La rivoluzione digitale italiana ha subito una battuta d’arresto che nessuno si aspettava. Lo Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale che per anni ha rappresentato la porta d’accesso gratuita ai servizi della pubblica amministrazione, sta progressivamente abbandonando la sua natura gratuita. E gli italiani non l’hanno presa bene. Aruba è stata tra le prime a dare il via alla trasformazione, introducendo un canone annuale per mantenere attiva l’identità digitale. Altri provider hanno seguito l’esempio, e Poste Italiane, uno dei gestori più utilizzati con milioni di utenti, ha implementato costi aggiuntivi per determinati servizi legati allo Spid. Il modello gratuito, quello che aveva garantito l’inclusione digitale anche per le fasce meno abbienti della popolazione, sta scomparendo. Ovviamente le critiche non sono mancate così come la ricerca di un’alternativa gratuita.

Ma perché questa inversione di rotta? I provider giustificano l’introduzione dei costi con la necessità di sostenere l’infrastruttura tecnologica (come visto nel caso della scomparsa dell’app PostePay), i controlli di sicurezza sempre più stringenti e l’assistenza agli utenti. Mantenere un sistema di autenticazione sicuro e conforme alle normative europee comporta investimenti significativi, e il modello che prevedeva ricavi solo dalle commissioni sui servizi premium non sarebbe più sostenibile.

Autenticazione Spid delle Poste Italiane
Autenticazione Spid delle Poste Italiane, fonte: Poste Italiane

La reazione degli utenti è stata immediata e rumorosa. Sui social network e nei forum specializzati si sono moltiplicati i commenti di protesta. Molti italiani vedono nell’introduzione del pagamento un tradimento della promessa originaria quello di uno strumento pubblico, universale e accessibile a tutti. C’è chi parla di una tassa nascosta per accedere ai propri diritti, chi denuncia una disparità di trattamento rispetto ad altri Paesi europei dove servizi analoghi rimangono gratuiti. La questione ha anche una dimensione sociale non trascurabile. Anziani, persone con bassa alfabetizzazione digitale e fasce economicamente vulnerabili rischiano di trovarsi esclusi dall’accesso ai servizi essenziali se costretti a pagare un canone annuale. L’identità digitale dovrebbe essere un diritto, sostengono i critici, non un privilegio a pagamento.

Di fronte a questa situazione, migliaia di utenti stanno esplorando alternative. La Cie, la Carta d’Identità Elettronica, si è imposta come la principale via di fuga. Rilasciata gratuitamente dai Comuni al momento del rinnovo del documento, la Cie permette di accedere agli stessi servizi dello Spid senza costi aggiuntivi. Tecnicamente diversa, ma funzionalmente equivalente per la maggior parte delle operazioni, sta registrando un’impennata di utilizzo proprio in concomitanza con l’introduzione dei canoni Spid. La Cie richiede un lettore specifico per l’uso via smartphone o computer, e non tutti i dispositivi sono compatibili. Inoltre, alcuni servizi della pubblica amministrazione e piattaforme private hanno integrato meglio lo Spid rispetto alla Cie, creando occasionali frizioni nell’esperienza utente.

Lo Spid del CIE
Lo Spid del CIE, fonte: Agenzia delle Entrate

C’è anche chi chiede l’intervento delle istituzioni. Diverse associazioni di consumatori hanno sollecitato il governo a garantire almeno un’opzione di identità digitale completamente gratuita, considerandola essenziale per l’esercizio della cittadinanza nell’era digitale. La situazione rimane fluida. Mentre alcuni provider mantengono ancora formule gratuite limitate, la tendenza generale sembra orientata verso la monetizzazione del servizio. Gli utenti si trovano davanti a una scelta: pagare per mantenere lo Spid con il provider attuale, migrare verso alternative gratuite come la Cie, o affidarsi a quei pochi gestori che ancora offrono il servizio senza costi. Quello che è certo è che la stagione d’oro dello Spid gratuito per tutti sta volgendo al termine. E per molti italiani, questo rappresenta non solo un costo economico, ma anche la fine di un’illusione: che la digitalizzazione della pubblica amministrazione potesse avvenire senza lasciare indietro nessuno.

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Nato il 19 Dicembre 1992, ha capito subito che il cinema era la sua strada. Dopo essersi laureato in filosofia all'università di Palermo e aver seguito esami, laboratori e corsi sulla critica, la storia del cinema e la scrittura creativa, si è focalizzato sulle sue più grandi passioni: scrivere e la settima arte. Ha scritto per L'occhio del cineasta ed è stato redattore per Cinesblog fino alla sua chiusura. Ora si occupa di news e articoli per ScreenWorld.it, per CinemaSerieTv.it e CultWeb.it