Da un grande potere derivano grandi responsabilità. Ce lo ha insegnato per la prima volta Sam Raimi con il suo Spider-Man nel 2002, e da quel momento il cinema supereroistico non è più stato lo stesso. In venti anni e poco più, il grande ed il piccolo schermo hanno adattato e plasmato il mondo dei fumetti a proprio piacimento, tra saghe di straordinario successo, esperimenti dark ed adulti, riletture, parodie e riflessioni sulla figura del supereroe nell’immaginario collettivo. E poi c’è il curioso Samaritan, il nuovo film diretto da Julius Avery con protagonista Sylvester Stallone, su Prime Video per tutti gli abbonati a partire da venerdì 26 agosto.
Dal regista che negli anni passati ci ha regalato chicche cinematografiche come Son of a Gun, il divertentissimo e violentissimo Overlord e che è attualmente al timone di The Pope’s Exorcist con Russell Crowe, Samaritan si presenta alla vasta platea dei suoi spettatori come un curioso connubio tra riflessione sulla figura del superhero nel cinema contemporaneo e sull’arte di invecchiare (bene). Nella nostra recensione di Samaritan ci soffermeremo proprio su queste due chiavi di lettura, cercando di analizzare in che modo Avery e lo sceneggiatore di questo cinecomic targato Prime Video abbiano seppellito sotto uno strato da prevedibile film supereroistico un omaggio spassionato alla figura-leggenda di Sylvester Stallone.
Samaritan
Genere: Azione
Durata: 99 minuti
Uscita: 26 agosto 2022 (Prime Video)
Cast: Sylvester Stallone, Javon Walton, Martin Starr, Dascha Polanco
La trama: C’era una volta a Granite City…
Non se la passa bene l’immaginaria città di Granite City. Nei quartieri di periferia più degradati echeggia ancora dopo quasi 25 anni la furia dello scontro tra i due supereroi che avevano reso grande la metropoli: Samaritan e Nemesis, due fratelli la cui resa dei conti ha lasciato delle cicatrici profonde nei cittadini di Granite Cty; dopo la morte misteriosa degli eroi, due fazioni sembrano essersi create: chi sostiene che Samaritan sia ancora vivo e vegeto e chi invece onora la memoria del perfido Nemesis compiendo scorribande ed atti criminali in suo nome. Un adolescente di nome Sam Cleary (Javon “Wanna” Walton) si convince che il vicino casa, il taciturno netturbino Joe Smith (Sylvester Stallone), sia in realtà Samaritan in incognito.
La tesi del piccolo Sam ovviamente attirerà l’attenzione delle bande criminali che saccheggiano e terrorizzano la periferia di Granite City, guidate dal minaccioso Cyrus (il Pilou Asbaek de Il trono di spade). Quando la vita dell’adolescente sembra essere in grave pericolo, l’anziano Joe Smith dovrà uscire allo scoperto e mettersi in gioco un’ultima volta; ma non prima di rivelare al ragazzo un pericoloso segreto legato al suo passato da supereroe. Da queste semplici istanze parte il racconto di Samaritan, un film che riesce ad equilibrare con rozza efficacia il superstrato da cinecomic medio e il ben più denso substrato di disamina sul genere cinematografico e sulla superstar protagonista dell’opera di Avery.
Non ci sono più i supereroi di una volta
Chiariamo subito una cosa: Samaritan non ha la pretesa di voler rivoluzionare il genere dei cinecomics post-moderni, né di volerlo ribaltare da capo a piedi con arguzia. Anzi, ad onor del vero il regista Julius Avery e lo sceneggiatore Bragi F. Schut (co-autore anche della serie di fumetti della Mythos Comics ispirati dalle vicende del film) costruiscono una pellicola dall’andamento apparentemente prevedibile, che poco spazio lascia alla fantasia o alle sorprese; fino a quando però il ruvido Joe Smith di “Sly” Stallone non rivela la sua vera identità, capovolgendo le dinamiche dei personaggi coinvolti e le ambizioni stesse della pellicola.
Non riveleremo di certo la natura del plot twist che riguarda il protagonista, eppure ci basta questa coraggiosa scelta artistica a farci rivalutare anche le più vistose grossolanità del film di Avery. Se è vero che questo piccolo cinecomic targato Amazon si nutre di cliché propri del suo genere, trae maggiore forza quando, con un bel congegnato colpo di coda narrativo, se ne libera come fossero merce ormai danneggiata. Del resto, è lo stesso film che sembra voler gridare a gran voce al suo pubblico che “non ci sono più i supereroi di una volta”.
Buoni o cattivi? Per Sylvester Stallone non è la fine
E per differenziare nettamente gli eroi che popolano ancora con straordinario successo di pubblico cinema e tv odierna da quelli di Samaritan, basta guardare con affetto ed un tantino di tenerezza il suo protagonista assoluto, un Sylvester Stallone che alla veneranda età di 76 anni sa ancora donare spirito e fluido energico ai fantasmi illustri del suo passato, su tutti gli epocali Rocky Balboa e John Rambo. Così come pochi anni fa aveva ripreso le fila di questi personaggi vestendone nuovamente i panni con dolente e tenero entusiasmo, anche qui Stallone si mette nuovamente in gioco portando sul piccolo schermo un attempato e riluttante supereroe per la prima volta nella sua carriera.
Un atto di coraggio che nasce da una libera scelta artistica prima che da una necessità meramente professionale. Per questo motivo il gioco di riflessi tra l’attore-Stallone e il personaggio-Joe Smith qui sembra più calzante che mai; quest’ultimo, dilaniato da un passato doloroso e da un segreto che potrebbe mettere in pericolo le persone a lui più care, donerà al giovane alleato Sam Cleary il dono più prezioso di tutti: quello della scelta, del valore intrinseco del libero arbitrio prima ancora di una visione manichea di un mondo diviso tra semplici buoni e prevedibili cattivi. In mezzo, come nella vita, c’è l’esperienza.
Prima c’è il giusto o sbagliato
Ma non si ferma soltanto qui la riflessione che mette in gioco il Samaritan di Avery. Oltre a costruire con intelligenza e rispetto un personaggio che rispecchi e celebri le doti di Stallone davanti la macchina da presa e la sua carriera, il cinecomic sa trovare il suo cuore più puro quando travalica ed oltrepassa proprio quella concezione manichea di buoni e cattivi incancrenita in buona parte delle storie a fumetti con le quali siamo cresciuti; per fortuna che il film di Avery fa tesoro delle lezioni imparate sulla materia dai fratelli maggiori più recenti, come ad esempio Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan e la sfacciata serie tv The Boys di Eric Kripke.
Modelli, quelli menzionati sopra, che ci hanno insegnato quanto sia possibile costruire umanità grigie con maschera e mantello oltre i rigidi confini del bene e del male; basta solo saper operare una libera scelta per capire cosa sia giusto o sbagliato. Una lezione che Samaritan ha appreso in maniera sorprendentemente efficace e lontana da ogni ruffianeria.
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La recensione in breve
In Samaritan, Julias Avery firma un cinecomic dall'andamento fin troppo prevedibile e saturo nel panorama cinematografico contemporaneo, ma la riflessione sul peso della vecchiaia e l'omaggio sentito alla carriera davanti la macchina da presa di Sylvester Stallone lo rende un prodotto crepuscolare e godibile allo stesso tempo.
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Voto ScreenWorld