Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000 l’Occidente viveva una grande storia d’amore tanto da convogliare a nozze con la globalizzazione. Un contratto matrimoniale ove venivano elencati tutti gli aspetti positivi di questa incredibile novità: abbattimento dei confini geografici, commistione culturale, viaggi, economia diffusa, benessere di tutti i popoli. Tutto appariva come un grande sogno positivista ad occhi aperti. Nello stesso contratto matrimoniale, in calce e scritto molto in piccolo, si poteva leggere un’ulteriore nota: l’Occidente e gli occidentali devono rimanere al centro della Storia. Non è quindi strano che nel 2003 Shantaram, il romanzo semi-autobiografico di Gregory David Roberts, un uomo dalla vita oggettivamente incredibile, sia diventato nell’immediato un enorme caso letterario. Tanto che Hollywood, nella fattispecie la Warner, opzionò immediatamente i diritti dell’opera per una trasposizione cinematografica. Il progetto inizialmente prevedeva alla sceneggiatura Eric Roth, nel ruolo di protagonista Johnny Depp (all’apice della sua popolarità) e a dirigere, dopo un primo passo indietro di Peter Weir, la regista indiana Mira Nair.
Il progetto subì vari ritardi dovuti a un monsone in India, ai troppi impegni di Johnny Depp e a una crisi, quella del 2008, che oltre a minare il sistema economico mondiale iniziava a sollevare dubbi nel sogno globalizzato occidentale. Così Shantaram rimane un progetto nel cassetto fino a oggi, con l’arrivo su Apple Tv+ dei primi tre episodi della serie. La major di Cupertino è ormai diventata una sorta di garanzia di qualità nel mondo dello streaming, con Ted Lasso e Scissione che sono state in grado di bucare il muro del mainstream. Quello che forse ancora manca è il prodotto dal grande respiro, quella che nel mondo dei videogiochi sarebbe la “killer application”, la serie in grado di attirare gli occhi di tutto il mondo e portarli ad abbonarsi a Apple Tv+. Forse nelle intenzioni doveva essere Fondazione che però, per vari motivi, non è riuscita nell’intento. Un altro tentativo simile sembra essere proprio questo, ma come vedremo nella nostra recensione di Shantaram, non tutto è andato nel migliore dei modi.
Shantaram
Genere: Azione, Avventura
Durata: 60 minuti ca./ 12 episodi
Uscita: 14 ottobre 2022 (AppleTv+)
Cast: Charlie Hunnam, Antonia Desplat, Alexander Siddig
La trama: in cerca di redenzione a Bombay
La serie tv ripercorre piuttosto fedelmente il romanzo di Roberts, con 12 episodi da circa un’ora l’uno che coprono la prima metà del libro. La narrazione si apre con la rocambolesca fuga da un carcere australiano di Dale Conti (Charlie Hunnam), ex studente di filosofia e paramedico con un passato da eroinomane, arrestato a seguito di una rapina andata male. Una volta assaporata la libertà decide di comprare un passaporto nuovo e un biglietto di sola andata per Bombay (odierna Mumbai). Arrivato in India con la nuova identità di Lindsay Ford fa la conoscenza di Prabhu, una sorta di guida e tuttofare indiano che lo introdurrà alla città. Durante il primo periodo frequenta un bar che funge da hub di espatriati occidentali. Abbiamo il francese Didier, la misteriosa Karla, la decadente Lisa e alcuni malavitosi italiani. L’intreccio tra Lin e questi personaggi contribuisce ad aprire il mondo e la città, con tutti i suoi infiniti capillari, al nostro protagonista.
Il suo percorso lo porta a vivere con Prabhu in una delle molte baraccopoli della città, dove si dedica all’attività di paramedico. Nel tentativo di aiutare la sua nuova comunità, incrocia la strada con il gangster Khader Khan (Alexander Siddig), con cui stringerà un rapporto piuttosto particolare. Lin si trova così a vivere un ciclo di redenzioni e cadute, senza soluzioni di continuità, con tanto di analisi del suo passato grazie a numerosi flashback mentre sullo sfondo Bombay e l’India costituiscono uno scenario pulsante, frenetico e imprevedibile.
Una sensibilità non attuale
Questo ripetitivo percorso di redenzione vede Lin salvare gli altri nel tentativo di salvare se stesso. Di conseguenza viene sottolineata a più riprese la necessità di aiuto di un popolo e di una cultura, descritta con una vetusta caratterizzazione esotica, da parte dello straniero occidentale. Un approccio in cui si fatica a non notare una mentalità inappropriata. Attenzione, non si vuole accusare la serie di comportamenti offensivi, oppure di un approccio reazionario e colonialista. Semplicemente Shantaram abbraccia ancora una sensibilità vicina a quella dei primi anni 2000 di cui si parlava nell’introduzione di questa recensione.
Un’innata matrice che vede comunque l’occidentale bianco approcciarsi a una cultura lontana con senso di superiorità, con la convinzione del suo ruolo salvifico e innovatore all’interno della Storia. Una sensibilità che non risulta più attuale, che può far storcere il naso allo spettatore di oggi che ormai conosce bene lo stato delle cose e che empatizza probabilmente di più con Prabhu, vero cuore della serie, piuttosto che con il protagonista. Questa inattualità è ancor più sorprendente se si considera che Shantaram dovrebbe essere una cartolina dell’approccio ai progetti internazionali di Apple.
Una serie grande
Al di là della questione legata a un approccio fuori tempo massimo non si può però considerare Shantaram una serie insufficiente. I valori produttivi messi in campo sono importanti e la confezione del prodotto (come sempre quando si tratta di Apple) di ottimo livello, a partire dalle interpretazioni. Charlie Hunnam è forse fin troppo carismatico e bello per il personaggio di Lin ma non possiamo certo fargliene una colpa. Il suo lavoro su questa innata sofferenza e sui costanti dubbi decisionali è ottimo, in particolare quello fatto sullo sguardo. Con Lin, Hunnam, per quanto lo abbia negato in una recente intervista, ha ritrovato un personaggio in grado di richiamare le complessità e la fisicità del Jax di Sons of Anarchy. Anche il resto del cast è ben assemblato e, oltre a Shubham Saraf nel ruolo di Prabhu e al solito grande Alexander Siddig in quello di Khader Khan, vogliamo menzionare la splendida Elektra Kilbey, magnetica nel ruolo di Lisa. Anche sul piano tecnico le cose funzionano bene, con una buona regia e una fotografia che vuole richiamare a più riprese i grandi classici dei film d’avventura. Il montaggio è a volte fin troppo frenetico ma non tanto da creare problemi insormontabili.
Differente è il discorso relativo alla narrazione. Il problema non risiede tanto nella già citata ripetitività dell’arco di Lin, quanto piuttosto in una storia fin troppo densa e ricca di personaggi e sotto-trame. Una quantità di micro-archi e di nomi che possono creare confusione nello spettatore e che soprattutto frammentano il ritmo e la narrazione. Questo almeno fino agli ultimi tre episodi che invece trovano una buona coesione e riescono a creare il gancio giusto per il proseguo del racconto in un’eventuale seconda stagione. Shantaram però, in questa densità e ricchezza di varietà che richiama molto la stessa Bombay, è in grado di offrire qualcosa di interessante a ogni tipo di spettatore. In definitiva possiamo dire di trovarci davanti a una serie grande piuttosto che a una grande serie.
La recensione in breve
Con Shantaram Apple è andata nuovamente alla ricerca di una serie dal grande respiro, in grado di raccogliere e convogliare l'interesse di milioni di spettatori. A livello tecnico, come sempre quando si tratta di questa piattaforma, ci troviamo davanti a un ottimo prodotto. A causa però di una sensibilità vetusta e di una storia troppo densa e frammentata, l'impressione è quella di trovarsi davanti a una serie grande piuttosto che a una grande serie.
-
Voto Screenworld