L’ultima speranza.
Non c’è altro modo per definire il ruolo che per molti aveva Andor, la nuova serie ambientata nell’universo di Star Wars, distribuita su Disney+. E i motivi sono ben noti: con l’esclusione di The Mandalorian, la saga creata da George Lucas sembra essere arrivata a un’impasse. Con capitoli cinematografici non del tutto riusciti, serie televisive che hanno mostrato più di qualche difetto, progetti annunciati e poi cancellati (o lasciati sospesi senza altre notizie), Star Wars non se la sta passando benissimo da anni, ritrovatasi incapace di rinfocolare, nei confronti dei fan, un amore forse mai finito, ma sicuramente addormentato.
C’era bisogno di un cambiamento, sia nella formula adoperata lungamente da parte della Lucasfilm, sia nel necessario bisogno di riaccendere i riflettori per puntarli su un brand che si è normalizzato, perdendo quell’eccezionalità che da sempre – pur attraverso scelte artistiche divisive, vedasi la criticata trilogia prequel – l’aveva caratterizzato.
C’era disperato bisogno di una scintilla.
Scintilla che, come vedremo nella nostra recensione di Andor, di cui abbiamo visto i primi tre episodi rilasciati insieme (i successivi arriveranno settimanalmente), è ben presente, dando vita a un’opera parecchio diversa dal canone starwarsiano a cui siamo abituati. Ma si tratta anche di un barlume al momento flebile, silenzioso, quasi invisibile.
Andor
Genere: Azione/Drammatico
Durata: 40 minuti ca./12 episodi
Uscita: 21 settembre 2022 (Disney+)
Cast: Diego Luna, Stellan Skarsgård, Adria Arjona, Kyle Soller
La trama: prima della Ribellione
Cinque anni prima degli eventi di Rogue One: A Star Wars Story e Star Wars – Episodio IV: Una nuova speranza, Cassian Andor (Diego Luna) è un ladro di oggetti imperiali, che rivende al miglior offerente. Alla ricerca di risposte sul proprio passato, Andor giunge sul pianeta Morlana, intento a trovare informazioni sulla sua scomparsa sorella. Ma gli eventi prendono una piega inaspettata e Andor sarà costretto a fuggire a casa, sul pianeta Ferrix.
Anche lì, però, dovrà fare i conti con le guardie di sicurezza denominate Corpi, comandate dal ferreo e ligio al dovere ufficiale Syril (Kyle Soller), che hanno messo Andor sulla lista nera dei ricercati. Con l’aiuto dell’amica Bix (Adria Arjona) e del fedele compagno droide Bee, Andor dovrà cercare la maniera più rapida e sicura di fuggire da quel pianeta.
Tutto cambierà, però, quando arriverà un uomo misterioso, interpretato da Stellan Skarsgård, che sembra proporre ad Andor una svolta improvvisa nella sua vita.
Essendo un prequel di Rogue One: A Star Wars Story, Andor gioca con le aspettative dello spettatore, ben consapevole di quale sarà la via intrapresa dal personaggio principale. La scoperta, quindi, è tutta nello svolgimento di quel percorso, di come il semplice ladro diventerà una delle figure più importanti della Ribellione.
Ribellione che, al momento, è solo un’idea di una manciata di persone, una piccola consapevolezza ben lontana dal diventare una vera e propria organizzazione in lotta contro l’Impero. Che il periodo raccontato in Andor sia antecedente alla classica divisione tra fazioni a cui Star Wars ci ha sempre abituato lo si capisce anche dai titoli di testa: il cielo stellato, la sagoma di un pianeta che si illumina lentamente sino a trasformarsi nel logo dei Ribelli.
Non il solito Star Wars
Ed è proprio questo uno degli aspetti più interessanti di Andor. Il mondo rappresentato è più grezzo e sporco, mette da parte un’estetica ormai troppo abusata dal marchio (sembra strano dirlo, ma finalmente non vediamo Stormtrooper e non si parla di Forza né di Jedi) per dare vita a qualcosa di sì riconoscibile, ma molto diverso dal solito. Con un tono più legato alla spy story che all’azione (quasi del tutto assente nei tre episodi), al ritmo sommesso rispetto alla velocità, Andor abbraccia un tono più adulto (per la prima volta si racconta anche la vita sessuale di alcuni personaggi), pur rimanendo nei limiti di un prodotto destinato a un pubblico eterogeneo, anche dal punto di vista dell’età.
Non mancano, infatti, i momenti meno drammatici in cui c’è spazio per qualche risata (e il droide Bee è perfetto per regalarle) e un po’ di leggerezza, anche se – va detto – non sempre questi toni così diversi si alternano in maniera bilanciata. A farne le spese sono soprattutto gli antagonisti, mai davvero pericolosi e temibili come vorrebbero far credere, anche se, data la struttura della serie (abbraccerà tutti i cinque anni necessari per arrivare a Rogue One, con alcuni salti temporali), possiamo immaginare la possibilità di vedere un’evoluzione caratteriale nei loro confronti: ingenui ora, potenti dopo.
Replicando lo stile di regia ben utilizzato in Rogue One, anche Andor predilige la camera a mano e la prospettiva di un comune cittadino della galassia, costretto a guardare gli eventi dal basso verso l’alto. Così come colpisce la quasi assenza della colonna sonora, soprattutto nelle scene d’azione, vero e proprio marchio di fabbrica della saga. Si prediligono il silenzio e il rumore ambientale, scelta efficace seppur straniante per lo spettatore appassionato. Anche per quanto concerne la musica, al momento minimale, ci riserviamo il desiderio di vederla crescere episodio dopo episodio, sia per assaporare meglio il talento di Nicholas Britell sia per simboleggiare l’apertura all’epica (come sarà poi il confronto tra Impero e Ribelli, che cambierà le sorti della Galassia) di quella che al momento sembra una storia personale, dedicata ad Andor, quindi più intima e raccolta.
Un cast che funziona
Se c’è una cosa che, però, Star Wars sembra non rinnegare mai è l’assoluta fiducia nel racconto per immagini. In questo caso, vuoi anche per la dimensione più umana del racconto, l’attenzione è spesso rivolta ai volti degli attori. Poche parole e più sguardi, alla bocca si sostituisce il linguaggio del corpo. Le scene migliori di questi primi tre episodi hanno a che vedere con alcuni primi piani silenziosi. Una scelta ardita e rischiosa, che contribuisce a donare alla serie una ricercatezza inusuale, e che ha bisogno di un cast che – fortunatamente – sembra perfettamente consapevole di cosa fare.
Diego Luna torna nei panni di Cassian Andor, lo fa con un look leggermente diverso da quello del film del 2016 e portando con sé un certo cinismo fratturato, che lo rende al contempo affascinante, duro e fragile. Anche i comprimari danno vita a personaggi nuovi di zecca davvero riusciti. Non si può non citare Adria Arjona nei panni di Bix, capace nel giro di una manciata di scene di rendersi interessante e il cui destino siamo curiosi di scoprire. E non possiamo dimenticare la veterana Fiona Shaw, a cui bastano un paio di inquadrature per catalizzare su di sé le emozioni che proviamo. Rimangono un po’ sacrificati Stellan Skarsgård, il cui ruolo di mentore al momento è sin troppo stereotipato e, soprattutto, il Syril di Kyle Soller, un villain per ora troppo macchiettistico (più per scelta di scrittura che per talento dell’attore).
“Pazienza, amico mio, pazienza”
Lo diceva il Maestro Qui-Gon Jinn al giovane allievo Obi-Wan Kenobi in una delle prime scene che aprono la saga di Star Wars. “Pazienza, amico mio, pazienza”, una frase che risuona nella nostra mente di appassionati mentre concludiamo il terzo episodio di Andor. In linea con quella che è la possibilità di un racconto seriale, che permette tempi più dilatati e può costruire il percorso dei personaggi passo per passo, Andor sembra raccontare pochissimo, ritardando il più possibile il momento di mettere la carne sul fuoco. A questo proposito, la scelta di rilasciare tre episodi (un quarto di stagione) in un colpo solo si è dimostrata vincente, in attesa che le cose, a partire dal quarto capitolo, possano decollare davvero.
Perché, nonostante l’evidente qualità, la sensazione è quella di una serie che non infiamma il cuore dello spettatore come previsto, o come avrebbe dovuto fare. Almeno non subito. I fuochi d’artificio arriveranno più avanti, probabilmente. Mancano all’appello quel senso di trasporto emotivo sincero e un minimo peso iconico (quello che per The Mandalorian è stato Baby Yoda), che per un brand come Star Wars è puro ossigeno. Come la Ribellione, quella di Andor è una scintilla sommessa, quasi nascosta. Ma anche la scintilla più piccola porta con sé un barlume di luce. E basta una sola scintilla per dare vita a un bel fuoco.
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La recensione in breve
Andor è una serie che si discosta un po' dal solito canone di Star Wars, presentando una storia in divenire più umana e intima, lontana dalla classica iconografia. Il cast regge al meglio una scrittura che predilige una messa in scena matura, anche se non mancano i momenti più distensivi. Il ritmo sommesso potrebbe non trascinare a dovere lo spettatore, ma tanto basta per ridare un po' di vita a un marchio che ha necessità di rinnovarsi.
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Voto ScreenWorld