In queste settimane di inizio estate 2024, molti fan italiani di Bruce Springsteen sono rimasti “vedovi” di due grandissimi concerti (siamo sicuri che lo sarebbero stati) nella splendida cornice dello stadio San Siro. In questi stesse settimane estive si sono susseguite importantissime ricorrenze che hanno scandito alcune delle più importanti tappe della carriera del Boss. Ad esempio, cinquanta anni fa, il primo vero successo del Boss, l’album Born to Run, era nel pieno delle sue registrazioni, (compirà i 50 della sua pubblicazione nell’agosto 2025). Ma una su tutte, per ovvie ragioni, si è guadagnata i titoli e gli onori della stampa: il 4 giugno 2024 il più grande successo della sua carriera, l’album più celebre, Born in the U.S.A., ha compiuto quaranta anni.
Non solo i 40 anni di Born in the U.S.A.
Volendo però andare controcorrente, ci vogliamo soffermare su un’altra tappa del suo viaggio nel Rock che, comunque, reputiamo altrettanto fondamentale. Nel maggio 1981 esce il singolo The River (giusto per rimanere in tema di ricorrenze). Il singolo era tratto dall’omonimo album pubblicato nell’ottobre dell’anno precedente. Ma al di là della sua data di pubblicazione, se proprio volessimo ricercare anche in questo caso la cifra tonda, vediamo che le registrazioni di questo album si svolsero tra l’aprile 1979 e l’agosto 1980 (un processo produttivo tormentato). Siamo dunque in procinto di celebrare i quarantacinque anni di questa pietra miliare della musica springsteenniana.
Working Class Hero
L’album in questione ha giocato un ruolo decisivo per l’aspetto stilistico del giovane ragazzo del New Jersey. Innanzitutto, con questa raccolta Bruce si confermò vero portavoce del popolo statunitense, il Working Class Hero. Rappresentante di tutti coloro che abitavano le strade, i bar, le highways degli States. Pronti a vivere con il vento in poppa, senza mai voltarsi indietro. Difatti, lo spirito e la filosofia che avevano guidato il successo di Born to Run (1975), decoravano ancora i suoi brani.
Tuttavia, The River si mostra come il primo momento di tregua per il Boss. Decide qui di soffermarsi, fare un bel respiro e prendersi una prima pausa dalla sua corsa infinita. Come ricorda lui stesso, nelle pagine della sua autobiografia (Born to Run – L’autobiografia, 2016):
The River fu il mio primo album in cui amore, matrimonio e famiglia vennero timidamente alla ribalta”
Emergono, per la prima volta, le scene dell’altra faccia degli Stati Uniti. Il Boss sta cambiando, non è più la giovane promessa del Rock’n’Roll, pronto ad esplodere e a scalare l’Olimpo musicale. E’ ormai alla soglia dei trenta anni (classe 1949), inizia ad osservare la vita da un’altra prospettiva, di conseguenza scrive e compone con timbri rinnovati. Timbri che deflagreranno nell’album successivo, Nebraska (1982).
Jeremy Allen White sarà Springsteen
Piccola parentesi. Proprio sull’esplosione innovativa di questo album sarà incentrata la pellicola su Bruce Springsteen. Il biopic, Deliver me from Nowhere (tratto dall’omonimo libro) è prossimo alla lavorazione e vedrà Jeremy Allen White nei panni del giovane rocker di Freehold. La pellicola riguarderà le origini e il periodo di produzione dell’album Nebraska (1982), vera opera di rottura nella sua discografia per i sorprendenti toni cupi e tenebrosi.
Odissea produttiva
Tornando alla raccolta del 1979 e affrontando nello specifico la questione del sound di queste tracce, le idee che Springsteen aveva in mente erano molto chiare e decise. Era sicuro su quel che doveva essere il prodotto finale. Ma nonostante ciò, le registrazioni si rivelarono una vera corsa ad ostacoli, che bloccò la E Street Band per molti mesi. Il Boss voleva uno stacco rispetto al sound più controllato con cui aveva dipinto The Darkness Of The Edge Of Town (1978), ricercando un suono ancor più ruvido e rimbombante. Voleva sfruttare anche il suono ambientale dello studio di registrazione, facendo così emergere, quasi a fatica, la sua voce dal frastuono musicale della Band.
Come scritto sopra, le idee erano molto chiare su quel che doveva essere il risultato, ma non su come ottenerlo. Il Boss trascinò l’intero gruppo in una vera Odissea produttiva che lo ancorò nelle sale di registrazione per diciotto interminabili mesi, fino all’agosto 1980.
I miei colleghi sbarravano gli occhi quando dicevo che stavo ancora lavorando allo stesso album dell’anno precedente, e che non si intravedeva la fine. Avrei ucciso per un tour, anzi, per qualsiasi cosa non fosse stata un’altra notte in studio.
Bruce e la soglia dei 30 anni
The River porta alle nostre orecchie l’alba di una nuova fase. Con questo album Springsteen inizia a mettersi alle spalle la gioventù spensierata e ribelle, in cui vogliamo credere a qualsiasi cosa e tutto può succedere. Sono i primi attimi di disillusione. Ascoltando i quasi 80 minuti dell’album, effettivamente, veniamo spinti in una terra di mezzo della sua crescita artistica, con una composizione molto varia. Spiccano canzoni emotivamente profonde e narrative: Stolen Car, Point Blank, Independence Day o la stessa The River, la quale trae ispirazione dall’esperienza coniugale della sorella di Springsteen. Altre, invece, sono trascinanti infusioni energetiche come Out In The Street, Cadillac Ranch o Ramrod. Tra i due estremi si collocano poi altre opere come Hungry Heart (la quale divenne la Hit dell’album, entrando nella Top 10), The Ties That Bind o Two Hearts.
Il rocker, dunque, con un occhio è ancora intento ad osservare dritto nel sole che si staglia sulle Highways americane, con la tipica spensieratezza dei vent’anni. Con l’altro, invece, inizia a perdersi nei luoghi più oscuri e pensierosi che sorgono dopo il tramonto. Non ha una meta precisa il Boss trentenne, la sua traiettoria, curiosamente, è assimilabile al fiume che richiama in una canzone. Non l’omonima canzone da cui deriva il nome dell’album, ma il “river” rievocato in Hungry Heart: un fiume che, per stile e tematiche “don’t know where it’s flowing”.
La depressione all’orizzonte
Il disco, difatti, scorre lento e impetuoso al tempo stesso, adottando l’energia avventurosa che lo aveva contraddistinto fino a quel momento, ma buttando lo sguardo allo stile del suo lavoro successivo (Nebraska, come già scritto), mettendo un piede oltre la soglia dei trent’anni. Si fanno strada nella sua mente alcuni interrogativi. Nei suoi 20 anni non percepiva ancora determinati traguardi, ma in questo momento realizza l’assenza di punti di riferimento. Si guarda intorno e non ha una casa, una moglie o dei figli. Sono le prime nubi che fanno capolino nella sua mente e che sarebbero divampate di lì a pochi anni. Se, infatti, Nebraska si è guadagnato l’etichetta di “Album di rottura” nella discografia del Boss, The River è catalogabile come l’album che ha messo in mostra le prime crepe.
Disincanto amoroso
Bruce Springsteen raggiunge una prima maturità non soltanto artistica. Lascia ancora spazio alla potenza entusiasmante di quell’unico essere che risponde al nome di E Street Band, ma al tempo stesso esprime una forte disillusione. Nell’album del 1978, Darkness of the edge of town, ci mostra vere panoramiche dei viaggi in macchina, trasmette una decisa speranza nel futuro che è figlia della sua giovinezza. Fermamente convinto di essere in orario nel suo viaggio verso una terra promessa (“I believe in a promised land”).
Adesso, a soli due anni di distanza, in The River illustra scenari molto simili, ma con una percezione trasformata. Parla di storie d’amore riferendosi ormai ad un passato lontano. Si trova spogliato di ogni fiducia e rivestito di nuove preoccupazioni (“These days you don’t wait on Romeo’s, you wait on that welfare check”, recita in Point Blank). Sono molteplici i richiami a quei punti di appoggio mancanti (dal “two hearts are better than one” al “I wanna marry you”) e ai tempi in cui si deve pensare all’avere una casa e una famiglia.
Disincanto politico
In tutto ciò, questa maturità e disillusione vengono avvertite anche come primo impegno sociale e politico. Così, la stessa The River viene spesso esibita come manifesto contro le disuguaglianze degli USA di fine anni ’70. La canzone, infatti, riprende anche le vicende del cognato, il quale perse il lavoro per la crisi del settore automobilistico. Il Boss racconta di Stati Uniti sempre più divisi, di promesse non mantenute, di sogni ormai infranti, nella ricerca di una vita quantomeno decente e dignitosa. Si fortifica l’immagine del Working Class Hero, intento non solo a raccontare il proletariato, ma anche a combattere per esso.
Solito Bruce Springsteen ma con un nuovo sguardo
The River potrebbe essere innalzato a massima rappresentazione dei timori e tormenti che il passaggio dalla giovinezza all’età adulta porta con sé. La maestria di Springsteen emerge chiaramente sia nei suoi testi che nelle composizioni musicali, dipingendo un quadro dei giovani ragazzi di fine anni ’70’. Il tutto creando la giusta miscela di poesia e narrazione, delicatezza e potenza, impeto e pacatezza. Un’equazione che riporta i soliti scenari proletari, le solite giovanili storie d’amore e il solito Bruce Springsteen. Ma con quei due anni di distanza dal lavoro precedente che hanno stravolto il suo modo di osservare e interpretare tutto ciò. Non sente più il controllo del volante, ma una crescente paura di venire travolto da un fiume in piena.
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