True Detective, soprattutto la prima stagione, è diventata un cult della televisione che ha influenzato in modo significativo il genere dei drama/thriller negli anni a seguire. Prodotta da HBO, nasce come un’operazione quasi respingente nei confronti del pubblico: intensa, verbosa, complessa – sia da un punto di vista tecnico che tematico. Eppure, nonostante puntasse a conquistare quasi una nicchia di pubblico più “esigente”, diventa un fenomeno globale in pochissimo tempo. Una delle caratteristiche forse più importanti di tutto lo show è di prendersi sempre molto sul serio, senza mai scendere a compromessi, mettendo al centro del racconto il dramma dei protagonisti, spesso legati da fili sottili seppur con punti di partenza diametralmente opposti. Questo, ovviamente, ha portato anche a passi falsi molto rumorosi; la seconda stagione, al netto di un grande Colin Farrell, fallisce miseramente nel rispettare le aspettative generate dal primo, glorioso ciclo di episodi.
Certo, è cosa risaputa che il network mise molta fretta a Pizzolatto (autore di True Detective) per consegnare in tempi “utili” il prodotto (c’era necessità di capitalizzare l’hype attorno al brand, senza andare troppo in là con la distribuzione della seconda stagione) e il risultato fu figlio di questa richiesta. La terza stagione invece torna sui binari giusti, rappresentando anche il canto del cigno di Pizzolatto che da lì in poi non metterà più le mani su True Detective. Il suo approccio creativo molto rigido e le esigenze dell’emittente non coincidevano più, e quindi tanti saluti.
Questo non ha determinato però la fine di True Detective, che HBO rilancia cambiando squadra di produzione, inserendo un sottotitolo specifico per questa quarta stagione (Night Country) e ingaggiando Jodie Foster nel ruolo di una delle due protagoniste. Quindi si riparte, senza Pizzolatto ma comunque con grande entusiasmo – soprattutto dei fan storici, che bramava ardentemente una nuova storia antologica.
E le cose funzionano, almeno per i primi due/tre episodi, poi qualcosa si rompe. True Detective Night Country non riesce a centrare forse l’unico bersaglio che non poteva mancare: essere fedele a sé stessa. Questi sei episodi invece ricchi di citazionismo, strizzate d’occhio e suspance costruita ad hoc sono qualcosa di diverso. Una serie poliziesca con una forte base thriller che poteva, e forse doveva, chiamarsi in un altro modo.
L’omicidio e gli ammiccamenti
Andiamo dritto al punto: la costruzione del mistero, la risoluzione dello stesso e anche parte dello svolgimento sono piuttosto scadenti. Senza fare spoiler, la serie è piena zeppa di allusioni alla prima stagione (alla famiglia Tuttle, alle spirali, alla famiglia di un certo personaggio), tutti elementi che portano al nulla cosmico e senza la benché minima spiegazione o contestualizzazione. Peraltro, la stessa HBO ha perpetrato una campagna marketing che definire ingannevole è poco. Il materiale promozionale allude continuamente a collegamenti e sviluppi relativi ad una ipotetica trama orizzontale che unisse le quattro stagioni; nulla di più falso. Alla fine, come dice Jodie Foster nell’ultimo episodio, “non tutte le domande hanno delle risposte”, e a fronte di come è stata impostata la narrativa di queste sei puntate è davvero un colpo basso.
Senza contare gli elementi soprannaturali costantemente presenti e mai spiegati, lasciando in mano allo spettatore un’interpretazione che sarà comunque fallace visto lo scarso sviluppo narrativo, pieno di cliché e pigrizia. Sembra che Night Country sia stata assemblata ad arte, pescando elementi tipici del genere per poi cucirli addosso ad un generico modello “True Detective” che sembra quasi voglia scimmiottare il materiale originale. Un calderone dentro il quale vengono buttati dentro un pizzico di misticismo, un po’ di inquietudine, una spruzzatina di personaggi travagliati e un’aggiunta finale di potenze economiche con secondi fini. Senza però concentrarsi davvero su niente, e questo forse è il vero “delitto”:
Personaggi piatti
Molti, negli anni, hanno scambiato True Detective per una serie crime. Al contrario, stiamo parlando di drama che utilizza il crime come scenario. Un po’ come Interstellar è un film d’amore in un contesto sci-fi. Non si tratta di un vezzo da cinefili o intellettuali, è un passaggio determinante per capire bene perché Night Country alla fine non funziona. Ripensando alle stagioni originali scritte da Pizzolatto, ci si rende facilmente conto che il cuore del racconto sono i personaggi, i loro conflitti, le loro evoluzioni, il modo in cui interagiscono e come contribuiscono l’uno allo sviluppo dell’altro.
Una coppia (dimentichiamo la seconda stagione) di investigatori quasi distrutti dai loro demoni, ossessionati da un mistero che li porterà a capire anche molto di più di loro stessi. Si potrebbe quasi dire che True Detective cita la Divina Commedia e non solo nel suo sviluppo, nel modo in cui racconta i suoi protagonisti e come mette in scena il loro dramma. Night Country si dimentica tutto questo, mettendo una enfasi piuttosto goffa nel provarci, ma la scrittura manca di forza, qualità, ispirazione. Paragonare Navarro e Danvers a qualsiasi altro frontman della serie sarebbe impietoso, e anche il finale che prova ad essere poetico fallisce, generando domande piuttosto che regalare una riflessione.
Night Country in buona sostanza semplifica la sua formula, la rende meno respingente presso il pubblico generalista, mascherandosi da serie “autoriale” quando in realtà calza perfettamente il costume del mainstream recente. Il che non è assolutamente un male, ma avrebbe dovuto chiamarsi in modo diverso. HBO ha invece preferito fare leva sul brand per attrarre pubblico realizzando poi un prodotto che, per i fan più affezionati, può anche avere il profumo di presa in giro ed inganno.
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