È inevitabile. Chiunque si approcci a Warhammer 40.000 finirà prima o poi per porsi la domanda fondamentale sulla vita, l’universo e su tutto quello che lo circonda: ma cos’è questa Eresia di Horus? Una domanda la cui risposta vi aprirà le porte di un universo letterario vastissimo, dal quale non potrete non rimanere incantati.
Se Warhammer 40k fosse un’immensa cattedrale gotica svettante di picchi e guglie su millenni di macerie, poggerebbe sulle fondamenta dell’Eresia di Horus. La guerra fratricida che spaccò in due la galassia non è solamente una saga, è LA storia che definisce l’universo cupo e grimdark del 41esimo millennio. Una “caduta degli dei” che precede il lungo crepuscolo di un tetro futuro dove esiste solo guerra.
Alle origini del mito

Alle origini della storia c’è Horus, l’astro fulgido, il figlio prediletto dell’Imperatore, Primarca dei Luna Wolves – diventati poi Sons of Horus – che nel 31esimo millennio (diecimila anni prima degli eventi moderni dell’ambientazione del gioco) cade vittima di un oscuro complotto ordino dalle divinità del Caos. Facendo leva sulle sue umane vulnerabilità, esse si insinuano fino a spingerlo a tradire il padre.
In questo Horus incarna il paradosso del “migliore di tutti”, colui che cade proprio perché troppo grande. La sua ascesa a Signore della Guerra lo espone all’ambizione, all’orgoglio, al fardello della responsabilità e all’innato senso di solitudine che prova nel sentirsi abbandonato dall’Imperatore, il quale si chiude a lavorare al suo grande progetto segreto senza rivelare dettagli a nessuno. Nemmeno al suo pupillo.
È su queste debolezze che faranno leva i poteri perniciosi per fare di lui il proprio araldo. Quando Horus arriva al punto di non-ritorno, abiurando la lealtà all’Imperatore, altri fratelli lo seguono, alcuni trovando così sfogo alla frustrazione e al risentimento nei confronti del padre, altri semplicemente sedotti dalle lusinghe del Caos.
Qualcosa che si reputava impossibile, diviene dunque realtà : scoppia la guerra che infiammerà la galassia e i Primarchi con le rispettive legioni diventano figure tragiche, incarnazioni del destino che li divora.
Un’epopea letteraria

Ogni romanzo della serie nata nel 2006 con L’Ascesa di Horus di Dan Abnett è una finestra su un frammento di questo conflitto, rendendolo di fatto un mosaico corale e stratificato in cui scrittori diversi esplorano momenti, mondi, fazioni e protagonisti con toni e sensibilità diverse. Questo approccio unico nel suo genere permette alla saga di respirare come un unico organismo, donando tridimensionalità e profondità alla storia.
Alcuni romanzi danno uno spaccato militare, altri sono più politici, altri ancora esplorano la componente più suggestiva e mistica del Caos. Ma il filo rosso che lega gli eventi è l’intrinseca umanità dei suoi protagonisti, semidei costretti a confrontarsi con la propria natura imperfetta e con le conseguenze che questo comporta. Il Caos trova terreno fertile nell’idiosincrasia tra l’utopia del progetto dell’Imperatore e la realtà umana.
Una tragedia che tratta temi universali archetipici come il potere, la fratellanza, la fede, il destino, il fallimento. Questo permette di comprendere ed empatizzare con i personaggi, per quanto esseri potenziati, forti, superiori, ma con le stesse contraddizioni che conosciamo anche noi.
L’orrore dagli occhi di un Luna Wolves

Nei primi tre libri dell’Eresia il punto di vista che ci racconta l’apice e la caduta di Horus, è quello del Capitano della decima compagnia dei Luna Wolves, Garviel Loken, membro del Mournival ( il concilio ristretto di Horus composto da lui, Abaddon, Torgaddon e Horus Aximand) .
“Io c’ero” avrebbe detto in futuro, finché il futuro stesso non divenne un tempo privo di allegria. “Io c’ero, il giorno in cui Horus uccise l’Imperatore”.
Non poteva che essere lui a darci il benvenuto all’interno del trentunesimo millennio con le parole dell’incipit de L’ascesa di Horus, che nasconde tra le sue righe una triste ironia.
Infatti, nel suo raccontare la vittoria di Horus contro un falso imperatore, auto-proclamatosi tale, preannuncia inconsciamente quello che di lì a poco sarà il più grande conflitto che l’Imperium si troverà a combattere. Questo rende Loken non solo il protagonista che ci introduce per primo alla storia dell’Eresia, ma anche un profeta involontario del destino che si compirà. Nonostante l’affetto che lo lega ad Horus e ai suoi compagni d’arme, Loken non si piega agli eventi. La sua morale lo spinge a rifiutare ciò che sta architettando il Primarca, divenendo di fatto un nemico di coloro che amava di più: la legione stessa.
E in un contesto di cameratismo, in cui non si è solo membri di una squadra ma fratelli nel senso più profondo del termine, la scelta di Loken rasenta un coraggio e un eroismo che lo rendono di fatto uno dei protagonisti più amati della tragedia. Quando Horus lo sceglie per il Mournival, Loken accetta con la consapevolezza che dire la verità al Primarca significa spesso camminare su un filo sottile. È proprio per questo che la sua voce risuona così chiara nei capitoli iniziali dell’Eresia: Loken ha il coraggio di dire ciò che non conviene, di vedere ciò che non dovrebbe essere visto.
E lo fa con quella compostezza di qualcuno che non vuole essere un eroe, e proprio per questo lo diventa. Come Galvano nel ciclo arturiano, si trova a fare i conti con un destino più grande che lo rende spettatore della caduta di Camelot, così Loken ci offre uno spaccato del prima e del dopo. Attraverso i suoi occhi azzurri scopriamo com’era la vita prima che il mondo smettesse di avere senso, rendendo così l’addentrarsi all’interno della narrazione ancora più evocativo e doloroso.
Loken è l’ultimo Luna Wolves nel senso più puro del termine: non perché sia l’ultimo a sopravvivere, ma perché è l’ultimo a rimanere fedele a ciò che i Luna Wolves avrebbero dovuto rappresentare. C’è un che di struggente nel modo in cui continua a combattere per la verità anche quando questa lo ferisce, anche quando gli strappa via i fratelli, la Legione, la certezza di un mondo che non esiste più.
In lui c’è tutto ciò che di buono resta nell’Imperium: la fermezza, la verità, la vulnerabilità, la capacità di soffrire senza lasciarsi corrompere. Garviel Loken ci insegna che essere fedeli non significa inchinarsi, ma scegliere. E che resistere, quando tutto è perduto, è l’atto più puro di amore verso ciò che si è stati. Loken è questo: l’ultimo raggio di luce che non cede, anche quando la ragione si spegne.
Umani tra gli dèi: i Rimembranti

Tra i molti elementi che rendono l’Eresia di Horus una storia complessa e stratificata, la presenza dei Rimembranti occupa un posto centrale e spesso sottovalutato. Sono artisti, poeti, storici, fotografi, filosofi: individui scelti per documentare la Grande Crociata, per dare un volto umano alla conquista delle stelle.
Nati come strumenti di propaganda, si trasformano, loro malgrado, in osservatori di una verità scomoda, talvolta pericolosa. Umani che camminano tra gli dèi che hanno il compito di preservare e proteggere la Storia; in questo Ignace Karkasy è forse uno dei personaggi più interessanti. Attraverso di lui scopriamo le prime crepe dell’Imperium e le contraddizioni che si cercano di celare. Diventiamo più consapevoli della smania di conquista sotto l’egida del sentirsi unici portatori della Verità, a discapito di culture e mondi che vengono assoggettati con la forza, qualora rifiutino di inginocchiarsi di loro sponte. Il Rimembrante diventa voce fuori dal coro rendendosi conto che si è condannati ad un eterno ciclo di distruzione e rinascita e che nulla perdurerà nel tempo. Neanche l’Imperium.
La sua epifania viene interrotta da alcuni soldati dell’Astra Militarium che non possono accettare simili illazioni, indottrinati fin da piccoli a credere nella permanenza dell’Impero e sentendosi toccati nella più cieca convinzione, usano l’unico modo che conoscono per metterlo a tacere: la violenza e la censura.
L’Impero mostra così sotto la luce del sole la sua natura dispotica, che non ammette repliche e che cerca di spegnere con la forza qualunque tentativo di dissenso.
Sorte diversa spetta ad un’altra grande protagonista della storia imperiale, la rimembrante Euphrati Keeler la quale dà un ulteriore sfumatura di umanità, nel momento in cui traumatizzata da un orrore incomprensibile vissuto in guerra cerca rifugio nella fede. Una risposta che sembra fuori luogo, in un contesto che veicola il desiderio dell’Imperatore di portare razionalità e logica nella galassia, ma così umano che ci mostra la miccia che darà il via all’Impero fondamentalista e bigotto nella propria cieca fede, che vedremo nel 41esimo millennio.
La Fede che condanna e salva

Warhammer è una grande storia di fede su più livelli e l’Eresia di Horus ci permette di vedere da dove nasce uno dei temi portanti dell’ambientazione. Come può l’Imperatore, che ha sempre rinnegato di essere divino, diventare il fulcro di una vera e propria religione diecimila anni dopo il suo scontro finale con Horus? Semplice, sottovalutando il bisogno umano irrazionale di credere in qualcosa.
Tutti credono.
Gli Astartes credono nei loro Signori, nella loro Legione, nella promessa di essere portatori di pace. Alcuni Primarchi, come Lorgar, sono affamati di un credo che l’Imperatore gli ha negato; altri, come Sanguinius, incarnano una spiritualità tragica e profetica; altri ancora, come Curze, vivono nella certezza malata e nichilista che il futuro sia già scritto e sia fatto solo di orrore (ndr: non tanto lontano dalla realtà). La guerra diventa quindi uno scontro tra fedi diverse: la fede cieca nel Warmaster, quella nell’Imperatore, infine la fede negli dèi del Caos.
Eppure, la parte più ironica e dolorosa è che L’Imperatore che voleva essere guida razionale diventa il Dio Imperatore dell’Umanità. E proprio la sua trasformazione in oggetto di culto, che aveva tanto cercato di impedire, è necessaria affinché si tenga insieme un Imperium mutilato dalla guerra civile.
Questo è uno dei grandi paradossi di Warhammer: la fede proibita è ciò che salva l’Imperium, ma di contro è anche la condanna all’epoca oscura del 41esimo millennio.
L’Eresia di Horus in Italia

Per anni questa novella Iliade futuristica ha parlato solo in lingua inglese. Oggi, finalmente, ha una nuova voce in Italia grazie alla pubblicazione organica di Panini Comics, che sta portando nel nostro paese l’immenso ciclo della Black Library. Un’impresa editoriale che rappresenta ben di più della semplice traduzione di una serie di romanzi, ma la restituzione ai lettori di un frammento essenziale di storia.
Nella cupa oscurità del lontano futuro, c’è solo guerra

L’Eresia di Horus è il momento di massima spannung, l’attimo in cui l’ambizione e l’umana natura hanno deviato il destino di un intero universo segnando così la fine dell’epoca della ragione e cedendo il passo all’oscurantismo, alla cieca venerazione nel nome di un dio che non voleva esserlo, il ritorno ad antiche superstizioni e del ristagno tecnologico.
Il 41esimo millennio è figlio di quel tradimento, del dolore, della ferita che dopo diecimila anni pulsa ancora. Leggere il mito dell’Eresia significa comprendere il legame sottile e devastante tra passato e futuro.
Significa entrare in contatto con eroi spezzati e, guardandoli negli occhi, riconoscere anche un po’ di noi.


