Ci sono storie che sono fatte per durare. Storie che non esauriscono il proprio potenziale una volta concluso il proprio ciclo ma che rimangono in vita, come creature immortali che hanno il compito di parlare a nuove generazioni. Dune di Frank Herbert rientra senza dubbio in questa categoria di creazioni artistiche: caposaldo della fantascienza, saggio ecologista, storia epica d’amicizia e lealtà, nonché analisi del male, l’opera di Herbert è diventata così universale da dare vita a trasposizioni, spinoff e sequel – perché Arrakis è ancora una terra che merita di essere scoperta.
Il tentativo di David Lynch di portare sullo schermo la storia di Paul Atreides e della Spezia non è stato capito dai suoi contemporanei ed è diventato un cult (coi suoi difetti) solo in epoche successive. Il Dune di Denis Villeneuve – diviso in due capitoli – ha invece colpito immediatamente i fan di Herbert (persino i cinefili più intransigenti) grazie a una sapiente fedeltà al testo e a un impatto visivo che, specie nel secondo capitolo, sembravano fatti proprio per dimostrare che il cinema e le grandi storie non hanno poi grandi limiti. Ed è proprio sulla scia di questo successo che la HBO ha scelto di realizzare Dune: Prophecy, la serie tv disponibile su Sky e in streaming solo su NOW a partire dal 18 novembre.
Dune: Prophecy
Genere: Fantascienza
Durata: 6 episodi
Uscita: 18 novembre 2024 (Sky e in streaming solo su NOW)
Cast: Emily Watson, Olivia Williams, Travis Fimmel, Jodhi May, Mark Strong
Come muoversi nel mondo di Dune: Prophecy
Sebbene non sia strettamente necessario aver letto i libri o aver visto i film che precedono l’uscita di Dune: Prophecy, per poter apprezzare al meglio tutto quello che apparirà sul piccolo schermo rimane quanto meno sensato avvicinarsi a un’opera di questo tipo conoscendone i punti di riferimento e le nozioni base. Le vicende della nuova serie HBO in arrivo su Sky prendono il via ben 10.000 anni prima rispetto agli eventi che vedono il personaggio di Paul Atreides ereditare un ruolo da Messia cristologico.
Se la saga principale di Herbert era incentrata proprio sulle figure di eroi e antagonisti – spesso sempre appartenenti al genere maschile – per narrare la trasformazione di un mondo in fieri, la nuova serie di Dune si concentra su una realtà ben diversa, quella delle Bene Gesserit.
Tratto dal romanzo Sisterhood of Dune, scritto da Brian Herbert e da Kevin J. Anderson – entrambi impegnati da anni ad arricchire l’universo di Frank Herbert con continui salti temporali – Dune: Prophecy si concentra sulla nascita e lo sviluppo della sorellanza capace di gestire il futuro dell’umanità stessa con le loro visioni e la loro capacità di sondare la verità nelle parole di ciascuno. A guidare questa “casata che casata non è” ci sono due sorelle, Valya (Emily Watson) e Tula Harkonnen (Olivia Williams): donne enigmatiche e misteriose che celano dietro sorrisi accennati e mani sporche di sangue un’ambizione che forse non è poi così legata all’esclusivo benessere dell’umanità.
A guidare l’Impero c’è Javicco Corrino (Mark Strong), a cui è stato dato il compito di guidare un mondo che danza su una pace quanto mai labile. Mentre l’equilibrio potrebbe spezzarsi da un momento all’altro, intorno a lui le altre casate si muovono silenziose per accrescere il proprio potere e comandare su Arrakis. L’unica possibilità dell’imperatore risiede in un uomo misterioso (il Travis Fimmel di Vikings) che potrebbe ribaltare le gerarchie delle forze in gioco.
Un’opera non per tutti
Esiste ancora uno zoccolo alquanto duro di spettatori che inorridiscono davanti alla popolarità di un prodotto – come se riuscire a vendere fosse di fatto la prova di un patto demoniaco che annulla l’anima e rinnega qualsiasi ispirazione artistica. Per questo il mondo dell’arte deve spesso sottostare a critiche che non hanno senso di esistere: perché non riguardano il prodotto in sé, ma il successo che esso ha. Per alcuni è inspiegabile (addirittura sacrilego) che una casa di produzione investa del denaro per un prodotto pensato per piacere a quante più persone possibili e ottenere, così, anche un forte impatto economico.
Ed è probabilmente con questo intento che è stata realizzata Dune: Prophecy: diventare una serie epica che riesca a convincere tutti, a piacere a tutti, come se fosse l’erede di Game of Thrones. A dimostrazione di questa “ambizione popolare” si può portare il lungo prologo del primo episodio – un lungo “spiegone” che, per quanto elegante, rimane comunque un info dump alquanto evidente.
tuttavia Dune: Prophecy non può essere una serie per tutti. Non è una serie adatta a chi cerca l’azione e i colpi di scena a ogni costo – perché non è mai stato questo il cuore della saga. In un’epoca in cui siamo sempre più incapaci di seguire storie articolate, Dune: Prophecy rappresenta in un certo senso un’opera che bisogna meritarsi. A dispetto della sequenza iniziale, lo show lascia allo spettatore il compito di comprendere i personaggi, le loro ambizioni e i loro veri volti. È dunque una serie in qualche modo “lenta”, ma mai noiosa, che si concentra soprattutto sugli intrighi e le macchinazioni che avvengono dietro le quinte, dietro un velo ricamato dove volti femminili osservano un mondo che le vorrebbe escluse e che invece le ha trasformate in regine di oscurità.
Una serie alla ricerca della propria identità
Se non si eccede con il pregiudizio iniziale o con l’inutile sport di fare paragoni altrettanto insensati, Dune: Prophecy non perderà l’occasione di sedurre lo spettatore e di trascinarlo all’interno di una storia che si fa più accattivante con il passare degli episodi. Questo non vuol dire certo che si tratti di una serie perfetta: il difetto principale di questa nuova operazione targata HBO è soprattutto quello di non avere una propria identità, di non essere certa della strada da intraprendere o della storia che vuole raccontare. Si passa dagli intrighi di palazzo ai complotti, dalle guerre quasi tecnologiche al fantasy: la bussola di chi guarda, quindi, finisce spesso col ruotare su se stessa senza un obiettivo chiaro da inseguire.
Questo porta a qualche calo di attenzione, soprattutto in quei frangenti in cui la scrittura non riesce a tenere il passo di una recitazione e un impatto visivo che invece si mantengono sempre ai massimi livelli. Dune: Prophecy, dunque, è una serie che piacerà agli amanti di Dune e a quegli spettatori che ritengono che una buona storia debba prendersi il suo tempo per essere raccontata. Non sarà di certo il titolo dell’anno, ma è comunque un’opera dal potenziale impressionante e (forse soprattutto) un buon prodotto di intrattenimento.
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Conclusioni
Dune: Prophecy non è una serie perfetta: al contrario, è un racconto che sta ancora cercando la propria strada. Nel suo viaggio, però, la serie prequel di Dune regala allo spettatore una rete di intrighi e di personaggi che non potranno fare a meno di sedurre chi è privo di pregiudizi e chi non vedeva l'ora di tornare su Arrakis. Grazie anche a una recitazione sublime, la serie in onda su Sky e NOW è senza dubbio una da non perdere,
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Voto ScreenWorld