La prima stagione ha diviso critica e pubblico, polarizzando i verdetti: c’è che ha parlato di un’opera priva di coesione, dalla sceneggiatura asimmetrica e imperfetta, e chi invece si è subito innamorato della profondità, della ricchezza e dell’originalità di un fantasy che esce dagli schemi e si fa metafora del presente.
La serie è Carnival Row, i volti chiave sono quelli di Orlando Bloom e Cara Delevigne, ed è finalmente tempo, dopo tre anni di attesa, di far ritorno alle atmosfere vittoriane che la contraddistinguono.
Carnival Row, infatti, affonda le proprie radici nell’immaginario steampunk, che fa convivere baionette, treni, ghigliottine e palloni aerostatici con fate, fauni, streghe, profezie e altri tratti tipici del fantasy più convenzionale.
Niente foreste incantate, fiabe e castelli, insomma, bensì una cupa ambientazione urbana che ricorda piuttosto la Londra di Jack Lo Squartatore.
Le peculiarità, tuttavia, non finiscono qui: la serie sfida ogni convenzione, e attinge anche a piene mani al repertorio del noir e del political drama, del conspiracy e del soprannaturale.
Per qualcuno fa il passo più lungo della gamba, per altri è un’autentica gemma nascosta da riscoprire, di incredibile attualità.
Malgrado il primo atto abbia suscitato una ridda di polemiche, Amazon Prime ha scelto di premiare lo stesso i propri affezionati spettatori con una seconda e ultima stagione, a cui spetta il compito di concludere adeguatamente un universo narrativo dal potenziale innegabilmente molto più vasto.
Una decisione lodevole, che dal 2020 a oggi si è però scontrata dapprima con un cambio di direzione creativa, poi con la pandemia e infine con mille esigenze di postproduzione.
Ora, tuttavia, l’attesa è finita: ecco la recensione della seconda stagione di Carnival Row.
Carnival Row 2
Genere: Fantasy, steampunk
Durata: 60 minuti / 10 episodi
Uscita: 16 febbraio 2023 (Prime Video)
Cast: Orlando Bloom, Cara Delevigne
Dove eravamo rimasti? La trama in breve
Diviso tra umani e immigrati di stirpe fatata, lacerato dalle disuguaglianze economiche e dilaniato dall’odio razziale, lo stato di Burgue è ormai una polveriera sul punto di esplodere.
Al termine della scorsa stagione, il detective Philo ha scoperto di essere in realtà il figlio mezzosangue del saggio e pacifico Cancelliere di Burgue, Absalom Breakspear.
Il precipitare degli eventi, tuttavia, non gli ha dato modo di rendere pubblica la notizia e di rivendicare la propria eredità.
Dopo la morte di Absalom, assassinato da sua moglie Piety, al potere ora è salito il suo debole e viziato figliastro Jonah, che ben presto finisce per diventare una marionetta nelle mani della bella e spietata Sophie Longerbane.
Dopo aver attribuito pubblicamente la morte del Cancelliere alle creature fatate che vivono ai margini della città, il nuovo leader ha ordinato di segregarle tutte all’interno della Carnival Row, che si trasforma rapidamente in un ghetto con condizioni di vita a dir poco tremende.
Deciso a non separarsi di nuovo dalla sua amata Vignette, Philo ha rivelato al mondo di essere un mezzosangue, e ora vive con lei al di là del filo spinato.
La fata, intanto, continua a militare nei ranghi della fazione terroristica dei Black Raven, che assalta i convogli per rubare medicinali e sogna di far valere i diritti degli oppressi con ogni mezzo possibile.
La leader del movimento, Dahlia, tuttavia continua a non fidarsi dell’ultima arrivata, temendo che Vignette possa mettere in discussione la sua autorità.
Intanto Tourmaline sperimenta misteriosi visioni di morte, e inizia a sospettare che non si tratti di semplici allucinazioni.
Il fauno Agreus e la nobile umana Imogen, invece, sono riusciti a fuggire con una nave prima del nuovo decreto del cancelliere, e attraversano l’oceano per cercare fortuna nelle terre del Patto.
Ad attenderli, però, troveranno un’amara sorpresa…
Un’impietosa metafora del presente
Malgrado il cambio di showrunner, con l’arrivo di Erik Oleson, la seconda e ultima stagione di Carnival Row non muta la propria rotta, e anzi spinge a fondo l’acceleratore sui temi cardine che avevano contraddistinto il precedente ciclo di episodi.
Si attenuano, anzi, gli elementi mistery e investigativi per lasciare spazio a un filone politico-sociale sempre più marcato, e a un’esplicita rilettura metaforica del Novecento e del mondo contemporaneo.
Malgrado una struttura narrativa non sempre perfetta, e nel complesso meno convincente della prima stagione, Carnival Row 2 ha l’indubbio merito di spingere il fantasy oltre i confini dell’epica e del mero intrattenimento.
Discriminazione razziale, stato di polizia, propaganda, abusi della polizia e segregazione, ma anche manipolazione del consenso, manovre di palazzo e aspirazioni totalitarie: nelle strade di Burgue e nei corridoi del potere cittadino si annida tutto questo e molto altro, ed è davvero impossibile non cogliere un forte rimando all’antisemitismo novecentesco, all’odierna condizione delle minoranze ispanica e afroamericana negli Stati Uniti, alle decennali tensioni nella regione dei Balcani e, perché no, anche a determinate situazioni molto più vicine alle nostre vite.
Sotto questo punto di vista, Carnival Row ha il merito di osare parecchio, e di avvicinarsi molto di più al contenuto dei cupi e maturi romanzi fantasy di Andrzej Sapkowski di quando non faccia la stessa serie The Witcher.
Il tema viene affrontato con un linguaggio adulto e consapevole, mai edulcorato, rifuggendo le semplificazioni e le derive manichee: anche la rabbiosa reazione degli oppressi può finire per generare mostri, innescando cicli di violenza e ritorsione senza fine.
Carnival Row affronta questi temi a viso aperto, e si chiede se la rabbia e le tensioni possano smorzarsi dopo aver raggiunto quel che sembra un punto di non ritorno.
Un dilemma quanto mai attuale …
Qualche passo falso di troppo
A fare da contrappeso a questa visione lucida e profonda è una sceneggiatura non sempre altrettanto nitida e incisiva, che nella seconda stagione si trova costretta a portare a conclusione un progetto narrativo decisamente molto più vasto e ambizioso.
Il peso di questo compito si avverte eccome, e non di rado si avverte la fatica del nuovo showrunner Erik Oleson nel suo tentativo di riannodare tutti i fili rimasti in sospeso.
Il bilancio è in chiaroscuro: malgrado la smisurata grandezza della città, tutto sembra ricondurre sempre agli stessi luoghi e accadere con una sincronia fin troppo perfetta.
Come se non bastasse, si fa ricorso anche ad alcune forzature narrative ancor più marcate, come quella di rinchiudere i nostri personaggi in celle adiacenti, sebbene siano incarcerati per reati molto differenti.
Nel complesso le ingenuità sono innegabili, e ad essere sinceri superano di parecchio quelle dell’ottima prima stagione.
Non tutte le storyline, inoltre, risultano così accattivanti, e il ritmo della scrittura, soprattutto nelle puntate di metà stagione, occasionalmente può finire per annoiare o comunque non lasciare il segno nel migliore dei modi.
Ciò nonostante, Carnival Row 2 ha comunque il merito di fornire una solida e soddisfacente conclusione alle serie, rispondere adeguatamente a tutte le domande rimaste in sospeso e proporre anche un a sequenza di colpi di scena efficaci e avvincenti.
Missione compiuta, seppur con qualche sobbalzo di troppo lungo il tragitto.
Un mix coraggioso e suggestivo
Una sottolineatura ulteriore la merita invece il coraggioso mix di generi e linguaggi realizzato dagli autori, che rappresenta un unicum nel panorama della serialità contemporanea.
Anche nella seconda stagione di Carnival Row ci sono un mistero da svelare, un assassino da scovare e una scia di piste da seguire.
Per ovvie ragioni scompare quasi del tutto il tono poliziesco che caratterizzava prima stagione, dal momento che Philo non è più un membro delle forze dell’ordine di Burgue, ma nondimeno si coglie distintamente una nota noir nel succedersi delle varie puntate.
C’è la politica – tanta politica – con un parlamento, due partiti, tanta diplomazia sottotraccia, una rete di rapporti internazionali e un intero nuovo continente tutto da esplorare, ossia quello del Patto, ora governato dalla Nuova Alba, che molto ricorda la Russia comunista all’indomani della rivoluzione di ottobre, o altre analoghe derive dell’utopia socialista.
Non manca neppure l’amore, che sia nel caso di Philo e Vignette che in quello di Agreus e Imogen è chiamato a fare da ponte tra i mondi, le razze e gli schieramenti in lotta, regalandoci anche un pizzico di romanticismo e poesia.
Il tutto, come già si è detto, a partire dalle sinistre e suggestive atmosfere di un fantasy vittoriano, che strizza l’occhio ai grandi romanzi dell’orrore e alla formidabile serie tv Penny Dreadful.
Chi parla di mancanza di originalità evidentemente ha visto un’altra serie: Carnival Row attinge a piene mani a vari stilemi dei vari generi di riferimento, e la sua sceneggiatura non lesina il ricorso ad alcuni comodi luoghi comuni, ma ha l’indubbio merito di proporci un cocktail molto coraggioso e del tutto inedito, ben più audace di quanto si sia visto in altre, blasonate, serie tv fantasy.
Il risultato, al netto delle imperfezioni, è suggestivo e convincente.
“Mi contraddico? Sono vasto, contengo moltitudini”
Tirando le somme, ci tocca scomodare una celebre citazione di Walt Whitman per spiegare come mai, a nostro giudizio, la seconda e ultima stagione di Carnival Row debba essere promossa senza esitazioni.
Certo, dal punto di vista tecnico Carnival Row è una serie piena di asperità, imprecisioni e contraddizioni, ed è fin troppo semplice impugnare la penna rossa e stigmatizzare queste evidenti incertezze e le brusche deviazioni di rotta.
Al tempo stesso, però, i tecnicismi della narrazione cedono il passo di fronte alla maestosità del world building e all’incisività del messaggio di fondo, che colpisce e fa riflettere sui mali della contemporaneità e sulle sinistre prospettive della società contemporanea.
Di fronte alla grandezza delle pionieristiche ambizioni della serie, che osa spingersi in un terreno del tutto inesplorato dalla serialità fantasy contemporanea, le sue imperfezioni passano inevitabilmente in secondo piano.
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La recensione in breve
La seconda e ultima stagione di Carnival Row ci porta in un mondo lacerato dall'odio razziale, e fa incontrare il fantasy con la politica, parlando di inclusione e lanciando una lucida denuncia sulle sinistre derive della nostra società. Il mix tra noir, horror, mistero e fantasy steampunk funziona e non mancano i colpi di scena, anche se la sceneggiatura incespica qualche volta di troppo.
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Voto Screenworld