Si può raccontare la storia di tante persone in un film su un ragazzino sfigato? Si può entrare nelle vite della gente grazie a un’avventura fantasy in salsa vichinga con un drago che sembra una strana via di mezzo tra un’anguilla, un cane e un gatto? Se amate Dragon Trainer, sapete già che la risposta è sì. Perché quella perla animata della Dreamworks, uscita nel sempre più lontano 2010, non smette proprio di perdere smalto. Come se avesse il fascino antico delle storie che non invecchiano. E come tutte le grandi storie, anche Dragon Trainer fa sembrare facili le cose difficili, trovando la profondità anche nell’apparente leggerezza.
E allora, visto che l’ineluttabile remake in live action è ormai alle porte (film che dal trailer sembra essersi limitato a un reverenziale copia e incolla utile come una forchetta nel brodo), cerchiamo di capire insieme perché Dragon Trainer è stato (e continua a essere) un classico animato di inestimabile valore. Tanto da diventare intramontabile. Come diceva qualcuno: certe cose non possono tramontare, perché sono il tramonto. Preparate la sella da drago, agganciatevi bene e godiamoci il panorama.
Credere nel fantastico
Per capire bene la grandezza di Dragon Trainer bisogna partire dalle sue origini. Come forse saprete, i film si basano sulla longeva saga di libri How to train your dragon, scritta dall’autrice britannica Cressida Cowell tra il 2003 e il 2015. La storia del giovane Hiccup destinato a diventare un grande vichingo ammazzadraghi senza alcuna voglia di farlo nasce nella fantasia della piccola Cressida quando la scrittrice ha solo 9 anni. Succede tutto nelle affascinanti isole Ebridi scozzesi, luogo sperduto dominato da una natura incontaminata fatta di scogliere e verde a perdita d’occhio. Qui Cressida passa lunghe estati senza internet e troppe distrazioni, così decide di inventare storie per suo fratello e sua sorella, ispirata alle antiche leggende del posto. Luogo che, nel Medioevo, fu davvero invaso da vichinghi che credevano nell’esistenza dei draghi.
Ecco, lo spirito alla base di Dragon Trainer è quello di una bambina che crede nel fantastico. Un’impronta che è rimasta anche nel DNA di un film che, nonostante l’ironia e le gag, non è mai disincantato, ma crede nel potere della meraviglia. È una cosa tutt’altro che banale, considerando il periodo in cui è uscito il film. Nel 2010 la Dreamworks stava per concludere la saga di Shrek (dissacrante fino al midollo) e aveva avviato da poco quella di Kung Fu Panda, per certi versi molto simile a Dragon Trainer (con il protagonista inadeguato che vive in una società con tradizioni rigide). La Disney salutava l’animazione 2D con Rapunzel, in cui di fatto si prendeva in giro da sola con un revisionismo molto smaliziato, rileggendo in chiave ironica le storie di principesse in pericolo ed principi azzurri diventati mascalzoni. Dragon Trainer, invece, al fantasy ci credeva davvero. Proprio come quella bambina che inventava storie ai confini della Scozia.
Show, don’t tell
A proposito di Disney, siamo cresciuti con una certezza. Nei Classici disneyani arrivava sempre quel momento in cui una canzone raccontava le aspirazioni e i desideri del protagonista. Ecco, la grandezza di Dragon Trainer è tutta nella naturalezza con cui dice le cose senza spiegarle. Facciamo un esempio: laddove un film Disney avrebbe fermato tutto per mettere in scena le frustrazioni di Hiccup, Dragon Trainer se ne esce così. Guardate:
Basta un dialogo spontaneo per dare voce al suo malessere – ed è solo uno dei tanti esempi che rende Dragon Trainer un gioiello di storytelling. Un film che parla di accettazione del diverso, di distruzione dei pregiudizi, di amore e di libertà senza mai fare la morale, mettersi in cattedra o diventare didascalico. Questo perché Dreamworks si è sempre affidata alle immagini per dire tutto e mettere in scena un worldbuilding tanto credibile quanto profondo. Una lezione di “show, don’t tell” a dir poco magistrale. Altro esempio? Per raccontare l’intesa tra Hiccup e Sdentato non servono parole, ma basta una cosa del genere. Pura poesia:
La vita è un fantasy
Poche saghe sono riuscite a fare una cosa molto rara: crescere assieme al pubblico. Nella trilogia di Dragon Trainer, Hiccupp passa da ragazzino pieno di dubbi a giovane consapevole; da figlio intimorito a padre fiero. Come nel più classico dei coming of age che nell’arco di quasi dieci anni ha permesso a tante persone di trasformarsi assieme al protagonista. Un po’ come successo con Harry Potter, Dragon Trainer ha parlato delle vite di molti attraverso una saga fantasy: un fantasy accessibile, credibile e che affonda le sue radici in tanti dilemmi quotidiani. Per esempio: quanto è difficile rendersi conto che siamo diversi da come ci vogliono gli altri? In che modo le pressioni sociali condizionano le nostre vite? Ed è giusto vivere solo in funzione dell’approvazione di un genitore?
Tutti dubbi da cui siamo passati quasi tutti. Tutte domande che ci hanno fatto entrare in grande empatia in Hiccup. La risposta a tutti questi dubbi interrogativi è stata una lezione d’amore purissimo. Perché Dragon Trainer ci ha insegnato che il vero amore non lega, non condiziona, non pretende, ma libera e basta. Come un padre che impara a capire suo figlio. O come un ragazzo e un drago che vanno incontro alla propria natura senza condizionamenti. Come un popolo intero che faceva sentire inadeguato un ragazzino e alla fine ha imparato ad adeguarcisi.
Un coraggio incredibile
Chiudiamo con il pregio migliore di Dragon Trainer: il coraggio. Il coraggio di fare una cosa difficilissima: menomare fisicamente il protagonista. Una scelta molto ponderata dalla Dreamworks, che nella prima versione del film prevedeva Hiccup doveva uscire solo leggermente ferito dallo scontro finale. Non è stato così, perché bisognava trovare quello che spesso manca al cinema mainstream: la voglia di azzardare. Rendere Hiccup disabile non è stato solo un pretesto per legarlo in modo ancora più forte all’handicap della coda di Sdentato, facendoli così diventare complementari, ma è stato un modo brutale per segnare il protagonista.
Per raccontare in modo lampante quanto a volte, per crescere e trasformarci in noi stessi, dobbiamo dire addio a delle parti di noi. Una sconfitta nella vittoria che lascia ogni volta un po’ di agrodolce in bocca e rende il primo Dragon Trainer un film prezioso e raro come una Furia Buia.
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