Kimba, il leone bianco, regna ormai da tempo, dentro la foresta nera!
Un ritornello, una cantilena, un vero e proprio inno per noi che, a inizio anni ’90, credevamo ancora nella bellezza e nella magia dei cartoni animati. Eppure, la storia (certamente controversa) che fa da contorno a questo piccolo capolavoro di Osamu Tezuka non è mai stata tanto celebre quanto la sua rinomata controparte occidentale, da molti definita addirittura un plagio.
Onde evitare di incappare in fraintendimenti, procederemo per gradi e vi forniremo un’analisi attenta e il più oggettiva possibile di una controversia artistica che – tutt’ora – divide gli appassionati: una polemichetta, nonostante l’affetto che proviamo per entrambi questi capolavori di tecnica, trama e animazione.
Kimba, il leone bianco: l’ultimo dei giusti

È il 1950 quando Tezuka realizza l’opera che segnerà una svolta per l’animazione nipponica: Kimba, il leone bianco (Janguru Taitei), un’opera in grado di trascendere la mera narrazione fiabesca intrecciando un classico racconto d’avventura, leggero e adatto a tutti, con il dramma – tra importanti riflessioni sociali e una vivace (quanto personale) critica ambientalistica.
Attraverso una trama apparentemente semplice e personaggi dinamici, “giusti”, il dio del manga (Manga no Kamisama) introduce una profonda riflessione sulla lotta alle diversità. Ispirandosi visivamente all’animazione americana, all’epoca dominata da classici quali Bambi e Pinocchio, Tezuka esorta il lettore a ragionare sul fragile equilibrio tra progresso tecnologico e natura, soffermandosi sull’eterno conflitto tra la forza indomabile della vita selvaggia e il desiderio umano di dominarla.
C’era una volta, nella giungla, il re Panja…

Il saggio leone bianco Panja regna sulla giungla in difesa di tutti gli animali, operando affinché il flebile equilibrio naturale venga rispettato dai più. L’intento del re è creare un rifugio sicuro dalle minacce sempre più invadenti degli uomini: spinto da un’irrefrenabile determinazione, il Re si reca nei loro villaggi, libera il bestiame, attacca i bracconieri.
Tuttavia, come ben sappiamo, il regno dei giusti ha sempre vita breve: il fare altruistico di Panja lo rende un nemico temibile agli occhi dei nativi, che assoldano il celebre cacciatore Hamegg per eliminarlo. Con un crudele stratagemma, l’avaro uomo cattura Eliza, la compagna di Panja, usandola come esca: il Re, infuriato, si reca al villaggio, pronto a morire pur di proteggere la sua famiglia.
Tuttavia, Eliza viene catturata: condotta su una nave, viene destinata a uno Zoo in un luogo lontano dalla sua amata terra natìa. Durante il viaggio, però, la leonessa dà alla luce il piccolo e innocente Kimba. Madre premurosa e attenta, Eliza non esita a trasmettere al cucciolo l’eredità del padre, un ideale di pace e coesistenza, esortandolo a tornare in Africa e regnare sulle bestie. Purtroppo, quando una tempesta infuria e colpisce la nave, il piccolo Kimba naufraga da solo in mare aperto, salvandosi grazie all’aiuto di un topolino.
Crescendo, Kimba entra in contatto con il contraddittorio mondo umano, scoprendone le meraviglie e gli orrori: il progresso tecnologico atto a migliorare la vita, nonché le invenzioni create col solo scopo di distruggerla. Conoscerà presto la legge del più forte, subendo le angherie di bulli e violenti, ma percepirà anche il calore di una famiglia, la forza di una carezza, della carità – quella che in gergo viene definita umanità.
Tornato nella giungla, Kimba si accorge presto che la vera pace non si costruisce con la forza: comprensione, collaborazione e fiducia sono i pilastri fondamentali di una società, sia essa bestiale o meno. Obiettivo primario del giovane sarà trasformare il suo regno in una comunità con dei valori ispirati all’ideale umano di cooperazione e civiltà: insegna ai suoi simili l’agricoltura per ridurre la violenza, promuove l’istruzione e costruisce strutture che favoriscano la convivenza tra specie diverse. Insomma, una Zootropolis del passato.
Nonostante tutto, il cammino del Re-giusto non sarà privo di conflitti interiori: Kimba è pur sempre un leone e dovrà fare i conti con i limiti della propria identità.
Kimba e il sogno utopico di un mondo diverso

Kimba, il leone bianco non è solo la classica storia di crescita e coraggio, ma un manifesto di speranza. La lotta del leoncino per unire due mondi apparentemente inconciliabili – quello umano, dominato dalla logica e dalla tecnologia, e quello animale, dominato dalla forza della natura e la libertà – rappresenta una riflessione profonda sulla necessità di un equilibrio atto a preservare il nostro pianeta, discorso molto caro al mangaka.
Tezuka, attraverso quella che è a tutti gli effetti una fiaba, ci invita a immaginare un futuro in cui progresso tecnologico e rispetto per l’ambiente – e per le forme di vita – possano coesistere, rammentando agli umani che la pace, per quanto difficile da raggiungere, è un ideale che vale sempre la pena perseguire: un discorso contemporaneo, di cui fare tesoro.
Il Re Leone: il rispetto per il Cerchio della Vita

E un bel giorno ti accorgi che esisti
Che sei parte del mondo anche tu
Non per tua volontà. E ti chiedi chissà
Siamo qui per il plagio di chi?
Ammettiamo di averla cantata in coro, eccezion fatta per un insignificante particolare. A conti fatti, con una colonna sonora come Il Cerchio della Vita (Circle of Life), Il Re Leone di Roger Allers e Rob Minkoff non poteva che divenire un cult del cinema d’animazione, un vero e proprio capolavoro di stile e tecnica.
In seguito al suo debutto sul grande schermo nel lontano 1994, gli Studios lo definiscono il primo Classico Disney basato su una storia originale: una terminologia ironica, considerando la controversa natura di una delle pellicole più amate della storia del cinema. Fondamentale, anche in termini economici, per il Rinascimento Disney, il film viene sin da subito acclamato dalla critica per musiche, animazioni e trama, consolidando il ritorno della casa di produzione a storie epiche, inni alla vita e alla preservazione della Natura.
Una genesi turbolenta

Alla luce delle rispettive opere, bisogna tener conto di una serie di fattori prima di poter dare un giudizio più o meno definitivo. La turbolenta genesi de Il Re Leone è abbastanza nota: nato nel 1988 da una conversazione tra Jeffrey Katzenberg, Roy E. Disney e Peter Schneider, diretti in Europa per promuovere Oliver & Company, doveva inizialmente chiamarsi King of the Kalahari e poi King of the Jungle. La trama iniziale prevedeva una lotta tra leoni e babbuini, con Scar come leader di questi ultimi e Rafiki raffigurato come un ghepardo, ma la sceneggiatura subì profonde trasformazioni.
Anche Simba, inizialmente ritratto quale personaggio insulso e facilmente manipolabile, è soggetto a numerose modifiche per diventare un eroe del nostro tempo, pronto ad affrontare il suo percorso di crescita ma non esente da dubbi e timori: un protagonista fallibile, con cui è facile empatizzare. Il titolo definitivo, Il Re Leone, riflette meglio non solo l’ambientazione della savana (e non della giungla, come proposto inizialmente), ma anche il tema centrale dell’opera, ossia il doloroso passaggio dall’infanzia all’età adulta e l’assunzione delle proprie responsabilità.
Oltretutto, lo sviluppo di quello che sarà riconosciuto come il classico Disney più redditizio della storia coincide con quello di Pocahontas, considerato inizialmente il progetto più promettente fra i due: molti animatori di punta preferirono lavorare sulla perla di Mike Gabriel ed Eric Goldberg, lasciando Il Re Leone a un team di artisti emergenti. Questi ultimi si impegnano a fondo, ispirandosi a pittori come Maxfield Parrish e Charles Marion Russell per la realizzazione di scene epiche e indimenticabili, studiando il comportamento reale degli animali avvalendosi del supporto di esperti e modellando le Terre del Branco sul Parco Nazionale di Hell’s Gate, in Kenya.
Plagio, ispirazione o coincidenza?

Da questo momento in poi, possiamo realmente formulare delle ipotesi di plagio, Vostro Onore.
La controversia tra Il Re Leone e Kimba, il leone bianco nasce già nei primi anni ’90, alimentata da appassionati che tendono ad evidenziare le numerose (ed evidenti) similitudini tra le due opere: alcuni luoghi iconici quali La Rupe dei Re e il Cimitero degli Elefanti, ma anche il tema di un cucciolo di leone esiliato dopo la morte del padre, incoraggiato a tornare a casa per ristabilire un equilibrio nel regno.
Oltretutto, il design dei personaggi è pressoché identico: l’antagonista dalla criniera nera e una grossa cicatrice in volto, accompagnato da un pugno di iene, il saggio uccello che dispensa consigli, persino l’apparizione di Mufasa in forma di spirito tra le nuvole – proprio come accade con Kimba.
È pur vero, tuttavia, che a un’analisi più attenta risultano lampanti anche le differenze, legate più che altro all’approccio narrativo e al tipo di avventura proposta: l’opera di Tezuka include elementi fiabeschi, come la presenza della magia, mentre Il Re Leone è incentrato su un dramma più realistico, con un impianto solenne e poetico che trae ispirazione dall’Amleto di Shakespeare, i Libri dell’Esodo o dallo stesso Bambi.
Rispetto e onore tra artisti

Nel corso degli anni, l’ipotesi di plagio ha guadagnato terreno. Decine di animatori e membri della produzione Disney, quali Tom Sito e l’attore Matthew Broderick (voce di Simba), hanno ammesso di conoscere all’epoca il Kimba di Tezuka, negando tuttavia una connessione intenzionale con il film. Malgrado ciò, siamo a conoscenza che alcuni schizzi di Kimba si trovassero nello studio Disney durante la produzione de Il Re Leone – forse per scherzo, forse no.
Tezuka stesso, all’epoca grande ammiratore di Walt, non nascondeva le sue fonti di ispirazione: il dio del manga dichiarò di essersi innamorato della storia di Bambi, tanto da averne realizzato persino un adattamento a fumetti, prodotto inizialmente senza l’autorizzazione diretta di Disney.
La diatriba si risolse in seguito – tant’è che nel 1964 Tezuka incontrò Walt Disney alla New York World’s Fair e Walt in persona espresse il desiderio di voler creare qualcosa di simile ad Astro Boy. In segno di stima, il magnate inviò alcuni animatori Disney per addestrare il team di Tezuka nell’uso dei colori in vista della realizzazione dell’adattamento anime di Kimba, il leone bianco, opera che sarebbe diventata un punto di riferimento per il futuro dell’animazione nipponica. Una forma di rispetto fra artisti e creativi che, neanche 30 anni dopo, si dissolverà quasi del tutto.
Ispirazioni, omaggi: un motivo d’orgoglio

Non è stato tanto il plagio di un’opera degli anni ’50 ad aver creato scalpore, bensì la mancata menzione di possibili ispirazioni a Tezuka da parte del colosso Disney. Citando Billy Tringali, editor del Journal of Anime and Manga Studies:
La critica non riguarda tanto il plagio quanto la mancanza di riconoscimento per l’opera di Tezuka, considerata una forma di rispetto verso l’autore originale.
Eppure, nonostante le similitudini palesi, gli eredi di Tezuka non hanno mai intrapreso azioni legali, riconoscendo le differenze tra i due titoli: un atto che evidenzia come l’arte sia spesso un intreccio di influenze e reinterpretazioni di opere, ricordando a tutti noi che – in fin dei conti – dopo Erodoto è già stato scritto tutto.
Oggi, seppur per motivazioni differenti, Kimba, il leone bianco e Il Re Leone sono considerati due capolavori assoluti: Kimba ha segnato la storia dell’animazione giapponese come il primo anime a colori, mentre Il Re Leone è diventato un’icona globale della Disney, dando vita a una serie di spin-off e sequel più o meno riusciti (tra cui l’ultimo live-action, Mufasa, improntato sulla figura infallibile del padre di Simba).
La reale polemica solleva questioni più profonde riguardanti il riconoscimento delle ispirazioni artistiche: siamo convinti che se gli Studios avessero citato Kimba come fonte d’ispirazione, Tezuka stesso avrebbe accolto positivamente il film, considerandolo un omaggio e, pertanto, motivo di orgoglio.