Il fallimento è la strada per il successo. L’errore è pratica comune, umana benzina per il motore della creatività dell’evoluzione e diretta innovazione. Grandi figure di spicco della storia di qualunque settore hanno incontrato grossi fallimenti, da Enzo Ferrari a Steve Jobs, per poi rialzarsi dalla polvere di insuccessi rinomati.
Questo capita ovunque, in ogni settore di produzione dove si investono centinaia di milioni di dollari per assicurarsi una fetta di mercato con un progetto – od oggetto – di rara bellezza e funzionalità, assicurandosi nella propria scuderia quel successo mondiale che possa rappresentare anche un passettino in avanti verso un’evoluzione tecnologica per il genere umano.
Di questi discorsi, fallimenti e successi non è esente l’industria videoludica, proprio quella che oggi è considerata come uno dei mercati più floridi – capaci di smuovere acquisizioni da miliardi e miliardi di dollari – ma che agli inizi degli anni ’80 ha seriamente rischiato di chiudere i battenti per via di numerose scelte bislacche che ne hanno causato una forte crisi, da cui il settore è riuscito a riprendersi.
Ma gli errori e i fallimenti sono sempre dietro l’angolo, nessuno si salva da scelte strategiche sbagliate, mancanza di analisi del mercato o, più semplicemente, sfortuna. Eccovi dunque riportati quelli che si possono considerare i 10 clamorosi fallimenti nei videogame, ovvero quei flop che hanno inevitabilmente cambiato le sorti di alcuni dei più grandi produttori odierni di home console.
1. Google Stadia
Partiamo proprio dall’annuncio più recente: Google chiude definitivamente dopo poco più di tre anni la piattaforma di gioco Stadia. Lanciata nel 2019, sfruttando la potenza del cloud gaming, dopo una riorganizzazione interna di recente annuncio, dove Google precisava che avrebbe abbassato le aspettative, adesso è arrivata la scure sul progetto: chiusura definitiva a inizio 2023 e tutti quelli che avevano comprato il controller di gioco, unica periferica richiesta a cui ci si poteva collegare giocando in streaming, sarebbero stati rimborsati interamente.
La chiusura di Stadia dimostra quanto il gioco in cloud sia una tecnologia che deve essere ancora affinata, che tanto si basa su discorso di server, stabilità e potenza del segnale, sperimentazioni dove anche Microsoft e Sony sono ancora in via di definizione e ottimizzazione. Il pubblico ha risposto, curioso, ma la mancanza di una struttura e progettualità non hanno mai portato un vero interesse al pubblico, a dimostrazione che si possono avere le spalle coperte da grandi risorse economiche, ma se non hai un team che conosce il mercato di riferimento, allora aspettati un forte insuccesso.
Mentre Amazon Luna è ancora in una fase di test, possiamo aggiornare la pagina web killedbygoogle e aggiungere un’altra pietra tombale nella lista infinita di progetti nati e chiusi da Google stessa.
2. PlayStation Vita
Dalle stelle alle stalle. Per quanto ci siano stati tantissimi detrattori, il lancio di PSP (PlayStation Portable) sul mercato mondiale è stato un successo che nessuno si aspettava. Parliamoci chiaro, da decenni ormai il mercato delle console portatili è sempre stato in mano a Nintendo, che ha investito fondi impressionanti, avendo dietro il controllo totale di quel mercato. Di dieci persone che si potevano incontrare sul treno a intrattenersi con una console portatile, tutte e dieci sicuramente erano lì ad armeggiare con un Game Boy, un Advance o un Nintendo 3DS. I dati di vendita sono sempre stati lapalissiani a riguardo, ma indubbiamente all’uscita di PSP qualcuno dalle parti di Sony ha gioito e qualcuno a Nintendo ha cominciato a preoccuparsi.
Poi è uscita PS Vita e l’equilibrio è stato ristabilito. Dopo il successo clamoroso di PSP, Sony ha investito serie risorse su PS Vita con l’obiettivo di ritagliarsi una fetta importante, fallendo la prova di maturità: al netto di una mancanza di esclusive, con un numero inferiore di quelle che ebbe PSP, il prezzo non era assolutamente concorrenziale. A ciò si vanno ad aggiungere anche i costi gonfiati di tutte le schede di memoria espandibile, dato che utilizzavano un sistema proprietario di Sony, dunque non oggetti venduti a basso costo. Aggiungeteci anche che la gestione dello schermo touch rendeva difficile giocare ai diversi giochi e il piatto è servito: la console vendette numeri bassi, troppi per Sony che, scottata da questo esperimento, si ritirò dal mercato senza remore.
Ad oggi, paradossalmente, la console è quasi un oggetto di culto, con molti appassionati che armeggiano ancora con il sistema operativo per renderla fruibile ad emulazione e potenziandone le possibilità. Insomma, in termini di potenza non è mai stata una console da sottovalutare, ma a quanto pare la causa maggiore di questo insuccesso è stata proprio la pessima gestione di Sony, che prima l’ha progettata e poi l’ha supportata al pari di un fermacarte.
3. Nokia N-Gage
È un uccello? È un aereo? No, è un Nokia N-Gage. La strabiliante Nokia, produttrice di telefoni indistruttibili tra vecchio e nuovo millennio, agli inizi del 2000 tentò il colpaccio glorioso: creare un telefono che potesse essere anche una piccola console portatile.
Idea brillante sulla carta, qualitativamente accattivante e il nome di Nokia era sinonimo di qualità, insomma cosa poteva andare storto? Tutto, praticamente, che si riassume in un concetto preciso: Nokia N-Gage cosa doveva essere? Un telefono o una console portatile? Nulla di tutto ciò, dove in un’era pre-smartphone, Nokia aveva realizzato a tutti gli effetti un ibrido.
I tasti non era pensati per il gaming, la batteria durava estremamente poco e la stessa struttura dell’oggetto era davvero obsoleta: pensate che per inserire una cartuccia di gioco, bisognava togliere la scocca del telefono e togliere la batteria per trovare infine il vano per le schede di gioco. Un’azione totalmente scomoda e fuori logica, che portava alla necessità di spegnere la console e smontarla nei suoi pezzi ogni volta che si voleva cambiare gioco, con il rischio di resettare parte delle impostazioni di sistema. Nokia N-Gage ebbe vita breve, tre anni scarsi, con un lancio economico che, già dopo due mesi, vedeva un forte sconto. L’insuccesso si è palesato sin da subito e Nokia ha cercato di correre ai ripari vendendo il più possibile per rientrare nelle spese.
4. Kinect
Qualcuno ricorda il Kinect di casa Xbox? Se la risposta è no, non preoccupatevi, perché è stata la stessa Microsoft a scordarsi di questa periferica, annunciata come rivoluzionaria, per poi farla sparire progressivamente dal mercato.
Siamo nel 2009 e il successo di Nintendo Wii ha dimostrato che c’è un’utenza e un mercato per accessori che possano influire sull’azione di gioco.
Con la Wii è stato amore a prima vista, tutti in casa avevano la macchina Nintendo poggiata da qualche parte e il telecomando con sensori integrati allacciato al polso, ma se si riuscisse a eliminare il supporto del telecomando e utilizzare quello che tutti hanno, ovvero il nostro corpo? Ecco l’idea del Kinect, amalgamare una webcam e relativi sensori di movimento per giocare senza altri oggetti.
Idea brillante e rivoluzionaria che ha visto buonissime vendite, ma una pessima gestione da parte di Microsoft, che non è riuscita a rendere la periferica appetibile per il semplice fatto di non avere giochi dedicati che ne potevano giustificare l’acquisto. A metterci il carico è stato anche il fatto che la stessa periferica non funzionava al meglio: la camera non riusciva sempre a riconoscere la forma umana e il controllo di comando vocale non riconosceva mai la voce o le parole espresse.
Per recuperare sui costi, Microsoft cominciò a inserire il Kinect in bundle nella vendita di console, ma alla fine delle vendite ottime, i dati dimostravano che la periferica non la utilizzava nessuno. Un omaggio dato da Microsoft all’acquisto di Xbox che tutti gettavano assieme alla plastica di protezione.
5. Nintendo Wii U
L’abbiamo citata spesso e ora tocca anche alla grande N con uno dei suoi peggiori insuccessi degli ultimi anni: Wii U.
In modo speculare a Sony con PSP, anche Nintendo con la Wii registrò un successo planetario assolutamente impressionante. Grazie al controller, alla possibilità di giocare usando i sensori di movimento e alla totale fruizione assieme con degli amici, ognuno aveva una Wii in casa.
Forte del successo, Nintendo anni dopo lancia l’upgrade, Wii U, che si rivelerà però essere un flop inaspettato. Oltre alle vendite, troppo basse a confronto di quelle fuori scala di Wii, il problema della nuova console fu una pessima gestione comunicativa.
Il pubblico non riuscì a collocare il progetto nel tempo e nello spazio: cos’era quello che vedevano nei video di presentazione? Un potenziamento della Wii? Una nuova vera console? Una periferica aggiuntiva? Alla confusione ha fatto strada un approccio al gioco pieno di ostacoli, con molti sviluppatori che si tirarono fuori dalla produzione di giochi solo per Wii U, dunque essenzialmente la console perse l’interesse del pubblico.
Certo, da questo forte insuccesso Nintendo si è superata ulteriormente, creando dalla base di quel pad grossolano e ingombrante quella che oggi è Nintendo Switch, ma non sono pochi i report che indicano il periodo di gestione di Wii U come uno dei peggiori per la casa nipponica, con una vera e propria crisi interna, che per fortuna il successo di Switch ha risanato; non siamo ancora pronti a un mondo senza Nintendo.
6. Power Glove
Nintendo comunque non era nuova a forti insuccessi nella sua carriera. Andando a scavare a fondo troviamo il Power Glove. Visto oggi potrebbe essere qualcosa di incredibilmente futuristico, un hardware pioniere per il futuro, eppure, come tanti altri casi, si rivelò un insuccesso hardware abbastanza significativo nella storia dell’industria videoludica.
Ricordate Il piccolo grande mago dei videogames? Film per ragazzi del 1989, con un giovane protagonista che si scoprirà avere un talento naturale per i videogiochi, di cui ne seguiamo le avventure fino a un torneo mondiale, con un premio in denaro per chi riusciva ad ottenere il punteggio maggiore a Super Mario Bros 3. Ebbene, ancor prima della sua messa in vendita, in questo film vediamo per la prima volta in azione il Power Glove. Un’astuta mossa di marketing che attirò l’attenzione sin da subito su questo guanto che garantiva l’utilizzo dei sensori di movimento e rilevazione della mano, di chi lo indossava, nello spazio, garantendo una sorte di tridimensionalità nel movimento con le inclinazioni del braccio.
Purtroppo il suo funzionamento era assai complesso e non così semplice così come era stato venduto, anche per via dei soliti problemi riguardo i sensori di movimento che non si applicavano al meglio con tutti i videogiochi del NES già pubblicati. Anche gli stessi giochi sviluppati appositamente per il Power Glove erano terribilmente difettosi, cosa che portò ad un veloce inutilizzo del guanto, lasciandolo nel dimenticatoio. Alcuni analisti hanno indicato questo insuccesso come un evento cruciale per il rallentamento dello sviluppo della tecnologia riguardo sensori e periferiche di movimento nel mondo videoludico, traducendo questo insuccesso come scarso interesse da parte del pubblico, assieme alla mancanza di tecnologie all’avanguardia per rendere questo sogno fattibile per gli anni di riferimento.
7. Apple Pippin
La storia di Apple è contornata da grandi successi a grossi momenti di crisi interna e tra questi si annovera senza ombra di dubbio la terribile tempistica della grande mela di ritagliarsi uno spazio nel mondo videoludico progettando una loro console, la Apple Pippin. Data di lancio: 1995.
I più caparbi avranno già intuito il perché questa console non abbia avuto successo, dato che nel 1995 il settore videoludico ricevette uno degli scossoni più entusiasmanti della storia, ovvero il lancio di PlayStation. Nel giro di poco, tutte le altre case di produzione hanno visto il loro successo minato dall’arrivo della rivoluzionaria console di Sony, con Apple Pippin totalmente fagocitata.
Sony, Nintendo, Sega e ora Apple, che si presenta sul mercato con una console dal prezzo assolutamente proibitivo – più di 600 dollari – con tante ideali promesse e pochissime realizzate nel concreto, quale una connessione stabile a internet (ma il browser interno non funzionava a dovere), l’arrivo di tanti giochi, anche esclusivi (che non arrivarono) e la promessa di avere una potenza pari a un computer Apple (concretamente realizzato, ma l’utenza a questo punto preferiva comprare un Mac piuttosto che una console ibrida).
Insomma, un insuccesso lampo, con una console che vendette appena poco più di 40 mila unità. Numeri imbarazzanti per Apple. Scomparsa dai radar e per fortuna, dalla memoria di tantissima utenza.
8. Sega Saturn
Lo abbiamo accennato prima, e ora bisogna riproporre nuovamente quel terribile periodo storico per chiunque producesse console nel 1995 (e che non fosse Sony). Mentre PlayStation registrava numeri impressionanti, piazzandosi addirittura davanti al Nintendo 64 per dati di vendita, c’era un drago che progressivamente andava ad affievolire la sua forza vitale: Sega.
Il Sega Saturn arriva sul mercato troppo in anticipo rispetto ai tempi, con un prezzo maggiorato rispetto agli obiettivi iniziali, mossa che servì a Sony per presentare nel 1995 la PlayStation. Con un unico e chiaro messaggio, ancora oggi ricordato nella storia, Steve Race, all’epoca presidente di Sony Computer Entertainment, si presentò all’E3 Keynote del 1995, salì sul palco e disse solo una parola (anzi un numero), tornando subito seduto tra gli applausi: 299.
PlayStation sarebbe costata più di cento dollari in meno di Sega Saturn, cosa che ha portato il pubblico ad essere paziente e attenderne l’uscita. Alla potenza maggiorata dell’hardware di Sony, le vendite di Sega Saturn crollarono in tempi brevi, segnando la prima tacca per l’uscita di Sega dalla produzione delle home console.
9. Dreamcast
La domanda dunque sorge spontanea: se il Sega Saturn è stata la prima tacca, la seconda qual è stata? Semplice, il Dreamcast.
In molti identificano il Dreamcast come momento chiave per l’uscita di scena di Sega dalla produzione di console per dedicarsi solo alla pubblicazione di videogiochi, ma questo insuccesso è noto, come abbiamo visto con Sega Saturn.
Dunque i dirigenti interni di Sega si riorganizzano, lanciando nel 1998 il Dreamcast, console rivista e progettata con materiali meno costosi, visto il già grande buco economico lasciato da Saturn. La stessa console era anche un progetto molto valido, riuscendo a sviluppare nuove tecnologie di esecuzione totalmente inedite per il periodo di uscita e, dopo un primo momento di buonissime vendite, arriva ancora una volta Sony a mettere i bastoni tra le ruote. Difatti, dopo il ciclone PlayStation, all’orizzonte vi era un’altra nube scura: PlayStation 2.
Il successo del Dreamcast dunque dura appena un anno, il tempo che è servito a Sony per presentare nel 1999 PlayStation 2 e metterla poi in produzione l’anno successivo. In questo frangente, tutta l’attenzione era per la nuova console di casa Sony. Addirittura cineasti quali David Lynch si prestarono per realizzare spot al lancio. Con la stampa specializzata ormai tutta concentrata sulla nuova macchina di Sony, Sega prese una decisione drastica: nel 2001, dopo neanche quattro anni di vita, dismise la console e la storica azienda decise di uscire dal mercato di vendita.
10. Ouya
In molti avranno sentito parlare di Ouya, in un momento dove si cominciavano a finanziare fortemente i progetti online, con raccolte fondi grazie all’incremento delle piattaforme di crowdfunding.
Il progetto Ouya è uno di questi, nato, finanziato e lanciato con proclami mondiali, per poi morire subito dopo. In cosa consisteva il progetto Ouya? Molto semplice, alla base dell’idea c’era l’obiettivo di arrivare a un pubblico generico, non tanto gli appassionati, bensì quel pubblico definito “casual”, che potesse prendere a tempo perso un pad in mano e giocare. Ma il progetto era open source, dunque gli stessi utenti potevano dare il loro contributo, con ottimizzazioni e potenziamenti diretti. Purtroppo, anche Ouya ha incontrato le solite difficoltà già citate: molti publisher non erano attirati dal progetto, dunque nessuno si impegnò seriamente a portare i loro giochi su Ouya, cosa che ne ha decretato una libreria scarna, con giochi che si potevano trovare anche altrove.
Altro segnale che ne decretò il fallimento, fu che al di fuori di chi finanziò il progetto, al lancio, non ci furono vendite significative, con la console che si fermò a poco meno di 300 mila unità vendute, tanti rimpianti e tanti sogni spezzati. Uno di quei casi che dimostrano ancora una volta che il settore videoludico è come tanti altri settori, qualcosa non alla portata di tutti: si possono avere idee brillanti o fondi illimitati, ma c’è una macchina produttrice che si muove in un determinato verso. Se non si conoscono i meccanismi e non si riesce ad essere al passo con i tempi, difficilmente si riesce a navigare in questo oceano così vasto, ma pieno di squali pronti a divorarti al minimo errore.