Gli scienziati pensano di aver scoperto un modo per poter parlare con gli alieni tramite la comunicazione quantistica. Secondo i calcoli dei fisici dell’Università di Edimburgo, gli alieni potrebbero infatti utilizzare i segnali quantistici come metodo di comunicazione interstellare: un risultato che suggerisce anche la necessità di aggiornare la nostra tecnologia per riconoscere eventuali segnali di questo tipo che arrivano nella nostra direzione.
Questa scoperta potrebbe sembrare sorprendente, dato che la creazione di collegamenti quantistici qui sulla Terra non si è rivelata un’impresa facile. Tali collegamenti si basano infatti sulla creazione di “intrecci” tra i singoli nodi (entanglement quantistico) e sul teletrasporto di stati quantistici tra di essi, ma l’eccessiva fragilità di questi stati e la loro tendenza alla decoerenza – la perdita della loro natura quantistica – limita la stabilità dei collegamenti. I collegamenti interstellari, quindi, rappresentano un audace passo avanti. Ma le informazioni quantistiche potrebbero sopravvivere all’ambiente spaziale ostile durante il viaggio verso un ricevitore interstellare?
Per rispondere a questa domanda, i ricercatori di Edimburgo hanno calcolato il probabile impatto di varie perturbazioni che un segnale quantistico potrebbe incontrare. Uno di questi disturbi è la gravità, che potrebbe causare la decoerenza degli stati quantistici e la perdita di precisione dei segnali. Tuttavia, i ricercatori hanno calcolato che un fotone potrebbe viaggiare per 127 anni luce prima che tale decoerenza entri in gioco, il che significa che un numero considerevole di stelle con esopianeti noti è a portata di mano.
Secondo lo studio di Arjun Berera, fisico di Edimburgo e autore di un articolo sul tema pubblicato su Physical Review D Berera e del fisico teorico Jaime Calderón Figueroa, la decoerenza persisterebbe nel percorso su lunghe distanze spaziali, a causa della densità media del cosmo. Poiché tale densità è molto più elevata sulla Terra, i due scienziati sostengono che i qubit – il più piccolo pezzo del puzzle delle comunicazioni quantistiche – potrebbero teoricamente percorrere grandi distanze nello spazio. “È plausibile che la comunicazione quantistica mediata dai fotoni possa essere stabilita attraverso distanze interstellari, in particolare per i fotoni nella regione dei raggi X al di sotto della massa dell’elettrone“, scrivono i ricercatori nell’articolo pubblicato. “In linea di principio, dovrebbe essere possibile rilevare un segnale quantistico proveniente da un corpo astrofisico o addirittura un segnale intelligente da una civiltà extraterrestre“.
Infine, i ricercatori hanno considerato la questione del perché una civiltà extraterrestre potrebbe scegliere la comunicazione quantistica rispetto ai segnali classici. Secondo Berera e Figueroa, ci sarebbero alcuni vantaggi: il primo è che la natura quantistica del segnale ne indicherebbe la provenienza da una fonte intelligente piuttosto che da un processo naturale. In secondo luogo, la comunicazione quantistica permette di racchiudere molte informazioni in un messaggio, soprattutto quando si utilizzano stati di “entanglement” di dimensioni superiori.
Michael Hippke, un esperto di comunicazioni interstellari affiliato all’Osservatorio tedesco di Sonneberg, definisce la nuova ricerca “un eccellente contributo al campo” perché dimostra che i fotoni quantistici possono viaggiare su distanze interstellari senza perdere coerenza. Per quanto riguarda la possibilità che altre civiltà (se esistono) possano comunicare con la luce quantistica, Hippke, che non è stato coinvolto nell’ultima ricerca, descrive l’idea come plausibile. “Dovremmo verificarla“, dice. Aggiunge che l’identificazione della regione dei raggi X dello spettro elettromagnetico come potenziale vettore è estremamente importante, anche se fa notare che qualsiasi tentativo di rilevare un tale segnale dovrebbe essere effettuato nello spazio, perché l’atmosfera terrestre assorbe la maggior parte dei raggi X.
Berera afferma che il prossimo passo del team è quello di stabilire se anche le sorgenti astrofisiche naturali possano produrre stati quantistici di fotoni coerenti. “Sarebbe una domanda importante a cui rispondere prima di iniziare a concentrare la nostra attenzione sulla via quantistica per trovare gli ET“, dice.