In principio era Lost, con tutto il bagaglio che ormai conosciamo: è stata una serie seminale, uno spartiacque della serialità contemporanea (con un prima e dopo Lost) e via dicendo. Poi, nei dodici anni che hanno seguito la messa in onda dell’ultimo dei suoi ben 114 episodi (per un totale di 6 stagioni), pare che le isole deserte siano scomparse dall’orizzonte della serialità, o quasi. Nessun epigono, nessun prodotto che abbia cercato di cavalcare l’onda del successo della serie madre. Fino ad oggi, o meglio fino a questi ultimi due anni in cui, a distanza ravvicinata fra di loro, hanno fatto la comparsa sul piccolo schermo tre prodotti sì diversi fra loro, ma che hanno tutti scelto di piantare le tende su una qualche non ben identificata isola (o luogo sperduto che sia), mettendo al centro della scena un gruppo di adolescenti.
E ora che l’agorafobico paragone con l’universo di Lost sembra si sia finalmente allentato, ci ritroviamo per le mani queste tre serie fresche di uscita che hanno solleticato l’interesse di vecchi lostiani e di nuove generazioni. Cerchiamo allora di capire da cosa dipenda il successo delle nuove serie teen-survival e di conoscerle meglio.
Vecchio format non si cambia: la serialità è viva e sta benissimo
Una nuova ondata di serie survival, dicevamo, attualmente fruibili in streaming. Si tratta di Yellowjackets (disponibile su Sky Atlantic), The Wilds (da poco arrivata con la seconda stagione su Amazon Prime) e Benvenuti a Eden, la nuova serie iberica di Netflix.
Non sono film divisi in capitoli, e neanche mini serie conclusive o antologiche. Si torna (finalmente) a prodotti fortemente seriali, che della serialità conservano tutta la grammatica: concepite per svilupparsi nell’arco di più stagioni (salvo varie ed eventuali), con un più ampio respiro (nonostante la progressiva diminuzione di episodi per stagione) e una maggiore stratificazione narrativa. Ed è grazie a questa ampiezza di spazi narrativi che è consentita la gestione e lo sviluppo degli archi trasformativi di una variopinta pluralità di personaggi, i tre gruppi di ragazzi di ciascuna delle tre serie.
Un tuffo nel presente
Sono serie figlie del nostro tempo, e ci tengono a sottolinearlo, dispiegando temi contemporanei e sfruttando l’ambientazione per isolarne e potenziarne aspetti e dinamiche. Così le isole diventano terreno vivo per testare la sessualità in modo istintivo e libero (più o meno) da pregiudizi e pressioni eteronormative. L’elemento teen rimbomba forte e chiaro, all’interno delle dinamiche relazionali, ma è costruito con un’attenzione e una cura alla sfera emotiva/sessuale dei ragazzi da smarcarsi dal vecchio adagio secondo cui teen e complessità di scrittura non vanno d’accordo. Se vogliamo, qui è il contrario: è attraverso le nuovissime generazioni che vengono filtrate le nuove istanze e le spinte più attuali, è attraverso il loro sguardo che ci torna indietro una rappresentazione che legge la contemporaneità con gli strumenti più idonei. E per smascherare e penetrare in modo chirurgico fra le pieghe delle nostre convinzioni, quale espediente migliore di spogliare un gruppo di adolescenti dei costrutti sociali, mandandoli in luoghi in cui quei costrutti non hanno più ragion d’essere?
Tre serie a confronto
Tre serie, due delle quali ben più ambiziose e riuscite dell’altra. Chi ne esce malandata è l’ultima proposta di Netflix, Benvenuti a Eden. Brevemente, un gruppo di ragazzi viene invitato (leggi adescato) a una festa su un’isola per promuovere il lancio di una nuova bibita. Al termine del party, si risveglieranno in una comunità (leggi setta) guidata da una leader che promuove il rispetto per l’ambiente e uno stile di vita ecosostenibile in un clima tutto amore e ascolto reciproco, dove i social sono banditi a favore di uno scambio umano in (costante presenza) e condivisione. Un paradiso, appunto, salvo che ogni possibilità di ritornare alla propria vite è categoricamente escluso.
Purtroppo la scrittura dei personaggi è piuttosto frettolosa e non lascia il segno, ed è un peccato, visto la quantità di materiale di partenza.
Discorso diverso per gli altri due show, che molto puntano su una caratterizzazione verticale dei personaggi che resta comunque sempre funzionale a una trama ricca e complessa. Yellowjackets, di cui siamo in attesa della seconda stagione, è quella che più si discosta dal mondo teen. La storia dei nove mesi trascorsi negli anni ’90 dalle ragazze di una squadra di calcio a seguito di un incidente aereo, viene infatti ricostruita a poco poco, seguendo le vicende delle sopravvissute ai giorni nostri. La scelta del casting (teen e adult) è eccellente, e può contare sulla presenza di due icone degli anni ’90 come Christina Ricci e Juliette Lewis. Scelta furbissima e quanto mai azzeccata, che ha garantito alla serie un’ottima accoglienza di pubblico e critica (alcuni l’hanno salutata come “il prossimo Lost”) e che, come Lost, è costruita sull’alternanza temporale di presente e passato. Passato teen e presente adult. E probabilmente è proprio questo, uno dei fattori di maggior successo: una formula conosciuta che permette di seguire la trasformazione delle protagoniste stabilendo un dialogo continuo con lo spettatore, a cui si chiede di riempire con ipotesi e teorie il gap temporale che viene svelato lentamente.
Analoga struttura anche per l’ultima serie di questo terzetto, la sola (per adesso) ad avere anche una seconda e (non ultima) stagione. The Wilds è un trattato di sociologia in forma seriale, che la rende uno dei prodotti più interessanti e complessi dell’ultimo periodo. Sfruttando un contenitore rodato, inserisce il tema del femminismo sotto forma di esperimento: una scienziata isola un gruppo eterogeneo di ragazze in un ambiente ostile, monitorandole a loro insaputa. La tesi che vuole provare è la superiorità femminile rispetto a quella maschile (motivo per cui apparirà un secondo gruppo di soli ragazzi, sottoposti ad analogo esperimento). Interessante come (per ora) lo show non si adagi su soluzioni facili, ma continui a problematizzare e a mettere in discussione ogni assunto teorico. Binarismo di genere, costrutti sociali, malattia mentale; sono questi i gangli principali attorno ai quali si dispiega la serie, sorretta da una sceneggiatura solida e da una rappresentazione quanto più varia dell’universo adolescenziale (a parte sporadici casi meno riusciti).
Attendiamo con curiosità di vedere gli sviluppi futuri di queste serie. Per ora abbiamo capito che la serialità funziona ancora, ed è un potente strumento per indagare gli aspetti più attuali e mobili dei nostri giorni.