Ci sono videogiochi che tengono alte le discussioni per tanti e diversi motivi: Silent Hill 3 era un inno alla blasfemia, GTA V era il colpevole per gli atti di violenza da parte dei giovanissimi e fino a poco tempo fa, nella morsa del terrorismo globale, giochi come Assassin’s Creed venivano bollati come simulatori di attacchi terroristici viste le diverse location storiche e iconiche.
Come poter raccontare dunque Cult of the Lamb al pubblico generalista e indignato, nel momento in cui parliamo di un gioco che coniuga un’estetica morbida e dolcissima a dei sacrifici mortali in nome di entità e divinità sinistre? Cult of the Lamb riesce ad essere il classico specchietto per le allodole, pronto ad accogliere giocatori e detrattori della prima ora, per farli ricredere totalmente.
Cult of the Lamb e il valore del sacrificio
Questa premessa, che potrebbe sembrare totalmente fuori luogo, in qualche modo serve per introdurre quello che possiamo facilmente considerare come il gioco dell’estate, Cult of the Lamb, che dal classico divertimento spicciolo da giocare in solitaria o con gli amici, è diventato un piccolo caso che merita una disquisizione ben più ricca al di fuori della semplice recensione.
Parliamo dunque del gioco: siamo un pucciosissimo agnello prossimo ad un sacrificio, ma poco prima di essere colpiti mortalmente da una lama, veniamo salvati da una divinità: in cambio di questo salvataggio siamo chiamati a costruire un culto in suo nome, raccogliere adepti e sconfiggere alcune entità eretiche, le stesse che ci hanno condotto precedentemente al patibolo del sacrificio.
Cult of the Lamb coniuga una struttura roguelite (tipo Hades o The Binding of Isaac) al semplice gestionale dove adempiere alla supervisione del nostro culto in divenire.
Nella prima parte, partiremo in missioni dal valore offensivo, dove sconfiggere nemici, salvare altri animaletti da morte certa per convertirli al culo e raccogliere risorse per l’accampamento. La parte gestionale invece ci vede impegnati a seguire obblighi e doveri del culto, procurare cibo, pulizia, benedizioni e supporto ai nostri adepti, con questi che ci ricompenseranno con preghiere, punti fede e sacrificandosi in nostro nome. Esatto, avete letto bene.
Oltre la lettura superficiale
Oltre che a predicare il bene su un gruppo di animaletti carinissimi, in caso di estremo bisogno, possiamo usare il nostro carisma per sacrificare gli stessi seguaci per ottenere punti fede in più o agevolazioni di vite extra in caso di morte nell’esplorazione dei dungeon. L’incipit iniziale torna prepotente mentre un’idea si avvicina silenziosa: perché non leggiamo in giro accuse di blasfemia o simili? Eppure ci sarebbero tutte le carte in regola per farlo, nel momento in cui evochiamo enormi tentacoli oscuri pronti a catturare e uccidere un povero fedele davanti ai nostri occhi.
La risposta è che forse, per la prima volta, il gioco riesce a superare l’ostacolo di una lettura superficiale per addentrarsi in un piacevole discorso di usi e costumi del nostro quotidiano, come del rapporto che abbiamo con alcune realtà social e il mondo dei videogiochi.
Un sacrificio, un like
C’è questo momento particolare durante la fase gestionale del nostro culto, dove troveremo per terra escrementi o residui di vomito. I “colpevoli” sono i fedeli e toccherà sempre a noi pulire la sporcizia. Così facendo il gioco crea una particolare connessione di fabbisogno che si riflette a vicenda tra noi, il caposetta, e la setta stessa. Volere fiducia incontrastata richiede attenzione al singolo, l’esigenza del cibo spirituale come quello materiale e anche un buon luogo dove dormire la notte e magari un lavoro che possa portare soddisfazione. Non è in parte ciò che è diventato il rapporto tra star del web e il pubblico spettatore e pagante?
Abbonamenti, piattaforme streaming, storie social, il pubblico pur di sottoscrivere un abbonamento a qualche canale, chiede e pretende il premio, una live quotidiana, server privati ove parlare tipo confessionale e predicare su forum e altri social il verbo. Mai con in altre situazioni, Cult of the Lamb sembra inserirsi perfettamente in questo contesto social(e) terribilmente attuale.
La menzogna della fiducia
Anche il miglior fedele può essere un ottimo agnello sacrificale, anzi, c’è questa cinica meccanica di gioco per cui più un adepto sarà fedele al culto più punti e relativi bonus si otterranno, nel momento in cui decideremo di sacrificarlo.
Per riprendere il discorso iniziale di letture approfondite, oltre al semplice divertimento videoludico, questo aspetto rispecchia in modo brillante il rapporto di fiducia assai particolare che si crea tra un videogioco e il videogiocatore. La memoria torna al recente remake di The Last of Us – Parte 1, e il suo sequel: due giochi che ci hanno regalato l’esperienza di metterci nei panni di un personaggio a prima vista buono, portandoci nel finale a riorganizzare tutte le idee che avevamo su di lui e le sue buone intenzioni di partenza.
Una menzogna spinta con insistenza dall’inizio, a cui abbiamo creduto senza battere ciglio, per poi trovarci dall’altra parte della barricata, chiedendoci se effettivamente ciò che abbiamo fatto era davvero giusto o no.
La mente corre nella terra dei colossi di Shadow of the Colossus: la fierezza della missione, la purezza del cavaliere per salvare la sua amata, la bugia comunicata con voce tra i venti e la condanna inevitabile che ci porta ad essere quell’oscurità che abbiamo cacciato con tanta violenza.
Ma potremmo continuare il discorso anche con Braid, The Witness e tanti altri. Cult of the Lamb persegue questo obiettivo allo stesso modo, seguiamo un ordine che ci viene imposto, lo seguiamo senza poter uscire dal percorso segnato per soffrire o gioire delle scelte che ci vengono donate dagli sviluppatori.
Allo stesso modo, ogni dono, ogni benedizione che saremo in procinto di dare ad un adepto già nella nostra lista come prossimo sacrificio, ha quel sapore terribilmente simile alla promessa che Joel sigla con Ellie alla fine del primo The Last of Us.
Giocare Cult of the Lamb non regalerà certo le stesse sensazioni del mastodontico franchise firmato da Naughty Dog, ma approfondendo la struttura ludica, la grammatica di gioco e le meccaniche presenti possiamo saggiare con mano i valori produttivi di un titolo che ancora oggi non smette di essere oggetto di discussioni e di chiacchiere, che riesce ad essere un divertimento ben più ricco di quello che per cui viene facilmente riconosciuto, ovvero quel gioco dove creare culti e sacrificare adepti. Oltre il fuoco sacrificale c’è molto, molto di più.