È la prima frase che ci dice la protagonista: “Non vi piacerà come finirà questo film“. In fondo non ci sorprende affatto quando tra le prime scene di un’opera c’è uno dei personaggi principali intento ad eseguire una Tac e ad assumere pillole per cercare di arrestare quello che evidentemente è un mal di testa che non permette nemmeno di ragionare. Eppure, come vediamo nella recensione di Don’t Make Me Go, non è tanto per il risvolto drammatico che il racconto ci riserva che non riusciamo ad apprezzare la pellicola, bensì per la maniera in cui ci fa arrivare alla sua conclusione.
Non che un semplice risvolto finale debba rovinare l’intera costruzione di un film, ma è inevitabile che quando si rischia in grande, allora, anche le conseguenze dovranno essere proporzionate. È esattamente questo che vuole insegnarci la giovane Wally, interpretata da Mia Isaac. Accettare le sfide invece di aver paura ancora prima di perdere, affrontando a testa alta il proprio destino. È però l’enormità di un colpo di scena in chiusura, seppur leggermente telefonato durante la storia, che rimette in prospettiva l’intera narrazione del film originale di Prime Video, che non può dunque biasimare lo spettatore se non riesce a rimanere colpito dalle sorti dei personaggi e dal loro percorso di crescita e apprendimento.
Don’t Make Me Go
Genere: Drammatico
Durata: 109 minuti
Uscita: 15 luglio 2022 (Prime Video)
Cast: John Cho, Mia Isaac, Kaya Scodelario
La trama: il destino di Wally e Max
Come molte opere sulla ricerca di cambiamenti e risposte, anche la trama di Don’t Make Me Go, scritto da Vera Herbert e diretto da Hannah Marks, si svolge su un’autostrada che conduce un padre di nome Max (John Cho) e la figlia Wally alla rimpatriata dei compagni di liceo dell’uomo. Una scusa per Max che in realtà deve cercare di ricontattare la madre della ragazza, dileguatasi da tempo e a cui spera di poter affidare nuovamente la giovane.
Il motivo, come ci faceva presumere l’opening della pellicola, è un tumore ad un osso dalle parti del cervello che non prevede opportunità di guarigione, a meno che non si voglia rischiare tutto per quel 20% di possibilità in una sala operatoria. Una decisione che Max sembra aver già scartato, deciso a condurre Wally dalla madre cercandole una casa per il suo futuro.
Un road movie, perciò, ma con poche tappe al proprio interno. Pochi personaggi, poche situazioni di scontro e di scambio, seppur ognuna di loro ricca per esplorare e approfondire un legame tra padre e figlia comunque solido, anche se segnato dalle turbolenze e le instabilità dell’adolescenza. Ma soprattutto, come accade spesso in questi casi, un’occasione per apprendere l’uno dal carattere dell’altro, per scoprire parti di sé che non si sapeva nemmeno di avere, nonché la fabbricazione di ricordi che si porteranno sempre dentro nella vita, alimentando e condizionando ogni singola scelta che si andrà ad intraprendere.
Puntare sì, ma andando sul sicuro
Se però, come dicevamo, sul finale è un grande punto di svolta quello che Don’t Make Me Go ci riserva, ciò di cui ci si rende conto ripercorrendo l’avventura di Max e Wally è che quel rapporto che doveva essere il fulcro della pellicola rimane leggermente superficiale nella complessità della costruzione dei rapporti di cui il film ci aveva illuso.
È ovvio che un insegnamento all’interno dell’opera c’è, è evidente, ed è posto come motore per il cammino di entrambi i personaggi. Eppure è impossibile non sentire che manchi qualcosa al racconto ripreso da Hannah Marks, come se scioccare lo spettatore potesse contribuire a dare una lezione ancora più impattante quando, in verità, l’effetto è solamente il contrario.
Un testo che vive senz’altro dei suoi personaggi e delle loro interpretazioni, ma ancor più della tenerezza di un vulnerabile John Cho, permettendo allo spettatore di vedere soltanto l’epidermide di due persone in cui non si scava troppo in profondità. Un film che può toccare, ma che avrebbe potuto cercare una scrittura più accorta per la delineazione del fato dei protagonisti, il quale ha voluto puntare più sullo choc che sulla concretezza, utilizzando anche la facile emozione.
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La recensione in breve
Don't Make Me Go cerca di parlare di sorti e di destino, ma lo fa in maniera leggermente superficiale. Come quando tenta di descrivere il rapporto tra il padre e la figlia protagonisti, ma soprattutto dimostrandolo con un colpo di scena finale che sembra posto maggiormente per sorprendere che per coerenza narrativa.
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Voto ScreenWorld