Potrebbe sembrare una battaglia minore, l’ennesima schermaglia legale tra Big Tech e regolatori europei. Invece, la sentenza emessa la settimana scorsa da un tribunale olandese contro Meta potrebbe innescare una trasformazione radicale nel modo in cui usiamo Facebook e Instagram ogni giorno. Il verdetto prevede che l’azienda di Mark Zuckerberg debba rendere più accessibili le opzioni di feed non algoritmici, e deve farlo rispettando alla lettera quanto previsto dal Digital Services Act europeo.
La vicenda nasce da un’azione legale intentata da Bits of Freedom, un’organizzazione olandese per i diritti digitali, che ha accusato Meta di violare l’articolo 27 del DSA. Secondo questa normativa, le piattaforme online che utilizzano sistemi di raccomandazione algoritmica devono spiegare con chiarezza quali parametri guidano questi sistemi e, soprattutto, devono permettere agli utenti di modificare facilmente le proprie preferenze, come successo già nel Regno Unito. Il punto cruciale, però, sta in un dettaglio apparentemente tecnico ma dalle conseguenze enormi. L’opzione per modificare il feed deve essere direttamente e facilmente accessibile dall’interfaccia dove le informazioni vengono mostrate, a disposizione di chiunque.

Meta, dal canto suo, sostiene di aver già rispettato questi obblighi. Dal 2022, infatti, sia Facebook che Instagram offrono la possibilità di passare a un feed cronologico, una funzione introdotta proprio in risposta alle prime pressioni regolatorie. Il problema è che questa opzione non può essere impostata come predefinita, e l’app ripristina sempre il feed algoritmico all’apertura successiva. In altre parole, Meta ti permette di scegliere, ma ti fa ricominciare da capo ogni volta. E questa non è una svista tecnica è una scelta progettuale precisa.
Se la sentenza venisse confermata dopo l’inevitabile appello di Meta, l’azienda sarebbe costretta a permettere agli utenti di optare per un feed puramente cronologico come impostazione predefinita. E qui emerge il vero nodo della questione. Adam Mosseri, responsabile di Instagram, ha spiegato in più occasioni che i feed non algoritmici semplicemente non funzionano, almeno secondo i dati interni dell’azienda. Ogni volta che Meta ha testato questa opzione, ha osservato un calo progressivo nell’utilizzo dell’app e, paradossalmente, una diminuzione nella soddisfazione degli utenti. Quando gli utenti vengono assegnati a feed cronologici, inizialmente alcuni si dichiarano soddisfatti, ma nel tempo la maggior parte dimentica di averlo attivato e finisce per usare l’app sempre meno. Le metriche di gradimento peggiorano, l’engagement cala, e questo innesca un effetto domino: meno interazioni significano meno contenuti condivisi, meno like, meno commenti, meno messaggi. Gli amici iniziano a usare meno la piattaforma, e il circolo vizioso si autoalimenta. Per Meta, il feed algoritmico non è solo più redditizio è anche migliore per l’esperienza utente.
Il caso olandese potrebbe sembrare una battaglia legale tecnica, ma in realtà tocca questioni fondamentali sul potere delle piattaforme digitali, sulla libertà di scelta degli utenti e sul tipo di spazio pubblico digitale che vogliamo costruire. Nei prossimi mesi, mentre Meta combatte nei tribunali per difendere il suo modello, il resto del mondo osserverà con attenzione. Perché la vera domanda non è se gli algoritmi funzionano meglio dei feed cronologici, ma per chi funzionano meglio: per le aziende che li progettano o per le persone che li usano.