Sono passati anni da quando la voce di un nuovo progetto su Nosferatu aveva iniziato a circolare a Hollywood. Ci è voluto Robert Eggers, regista classe ‘83 che si è presentato al grande pubblico con una formidabile favola nera, The Witch. Il regista, questa volta, deve però fare i conti con una figura iconica e mitica, ben più radicata nella memoria dell’essere umano rispetto alle streghe o ai guerrieri norreni dei film precedenti e che, da sola, incarna forse il mostro più famoso di sempre: il conte Dracula (qui Orlok, per motivi di copyright). L’immagine del vampiro, prodotta da F.W. Murnau nel 1922, non è servita solo a creare uno dei più grandi capolavori dell’avanguardia espressionista ma anche a rendere carne e materia uno dei più grandi miti letterari della storia umana.
Nosferatu è il Vampiro, il simbolo del mostro che da sempre muta forma e stile su media differenti. L’unico regista abbastanza coraggioso da affrontare l’eredità di Murnau fu Werner Herzog, artista tedesco in grado di spaziare tra la fiction e il documentario senza soluzione di continuità, che propose un remake del film nel 1979. Il suo Nosferatu: il principe della notte è una versione moderna, romantica e solitaria del conte più spaventoso di tutti i tempi. E ora, a quest’ultimo, bisogna aggiungere l’atto di fede di Robert Eggers.
In questo stato delle cose, potremmo allora analizzare l’intera trilogia attraverso la dialettica hegeliana – secondo cui la realtà è un processo perennemente in movimento e sempre in corso, così come la trasformazione perenne della figura di Nosferatu. All’opera di Murnau spetterebbe il ruolo della tesi; a quella di Herzog il ruolo dell’antitesi – dunque la negazione del piano d’origine; mentre a Eggers la sintesi che ricompone le differenze e crea qualcosa di nuovo, somma perfetta delle parti precedenti.
Tesi: l’origine classica del mito
![L'iconico Nosferatu di Murnau](https://screenworld.it/wp-content/uploads/2025/01/3260225.jpg)
L’idea in sé (nella sua natura astratta) appartiene all’originale conte Orlok, espressione del nichilismo e del pessimismo di una Germania sconfitta e povera al tramonto della prima guerra mondiale. Il vampiro di Murnau porta con sé tutte le paure e le ansie di un popolo allo sbando, che presto o tardi avrebbe riversato le sue nevrosi nel Reich tedesco. Il mostro è, difatti, esagerato e volutamente caricaturale in quanto appartenente, in maniera più oscura ed enigmatica, al mondo della natura e non al concreto umano. L’attenzione ai paesaggi e all’ambiente naturalistico del regista tedesco non è casuale ma serve a dare al mostro una dimensione teorica.
Nosferatu è quindi pura idea, intrisa di un odio che si materializza nelle sue paradossali e affilate forme. In una maniera completamente coerente con l’azione dell’avanguardia tedesca, che trasformava la realtà a seconda delle emozioni oscure che governano i cuori di personaggi e spettatori. D’altronde, la famosa “ombra” del vampiro non è altro che la proiezione ultima di questa oscurità, simbolo della dualità che da sempre contraddistingue l’animo umano – diviso tra una parte luminosa e benevola e una ben più tenebrosa e fallibile. Questo Nosferatu non ha empatia e nemmeno la induce, non ha fattezze di uomo (interiormente ed esteriormente) poiché è solo incubo, sogno e monito per un’intera popolazione.
Antitesi: il nuovo principe tedesco
![Kinski](https://screenworld.it/wp-content/uploads/2022/08/Nosferatu_Kinski.jpg)
L’idea fuori di sé, secondo Hegel, è invece l’idea che si perde una volta uscita da sé stessa. L’idea astratta, materializzandosi, si limita e diventa umana: Nosferatu, umanizzandosi, diventa negazione di se stesso e del suo simbolo di puro male. Basta infatti un fugace sguardo negli occhi lacrimosi del conte (qui interpretato da Klaus Kinski) per capirne subito la dimensione umana e tragica.
Il Nosferatu di Herzog diventa quindi il centro per una riflessione esistenziale, perdendo quelle misure esagerate e affilate in favore di un aspetto con cui è più facile empatizzare. Dracula, che qui recupera il suo nome di nascita, è solo un piccolo uomo: solitario, triste e alienato. Una figura tragica dei tempi moderni che, come nelle migliori tragedie di Shakespeare, viene condannata nella sua ricerca di un affrancamento dalla solitudine. Una figura, quindi, che inverte la riflessione sulla natura maligna di Murnau, trasferendola all’interno dell’uomo, come un qualcosa di tragicamente inseparabile.
Lucy (precedentemente Ellen, il personaggio femminile a cui Murnau attribuisce un’assoluta funzione salvifica e un simbolo di pura innocenza) diventa qui la chiave di volta per leggere l’umanità del principe del terrore. Il conte, seppur conscio del pericolo della luce, non può fare a meno di legarsi a lei, condannando se stesso alla morte per via del suo bisogno di amore. Una riflessione più pratica e materica sul bisogno primordiale dell’uomo, al cui opposto giace l’oscurità. Nosferatu è un essere umano e, in quanto tale, destinato alla sofferenza della sua dualità.
Sintesi: infinito e post-moderno
![Nosferatu Bill Skarsgaard](https://screenworld.it/wp-content/uploads/2025/01/foto_0000000220240624114045.png)
L’idea che ritorna in sé, infine, è l’idea che dopo il passaggio alla dimensione materiale (umana e limitata) si fa Spirito e può vivere concretamente attraverso l’uomo. Il traguardo ultimo è allora la piena coscienza di sé.
La lotta interna e psicoanalitica del Nosferatu di Robert Eggers appare chiara sin da subito: il vampiro, qui interpretato dal volto maligno di Bill Skarsgård, si prefigura come una figura dipendente, la cui esistenza è destinata a una rinnovata Ellen (interpretata da Lily-Rose Depp), assoluta protagonista del film e simbolo stesso dell’intera umanità.
Il sistema della sintesi hegeliana si basa su un processo raffinato di taglia e cuci che il regista sembra seguire con attenzione, recuperando ora l’ombra maligna di Murnau (ingigantita e dominatrice), ora l’esistenzialismo di Herzog (traslato all’interno di Lucy). Il conte Orlok recupera anche il nome coniato nel film originale (così come gli altri personaggi), in una chiara e decisa selezione di Eggers che, sacrificando un buon amo pubblicitario, sviluppa una sintesi tra cinema classico (tesi) e cinema moderno (antitesi) in un’opera postmoderna che attualizza il mito. L’intero motore del film diventa Ellen, combattiva e determinata nell’affrontare la calamità che si cela dentro il suo cuore e nel cuore dell’umanità stessa.
È il momento di diventare coscienti della propria parte oscura, ingaggiando una lotta viscerale e carnale che il film tiene a sottolineare sia visivamente, contrapponendo la figura deformata e macilenta del Nosferatu alla grazia della giovane ragazza, sia attraverso i dialoghi (in cui i personaggi si pongono domande sull’origine del male). In questa chiave, il lavoro di Eggers può accostarsi senza sfigurare alle due grandi interpretazioni del vampiro del secolo scorso, delineando una trilogia in cui ogni elemento non potrà essere diviso dall’altro: una summa perfetta. Il regista porta a compimento un’opera che non ha paura di guardarsi indietro per invitarci a una riflessione su ciò che è stato e su ciò che sarà.
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