Per quanto possa sembrare stantio, il solito luogo comune secondo cui la storia è un noioso insieme di date, avvenimenti e nomi ancora regge. A meno che non si abbia avuto un buon insegnante capace di far comprendere che dietro ogni data c’è un tempo con la sua cultura e le sue idee; un tempo abitato da persone che, prima di essere stati regnanti e conquistatori, sono stati prima di tutto esseri umani.
Pur prendendosi qualche licenza e non poche libertà, The Crown ha avuto il pregio di mettere al centro gli esseri umani dietro le figure storiche che tutti conosciamo realizzando un racconto avvincente che, nell’arco di sei stagioni, ci ha fatto riflettere sul dispiegarsi del tempo e della Storia e che sì, ci ha fatto anche venire voglia di tornare a sfogliare qualche vecchio manuale.
Giunta alla sua conclusione, che arriva a nemmeno un anno dalla morte di Elisabetta II, la serie creata da Peter Morgan conferma perciò non solo il fatto che realizzare prodotti audiovisivi in costume di qualità è possibile nel momento in cui non si perde di vista il senso stesso della Storia e l’umanità di coloro che l’hanno attraversata.
Un racconto evocativo senza giudizi
Uno dei punti di forza di The Crown è infatti quello di essere riuscita raccontare senza giudicare, portandoci nel tessuto familiare di un’istituzione secolare a sua volta alle prese con problematiche sociali, politiche e, ovviamente, personali. Ogni personaggio, su tutti la centralissima Elisabetta II, viene presentato nella complessità delle sue luci e ombre dando vita a ritratti vibranti di uomini e donne sì privilegiati, ma comunque alle prese con un sistema che tende a uccidere una parte del loro io. Un sistema, quello monarchico, di cui Morgan, come molti di noi, subisce il fascino ma che riesce a trattare con problematicità domandandosi, più o meno velatamente, cosa resterà del mistero dei reali chiusi nei loro palazzi in un’epoca il mostrarsi è diventato sempre più fondamentale.
Coprendo infatti un arco temporale che va dal 1947 al 2005, nel specifico dal matrimonio tra Elisabetta II e il Principe Filippo fino a quello tra Carlo e Camilla, The Crown è un viaggio alla scoperta del secolo scorso e di alcuni dei suoi più importanti protagonisti; un tempo in cui i giorni sembravano più densi di avvenimenti e le ore scorrere più lentamente, anche se a ritmo del concitato jitterbug. O forse anche questa è illusione.
Tempo e Storia
Infatti quel senso epicità misto a sogno pervade The Crown durante tutto l’arco delle sei stagioni anche se, come molti hanno notato, lo sfilacciarsi della Storia a favore di un racconto cronachistico dei tempi moderni ha caratterizzato diversamente la serie. Come se lo scontro con il presente avesse portato via un po’ di quell’aura di mistero tanto cara alla Regina stessa. Gestire una figura come Diana, ad esempio, talmente iconica da non essere facilmente incasellabile ha certamente definito le ultime battute di The Crown che risultano forse più rapide; come probabilmente erano in corsa gli ultimi anni Novanta, prima dell’arrivo del nuovo millennio.
Eppure è sempre lo scorrere del tempo, enfatizzato dall’avvicendarsi di interpreti azzeccatissimi che hanno dato vita a loro volta a personaggi memorabili – una su tutti la principessa Margaret – a essere l’essenza stessa della serie che, proprio sul finale, rallenta ritrovando la sua dimensione più intima nel momento in cui sceglie di metterci di fronte tutti i volti di Elisabetta II.
The Queen
Cuore pulsante di The Crown, Elisabetta stessa – interpretata da ben cinque attrici diverse tra cui le meravigliose Claire Foy, Olivia Colman e Imelda Staunton, è infatti incarnazione di modernità e staticità. Regina che ha traghettato l’istituzione monarchica inglese nella modernità conservandone al contempo e a tutti i costi il prestigio oltre che le contraddizioni; una donna che, rinunciando al suo io, non è stata solo protagonista della Storia ma ha contribuito a tesserne le trame politiche, sociali e culturali. Dagli incontri con Churchill alla visita degli astronauti dell’Apollo 11 a Buckingham Palace.
Non è quindi un caso che tutto cominci e si risolva con lei in un racconto che, oltre a dimostrare che i drammi in costume sono tutto fuorché passati di moda, riflette, tra ricostruzione di fatti e finzione, su un passato non troppo lontano e sul senso della Corona stessa cercando di svelare i misteri privati di una delle figure più iconiche del Novecento. Il tutto restituendoci un senso della Storia piuttosto verosimile che si riallinea, episodio dopo episodio, con il presente reale fino ad annullare il tempo stesso con uno struggente canto di cornamusa.
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