Il remake coreano di uno dei più eclatanti successi di Netflix, La casa di carta, fenomeno spagnolo e creatura di Álex Pina, è disponibile in streaming a partire da questo 24 giugno. Esattamente come per la serie d’origine, la piattaforma ha deciso di dividere la prima stagione in due tranche, rilasciando sei dei dodici episodi complessivi. Cerchiamo quindi di capire insieme quali sono i tratti più significativi di questo ultimo prodotto Netflix nella nostra recensione de La casa di carta: Corea.
Una trama che è entrata nella cultura pop
In principio (che in questo caso è piuttosto recente, parliamo infatti del 2017) era Madrid, Spagna. Qui, nello show La casa de papel, otto sconosciuti vengono cooptati da un uomo che si fa chiamare “Professore”. Obiettivo: fare irruzione nella zecca di stato, con l’ambizioso e inedito piano di stampare milioni di banconote non tracciabili. Gli otto protagonisti adottano soprannomi di altrettante città – Tokio, Berlino, Nairobi, Rio, Denver, Mosca, Helsinki e Oslo –, così da ridurre al minimo coinvolgimenti personali (impresa, questa, ancora più impossibile). Ma “il colpo” ha ragioni che travalicano il guadagno personale. Il piano viene rivendicato come un atto di rivoluzione sociale ed economica, in cui la banda irrompe nel cuore di metallo del capitalismo occidentale appropriandosi e sfruttando i suoi stessi mezzi produttivi. Il simbolismo e gli slogan entrano a far parte del tessuto narrativo e anzi ne costituiscono lo scheletro. Un concept studiato per stuzzicare l’afflato rivoluzionario (sopito) dello spettatore, speziando il tutto con un ritmo forsennato da videogioco e da otto protagonisti fortemente caratterizzati.
La trama: un espediente narrativo tanto inverosimile quanto azzeccato
Ma questo avveniva, appunto, in terra spagnola. Una serie così interconnessa all’aspetto politico e sociale non poteva, nel suo remake coreano, limitarsi a un travaso pedissequo. E infatti, fin dai primi minuti, atterriamo in un futuro prossimo utopico (o distopico). Siamo nel 2025, le due Coree si sono unite e hanno dato inizio a una collaborazione economica e militare. La Joint Security Area, che separa geograficamente e politicamente la Corea del Nord da quella del Sud, viene rinominata Joint Economy Area: uno spazio preposto alla creazione di una nuova moneta unica, fattore imprescindibile per un’unità politica. I cittadini del nord sono ora autorizzati a varcare il confine e a cercare lavoro e fortuna al sud, ma il nuovo assetto mostra presto le sue profondissime crepe. Le disparità sociali vengono incrementate anziché appianate, chi è ricco diventa ancora più ricco e chi è povero non trova appigli per risollevarsi. In una parola, benvenuti nel capitalismo.
A introdurci in questa nuova realtà, è il voice over di una delle protagoniste, Tokio, giovane cittadina nordcoreana che, dopo un passato a servizio dell’esercito, si reca in Corea del Sud in cerca di libertà e gonfia di belle speranze. Si schianterà presto contro il muro di brutalità di un sistema che non ha alcun interesse per il benessere dei suoi cittadini. Un espediente narrativo che consente di calare e riadattare il format di origine nelle maglie di una cultura sideralmente lontana dalla nostra, e che rappresenta la parte più apprezzabile dello show, insieme all’accento posto sulla persistente tensione e diffidenza reciproca fra i cittadini delle due Coree. Per il resto, i nodi di sviluppo della storia si mantengono pressoché invariati rispetto all’originale, senza (per adesso) variazioni significative, fatta eccezione per il clima generalmente più brutale di alcune sequenze e per il timbro registico e recitativo tipicamente coreano.
Il cast: fra vecchie conoscenze e volti nuovi
Vale la pena chiedersi se, esaurita la curiosità iniziale sulla modalità di trasposizione culturale, gli appassionati de La Casa di Carta troveranno sufficienti stimoli per continuare la visione di una storia già conosciuta con episodi dalla lunghezza non indifferente (siamo sulla media di un’ora e un quarto ciascuno). Ad aiutare, probabilmente, un cast composto da alcuni volti talentuosi e facilmente riconoscibili anche per noi spettatori occidentali: da Yunjin Kim (l’indimenticabile Sun di Lost), qui nei panni della negoziatrice sudcoreana Seon Woo-Jin, al Berlino di Park Hae-soo, già interprete di un altro recentissimo e sfolgorante successo di Netflix, Squid Game. Ad affiancarli, un ventaglio di giovani e promettenti attori che non lasciano indifferenti, sebbene scrollarsi dalle spalle i volti smaccatamente iconici della serie madre richieda un certo sforzo.
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La recensione in breve
Come abbiamo visto nella nostra recensione de La casa di carta: Corea, la nuova serie targata Netflix, a fronte di un espediente iniziale intrigante e coinvolgente, si adagia in primi episodi che ricalcano in modo fedele e senza grandi sorprese la storia originale, offrendo comunque una rilettura interessante laddove lascia emergere i tratti più tipici del contesto coreano.
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Voto ScreenWorld