Non crediamo di offendere nessuno se affermiamo con convinzione che Il Trono di Spade sia stato uno dei più grandi, importanti e probabilmente anche irripetibili fenomeni seriali della storia della TV – d’altronde già qualche settimana fa avevamo provato (forse inutilmente) a incoraggiare tutti a far pace con l’ultima stagione. Ma se per qualche motivo non foste ancora convinti, o vi foste anche solo parzialmente dimenticati della forza di quelle storie inventate da George R. R. Martin e poi abilmente trasposte in immagini dalla HBO, state pure tranquilli perché molto probabilmente ci penserà questo prequel intitolato House of the Dragon a farvi cambiare idea. E vi assicuriamo che basteranno poche note – quelle celebri e amatissime firmate Ramin Djawadi, autore anche questa volta della colonna sonora – per riportarci tutti a Westeros.
Non che questa nuova serie sia la copia di Game of Thrones: come vedremo in questa nostra recensione di House of the Dragon, le similitudini sono presenti ed ovviamente gran parte delle ambientazioni sono le stesse; eppure questo prequel – tratto a sua volta da uno spinoff letterario del 2018 dello stesso Martin e intitolato “Fuoco e sangue” – riesce effettivamente fin da subito a sembrare un qualcosa di sufficientemente diverso, tanto nei toni quanto nei contenuti. O quantomeno quel tanto che basta da giustificare in pieno questo tipo di operazione e non farla sembrare semplice marketing: cosa niente affatto scontata di questi tempi, House of the Dragon sembra davvero avere qualcosa di nuovo da aggiungere rispetto a quanto già visto nello scorso decennio.
House of the Dragon
Genere: Fantasy
Durata: 60 minuti ca./10 episodi
Uscita: dal 22 agosto in esclusiva su Sky, in streaming solo su NOW in contemporanea assoluta con gli Stati Uniti.
Cast: Paddy Considine, Emma D’Arcy, Matt Smith, Olivia Cooke, Steve Toussaint e Rhys Ifans.
Tra spinoff e prequel: una trama meno spezzettata…
La trama di House of the Dragon è ambientata quasi due secoli prima degli eventi visti in Game of Thrones: ben 172 anni prima che Daenerys nascesse e che suo padre, il Re Folle, venisse assassinato da Jamie Lannister. Quando i draghi ancora dominavano i cieli e i loro padroni, i Targaryen, avevano l’assoluto controllo dei Sette Regni di Westeros. Ma anche se parliamo di tempi molto antecedenti e possiamo quindi trovarci spaesati in mezzo a tante famiglie che non conosciamo, di una cosa possiamo essere assolutamente certi: quel trono di ferro forgiato da oltre mille spade è e sarà sempre l’ambizione di molti nonché causa di guerre e intrighi all’interno della Fortezza Rossa così come altrove.
Ed è proprio dalla proclamazione del nuovo Re Viserys Targaryen (un convincente Paddy Considine) – preferito, in quanto uomo, alla cugina Rhaenys Velaryon – che cominciano i problemi: contestualmente all’incoronazione nascono alleanze, faide e vendette che dureranno decenni e avranno ripercussioni sull’intero continente. Tutto per un trono fatto di spade. Nella sua essenza, quindi, la trama potrebbe sembrare la stessa della serie originale; la differenza sostanziale però sta nel fatto che in Game of Thrones era appunto l’improvvisa mancanza di un Re a causare l’inizio del “gioco dei troni” tra molteplici famiglie nemiche e diversissime tra loro, mentre qui tutto comincia con l’insediamento di nuovo monarca che in realtà non fa altro che consolidare l’assoluta supremazia dei Targaryen. A differenza di GOT, qui non c’è da fare il tifo per una famiglia o un’altra, tutti gli intrighi (o quasi) sono a corte ad Approdo del Re, così come (quasi) tutte le lotte sono intestine. Di conseguenza la narrazione è molto meno frammentata, con pochi “salti” da una parte all’altra di Westeros e non così tanti “punti di vista” come quelli a cui eravamo abituati.
…ma altrettanto complessa e ricca di intrighi e personaggi
Questo non significa, ovviamente, che i personaggi siano pochi, anzi. Proprio come succedeva nelle prime puntate de Il Trono di Spade, aspettatevi una certa fatica nello stare appresso a tutti i nomi, tutti i gradi di parentela e più in generale ad una comprensione immediata e assoluta di tutto quello che ci viene presentato. Ma in fondo era una delle caratteristiche (vincenti) anche della serie madre, ed è bellissimo perdersi di nuovo in un universo così complesso e stratificato. Al netto dei protagonisti (tra cui spicca il fratello ribelle del re interpretato da Matt Smith), quello che sembra mancare, almeno nella prima parte di questa stagione, è forse la presenza di un gran numero di personaggi di grande spessore, almeno per quel che ci è dato sapere e capire da subito.
Facendo un veloce confronto con quel primo episodio di GOT è indubbio che personaggi come Tyrion, i gemelli Lannister, Ser Jorah o anche il Mastino colpissero molto di più la nostra immaginazione fin da subito rispetto ai comprimari di House of the Dragon: è altrettanto vero, però, che moltissimi dei beniamini nostri e di tutto il pubblico si siano poi rilevati solo andando avanti con gli episodi e le stagioni. Lecito quindi pensare che lo stesso potrebbe accadere anche con questa serie; anche perché effettivamente, già nei sei episodi che abbiamo potuto vedere in anteprima, risulta evidente come più la trama si dipana e più emergano e acquistino importanza alcune figure solo apparentemente minori.
La principessa sul Trono di Spade
Quello che però è assolutamente evidente è l’importanza centrale nel racconto della figura della Principessa Rhaenyra Targaryen: figlia del Re ed erede naturale al trono, ha un carattere forte fin da giovanissima e per questo è molto amata dal popolo e dai sudditi ma anche temuta da chi non vorrebbe mai vedere una donna regnare su Westeros. Brillantemente interpretata, nei primi cinque episodi, dall’australiana Milly Alcock, Rhaenyra sembra davvero essere la protagonista assoluta della serie, con un look ed un carattere non troppo dissimile da quella della sua futura discendente Daenerys.
Se però la futura Regina dei Draghi ha dovuto combattere tutta la sua vita per tornare ad Approdo del Re e riprendersi quella corona con la forza, Rhaenyra è già destinata al trono, le è già stato promesso dal padre più volte e pubblicamente, ma sa benissimo che dovrà anch’ella combattere per ottenere ciò che le spetta per nascita, ma che non tutti le riconosceranno. Perché è una donna: un tema questo molto più presente e accentuato rispetto a GOT, che rende questa House of the Dragon particolarmente affascinante e molto attuale, forse perfino più di quanto lo fosse la serie precedente. Alcune scelte molto coraggiose e “moderne” di Rhaenyra, così come i rapporti spesso burrascosi con la sua famiglia o la sua amica d’infanzia Alicent Hightower, catturano l’attenzione dello spettatore ma al tempo stesso ci rendono parte di quegli stessi intrighi, inserendoci in situazioni dove apparentemente non c’è una via d’uscita. Ed è così che, episodio dopo episodio, la trama si fa sempre più fitta e complessa pur mantenendo sempre al suo centro la stessa principessa.
Un cambio di passo (e cast) a metà stagione…
L’esempio migliore dell’efficacia della performance della giovane Alcock è il dispiacere che si prova quando, a metà stagione, siamo costretti a lasciare la Rhaenyra che avevamo appena cominciato ad amare. Non si tratta di nulla di nuovo, anzi ormai sempre più spesso (si pensi a The Crown o a L’amica geniale) le serie che fanno un importante salto temporale scelgono un cambio di cast: qui accade esattamente nel pieno della stagione, e va detto che la consapevolezza di quel momento, comunque annunciato e inevitabile, lascia non poco amaro in bocca. Merito appunto dell’ottimo casting e in particolare di quello di due attrici, la già citata Alcock ma anche Emily Carey, dalla notevole presenza scenica. Gli showrunner sono però bravissimi a far coincidere questa dolorosa scelta con un cambio di passo e tono davvero efficace: l’inizio del sesto episodio, con l’arrivo in scena di Emma D’Arcy e Olivia Cooke, è di quelli indimenticabili e apre davvero le danze per una seconda parte di stagione a dir poco incandescente.
…in attesa della Danza dei Draghi
Chi conosce i libri di Martin, sa che viene definita come Danza dei Draghi quella che fu una vera e propria lotta di successione in seno ai Targaryen: più si va avanti con gli episodi, e più è evidente che questo è quello che si propone di raccontarci questa nuova serie. Non la storia o la nascita di un’importante dinastia, ma semmai l’inizio della sua fine.
E se è vero che la guerra vera e propria arriverà soltanto dopo, probabilmente nelle prossime stagioni, questi primi episodi ci hanno comunque confermato che in quanto a brutalità e violenza House of the Dragon non è certamente seconda a nessuna, tantomeno a Game of Thrones. Ci ha insegnato piuttosto che le guerre possono essere combattute in tanti modi, e che da queste parti anche un semplice parto, l’atto di mettere al mondo un figlio, o “peggio ancora” una figlia, può essere brutale, addirittura suicida, e considerato come una dichiarazione di guerra. Bentornati a Westeros; bentornati nel mondo di George R.R. Martin, lo stesso (non ve lo sarete scordati, vero?) delle famigerate Nozze Rosse. Quello in cui non c’è pietà o lieto fine per nessuno.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Dare un prequel ad una delle serie più amate (e discusse) di sempre richiedeva coraggio e qualità: House of the Dragon fin dal primo episodio dimostra di averli entrambi in abbondanza. Ma proprio come per la serie originale, è soltanto proseguendo con gli episodi successivi che si capiscono le vere potenzialità di una serie che non è mai una mera copia, ma ha personalità e fascino in abbondanza, a partire dal cast e dalla messa in scena. Non sappiamo se sarà un successo all'altezza di Game of Thrones, ma ci auguriamo altrettanta longevità.
-
Voto ScreenWorld