Si è parlato sin dalle fasi pre-lancio della serie spinoff nata dalle ceneri de Il trono di spade dei salti temporali previsti nella struttura narrativa di questa stagione inaugurale: tra il quinto e il sesto episodio, il gap è di ben dieci anni, e alcuni dei protagonisti di House of the Dragon cambiano volto, con l’uscita di scena di interpreti di età prossima a quella adolescenziale e il debutto di nuovi attori più maturi che ci accompagneranno nel precipitare degli eventi. Più che attori, dovremmo dire nuove attrici, considerata la centralità dei personaggi di Rhaenyra Targaryen e Alicent Hightower, rispetto ad aggiornamenti un po’ più collaterali come quelli dei giovani Velaryon, Laenor e Laena, che sono stati raccolti dagli anagraficamente più conformi John Macmillan e Nanna Blondell.
Va da sé tuttavia che siano state le giovani Milly Alcock ed Emily Carey a far battere i cuori degli spettatori durante la prima parte della stagione, e che molti siano inclini rimpiangerle, tanto più che entrambe hanno dato prova di talento e versatilità, e che ad oggi è tutt’altro che insolito invecchiare o ringiovanire un personaggio con makeup o CGI. Ma le interpreti delle versioni adulte d Rhaenyra e Alicent erano state ingaggiate ancor prima delle loro controparti teen, e già con l’episodio The Princess and the Queen hanno avuto modo di dimostrare sia le proprie qualità, sia le ragioni alla base del passaggio di consegne.
Da amiche a rivali
Alcock e Carey hanno condotto le loro eroine attraverso anni cruciali, trasformando le amiche del cuore piene di gioia e di vita in due donne cariche di responsabilità di fronte a un futuro minaccioso e a un regno diviso; dieci anni di tensione insostenibile le hanno cambiate radicalmente. Sono perdute l’energia, la leggerezza e lo spirito indomito di Rhaenyra; sono un ricordo l’ingenuità, la dolcezza e l’ansia adolescenziale di Alicent. Emma D’Arcy e Olivia Cooke ereditano il destino di due donne segnate da numerose gravidanze, assediate da molte paure per sé stesse e per i propri figli e dal rovello costante del sospetto reciproco. Non servivano solo i dieci anni in più: servivano l’amarezza e la disillusione di due “anime antiche”, serviva una smorfia di dolore che cancellasse per sempre l’innocenza.
Emma D’Arcy, gli amori e le pene di una futura regina
Per D’Arcy – attrice trentenne e non binaria che viene dalla scene londinesi, e che abbiamo già ammirato in serie quali Wanderlust e Truth Seekers – gli autori di House of the Dragon non potevano immaginare un’entrata in scena più significativa e brillante. Il regista Miguel Sapochnik, nella vibrante long take che ci mostra Rhaenyra dare alla luce il suo terzogenito per poi condurlo faticosamente al cospetto di Alicent, torna anche a spiegarci perché era stato così importante mostrare il parto fatale della madre Aemma (richiamato in causa anche nella storyline di Daemon: chapeau) nel primo episodio dello show: nonostante quell’orrore, Rhaenyra ha accettato di essere madre, ma non ci fa sconti sulla realtà della maternità.
Il dolore, il sangue, il secondamento, il corpo che cede, gli ingorghi mammari, oltre ad essere un’ulteriore dimostrazione di come questo show voglia andare addentro all’esperienza femminile del mondo, sono anche ciò che rende l’erede al trono vulnerabile nei confronti della sua tirannica matrigna (che il re, da tempo indebolito dai malanni, ha smesso di ingravidare).
Se la ripulsa nei confronti della maternità definiva la Rhaenyra giovane, è proprio la maternità a trasfigurare la Rhaenyra di D’Arcy: non solo nelle doglie, ma soprattutto nella gioia e nell’amore che evidentemente prova per i suoi piccoli e che condivide con un padre che non è il suo sposo. In questo elemento resta l’anticonvenzionalità di una principessa “troppo” libera, troppo protetta da un padre ancora piegato dal senso di colpa e dal dolore per la perdita di Aemma. In un ultimo moto di fierezza, la principessa cerca di trattenere il marito ad Approdo del Re, allo scopo di non perdere terreno nei suoi diritti sul trono; ma alla fine anche lei impara la lezione e si decide a fuggire con la sua famiglia legittima – ancora ignara del destino dell’amante Harwin Strong – per proteggere i suoi figli.
Olivia Cooke: un’eco di Cersei Lannister per la regina senza scrupoli
Ad appena ventotto anni Olivia Cooke è un’attrice navigata e versatile che abbiamo visto in numerose e rilevanti opere per il grande schermo, tra cui Ready Player One di Steven Spielberg e il classico young adult Quel fantastico peggior anno della mia vita.
La sua Alicent spazza via tutta la delicatezza e l’ironia dei suoi ruoli da ingenue contemporanea, trasformandosi in una complessa, velenosa regina cattiva che ha imparato dal padre Otto la stessa lezione che Cersei Lannistar aveva assimilato dal suo. Come Cersei, Alicent ha avuto due figli maschi e una femmina da un matrimonio infelice e diseguale. Come Cersei – e come forse la stessa Rhaenyra – per quei figli sarà capace di qualunque cosa, pur nella sua tragica solitudine. Un bel salto davvero rispetto alla dolce, giovane mamma dalla che cercava di riconciliare gli animi e di ricacciare le ombre in fondo ai suoi occhi.
Verso il caos e l’anarchia
Un bel salto, e per qualcuno un “salto dello squalo” – sia per il cambio delle interpreti, sia per il rapido risolversi di alcuni eventi come, ad esempio, il secondo matrimonio di zio Daemon. Per noi è l’esatto contrario: le storie affascinanti e ben narrate sono quelle che lasciano allo spettatore del lavoro da fare, che mostrano e non spiegano, e che trovano ragione e impulso nel cuore di personaggi credibili e inquieti.
Per andare dritto verso il caos e l’anarchia, House of the Dragon aveva bisogno di attrici mature e consapevoli come Emma D’Arcy e Olivia Cooke. Ne vedremo delle belle, perché qui finalmente si vola con i draghi.
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