuovo genere, il Buddy Cop movie. Possiamo rintracciare alcuni esempi di questa dinamica in pellicole iconiche come La calda notte dell’ispettore Tibbs (1967), 48 ore (1982) o Beverly Hills Cop (1984).
Il lascito di una nuova umanità
Ikiru (1952) mostra tutto l’estro di un regime riflessivo che verrà sviluppato dal regista durante la fine della sua carriera (Madadayo, Rapsodia in agosto, Sogni). L’autore entra ora in una fase esistenzialista, concentrandosi su temi quale la morte, l’oppressione e il ruolo dell’individuo nella società.
Watanabe è un ligio dipendente pubblico di Tokyo che scopre improvvisamente di avere una malattia terminale. Questo elemento rompe la grigia routine dell’impiegato, spingendolo a riflettere sul vero senso della vita. Ikiru contribuisce alla nascita di un cinema del tempo, teso a guardare dentro l’animo umano e capace di influenzare autori altrettanto fondamentali come Fellini o Bergman. Al film si rifanno richiami contemporanei come Biutiful (2010) di Alejandro González Iñárritu o Living (2022) di Oliver Hermanus.
Possiamo allora affermare che Kurosawa ha costruito un dialogo tra Asia, Europa e America in favore dello scambio e della cultura. Questa connessione, tuttavia, trova ancora ostruzionismo da questa parte del mondo, dove si fa ancora fatica a pubblicizzare e diffondere film d’oltreoceano di maestri altrettanto importanti. Se quello che ci ha lasciato Kurosawa è un ponte per tutte le nazioni del mondo, l’unico modo per farlo funzionare correttamente è attraversarlo in entrambe le direzioni.
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