Circa un anno fa, nel catalogo di Disney+ scoprivamo una piccola serie, uscita un po’ in sordina, ambientata nel mondo della cucina. Una serie che, nonostante i ritmi indiavolati e le frasi urlate al suo interno, ha silenziosamente attratto una fetta di spettatori sempre maggiore. E se The Bear ci aveva convinto sin da subito, grazie a un gruppo di personaggi impossibili da odiare e una storia emotivamente molto forte, un episodio in particolare aveva trasformato la semplice attenzione nei riguardi della serie in vero e proprio interesse. La recensione, settimo episodio della prima stagione: 20 adrenalinici minuti girati in unico piano sequenza, ambientati nella cucina di un ristorante, caotici, confusionari, ansiogeni, che ci hanno tolto ogni singolo dubbio: sì, The Bear è una serie bellissima.
Pensiero che ha trovato conferma con l’arrivo della seconda stagione della serie, rilasciata in un blocco unico in piena estate (il 16 agosto) e di cui vi abbiamo raccontato tutte le sue belle qualità nella nostra recensione senza spoiler. Perché The Bear sembra aver fatto davvero un salto di qualità in tutti i suoi aspetti: nella regia, nella scrittura (soprattutto), nell’interpretazione del cast (che può vantare qualche cameo di prim’ordine), nel modo in cui riesce a comunicare tematiche delicate con una naturalezza commovente. E, come se non bastasse, a metà stagione ci delizia con un episodio di durata doppia, speciale quanto quel celebre episodio 1×07 di cui sembra mostrarne un’altra faccia, capace di aggiungere ancora più profondità a questo prisma umano di nome Berzatto. Un episodio su cui è facile soffermarsi per la parata di guest-star, ma che noi vogliamo analizzare sotto un’altra luce. Perché, come tutte le grandi serie, The Bear usa qualcosa di semplice e comune, come una cena di Natale in famiglia, per raccontare molto di più.
Nella tana degli orsi
Eterno giorno. Natalie sta fumando una sigaretta nel cortile innevato. È Natale, sta prendendo aria, perché quando la sigaretta sarà finita dovrà ritornare dentro la tana, la casa di famiglia. Aggressivi, ma gentili: è questo che i Berzatto dicono degli orsi, descrivendo loro stessi e la loro attitudine, cercando di dare un significato al loro caos, alle loro sconfitte, ai loro rimpianti, alla loro isteria, al loro stare al mondo. Eppure sembra mancare la gentilezza, proprio durante il giorno di Natale. La madre: al limite del crollo nervoso, chiusa tra le pareti di una cucina, intenta a preparare un esagerato banchetto da sola. Lo zio: stanco dall’ennesimo cenone, con le solite storie, le solite risate, le solite abitudini. Il fratello, che è tornato dalla Danimarca come se fosse un’opera di pietà verso una famiglia che non sopporta. D’altronde come si potrebbe sopportare tutta questa aggressività, tenuta soffocata e poi violentemente esposta? Quando Natalie rientra in casa accompagna noi spettatori nella tana degli orsi. Non tanto diverso dall’entrare in un ristorante a pieno servizio.
Loro gli orsi, noi la carne. The Bear e The Beef: il senso della serie è tutto qui, in un’episodio che graffia, morde e sbrana lo spettatore, che cucina e fagocita i suoi stessi personaggi. Noi, seduti sul nostro divano, a partecipare a questo cenone di Natale che già sappiamo essere un disastro. L’abbiamo capito subito, perché conosciamo già i personaggi e i loro traumi, siamo a conoscenza della loro personalità. Guardare il passato (Pesci è ambientato cinque anni prima rispetto al resto degli episodi) non può cambiare il punto di vista sul presente. Lo può solo confermare. Il piatto ci è già arrivato a tavola, la ricetta già segnata sul nostro quaderno. Stiamo solo vedendo i singoli ingredienti. Eppure non possiamo fare a meno di guardare, di essere lì, di rimanere storditi dalla cacofonia di urla, battute, risate, chiacchiere, rumori di bicchieri che si appoggiano sui tavoli, che si rompono, che si riempiono di vino, di musica e di passi. Lo stesso frenetico delirio a cui avevamo assistito nel settimo episodio della prima stagione. Un ristorante, una casa: che differenza fa? Le solite mura che racchiudono le stesse persone, solo con qualche ruga in meno e qualche ruolo diverso.
Aggressivi, ma gentili. I Berzatto lo sono, come gli orsi.
Tempo di cottura
Ticchettano i timer nella cucina di Donna (una straordinaria Jamie Lee Curtis). Suonano, segnalano che qualcosa è pronto, che la cottura è finita, ma lei non si ricorda più perché ha impostato quel timer, a cosa serve quel suono che innervosisce sempre di più il suo corpo. E così la preparazione della cena di Natale diventa un thriller ansiogeno degno del miglior Hitchcock. Si riprende il leitmotiv della stagione, che Carmine ha fatto suo: “Ogni secondo conta“. Serve per riaprire il ristorante in tempo, serviva a mantenere quel sempre più labile equilibrio di pace e tranquillità di un Natale in famiglia. Affinché tutto vada per il meglio bisogna rispettare i tempi di cottura: non dire certe frasi, non comportarsi in modo strano, non dare troppo nell’occhio, raccontare aneddoti divertenti, prendersi un momento di pausa, lasciare in pace la madre. Solo così la pietanza può risultare prelibata, solo così la cena ha senso di esistere. Ma i timer che ticchettano e si avvicinano inesorabilmente allo zero corrispondono anche all’avvicinarsi di esplosioni di vecchi rancori e di malesseri, di bugie e false convinzioni, alla perdita della pazienza. La macchina da presa cerca di inseguire il flusso delle conversazioni, di catturare la caotica normalità di una festa, di dare un senso narrativo al racconto, ma i personaggi si stanno ribellando: nessuno di loro si sente soddisfatto dalla propria vita, nessuno di loro ha un vero motivo di essere lì.
È qui che Pesci spiazza e si dimostra un vero capolavoro. Nel suo sfuggire di significato, come non saper dare una spiegazione univoca ai sette pesci. Diverse credenze, diverse interpretazioni, nessuna che convince fino in fondo. L’episodio più lungo è anche il più libero, il meno narrativo, il più ininfluente e proprio per questo imprescindibile. Perché se The Bear si è fatta una serie corale, allora il suo intento è raccontare la vita. E non sempre la vita ha un senso narrativo preciso. A volte è solo un gruppo di persone costrette a festeggiare qualcosa, guardando i minuti che passano, in attesa che la lancetta arrivi allo zero per sancire la fine. Contare minuto dopo minuto, ripetendo un mantra sospirato: “Fino a qui tutto bene“.
Il menù che resta
Ricordi, odori, fantasmi. Banane al cioccolato mangiate da ragazzino ricordano l’odore di padri scomparsi. Frasi taglienti e rabbiose ricordano una vita di insuccessi. Momenti di pace passati stesi e abbracciati sul letto ricordano momenti di felicità perduti. Immagini particolari, come una forchetta che dopo essere stata lanciata rimane impilata in un cannolo siciliano, rimangono come impronte indelebili.
Non ci sono grosse epifanie alla fine della visione di Pesci, solo un’amara consapevolezza di essere cibo. Pregiato, rustico, masticato, sputato. Tutti sono chef e tutti sono commensali. Tutti cucinano e tutti mangiano. Si è tutti piatti e cuochi a vicenda, l’uno per l’altro, l’uno sull’altro. E così, la matrona Donna che cucina per tutti in realtà sta cucinando tutti. È la sua crisi a dettare la composizione del menù, è la sua casa-ristorante-famiglia quella che viene distrutta da lei stessa. Di quella disperazione, di quell’autosabotaggio, di quella cena di Natale rimane l’odore addosso a tutti. Rimane il ricordo.
La grande lezione del sesto episodio della seconda stagione di The Bear è scoprire che quello che siamo oggi è un menù che ci è rimasto addosso. Un menù composto dall’alternanza di piatti dolci e amari, acidi o basici. Un menù che rinnoviamo a nostro gusto nel corso del tempo (come fanno Carmy e Syd, studiando nuove soluzioni per la nuova apertura del ristorante), mantenendo gli ingredienti che conosciamo, assaggiando, sbagliando, trovando nuove soluzioni. Ecco allora che la storia principale della stagione, quella di aprire un nuovo locale con un altro nome, facendo le cose a modo, alzando il livello qualitativo generale diventa la storia che fa proprio lo spirito natalizio, di redenzione e rivincita del singolo. Di chi ha chiuso con gli affetti e ora vuole tornare a sentirsi utile. Di chi ha abbandonato la famiglia e ora sente il bisogno di farne parte. Di chi insegue un sogno contro tutto e tutti. Di chi mantiene il ricordo di ciò che è stato, ma vuole cambiarne l’odore.
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