Quando Fargo dei fratelli Coen uscì nelle sale più di 25 anni fa, nessuno si sarebbe aspettato che una storiella di deriva criminale avrebbe sconvolto il mondo. Eppure, ancora oggi, quel film rappresenta una delle opere imprescindibili di due dei maggiori cineasti del nostro tempo. Sorretta da atmosfere caratteristiche e da un ambiguo black humor, la pellicola ebbe il grande pregio di presentare un mondo colmo di sfumature che potesse sorprendere anche gli spettatori meno attenti. Cosa ancor più importante, Fargo fece immediatamente notare i suoi molteplici livelli di lettura: dietro un velo grottesco che sembra quasi celebrare l’assurdo, i Coen hanno costruito un dialogo fra temi diversi legati dal sottile filo della violenza, affrontando in maniera spietata il concetto di opportunità.
Con un’opera del genere divenuta cult assoluto, l’idea di riprendere quei temi e quelle idee per porle sotto una nuova luce sarebbe parsa bizzarra agli occhi di chiunque. Forse è proprio per questo che Noah Hawley, una delle penne più abili della tv moderna, non si tirò indietro quando FX ordinò la realizzazione di una serie TV ispirata a quella narrazione così particolare. Fargo – La Serie, a distanza di quasi dieci anni dalla sua prima stagione, è riuscita dove molti avrebbero fallito, rielaborando temi ed elementi stilistici per assimilare il senso profondo dell’opera dei Coen e andare addirittura oltre. Se questa serie antologica è divenuta anch’essa un cult è perché Hawley e soci sono stati capaci di stravolgere la struttura del film per riprenderne fedelmente lo spirito e il linguaggio, elevandoli oltre ogni misura attraverso storie differenti.
Nell’arco di quattro “cicli”- con la quinta stagione in arrivo in questi giorni su Sky e NOW – la produzione FX ha acquisito sempre più carica allegorica e profondità narrativa senza (quasi) mai patire il cambiamento di personaggi, ambienti o tematiche. Un dialogo costante tra osservatore e osservato, che spinge a guardare oltre la superficie per scoprire un inferno di significati.
Una “vera” storia criminale
Mettendo a confronto film e serie, sembrerebbero veramente pochi gli elementi in comune – ambientazione a parte. Questo perché la produzione targata FX si avvicina ai Coen nel suo aspetto più potente, che prescinde da personaggi, elementi stilistici o contesti: lo sviluppo della narrazione. Ciò che accomuna e lega le varie forme di Fargo è la loro capacità unica di farsi racconto del reale, parabola moderna dell’uomo comune alle prese con un evento inaspettato. I vari significati dell’opera ruotano intorno alla ricerca di senso di fronte all’inimmaginabile: dinanzi all’opportunità o a una situazione potenzialmente favorevole, la fiducia e la logica non si limitano a vacillare, ma cambiano l’uomo comune dando inizio a un’epopea criminale. In questo senso, le dichiarazioni degli autori non sono mai state più azzeccate:
“Fargo non è un luogo, è uno stato mentale. È una vera storia criminale dove la realtà è più strana della finzione e i buoni devono affrontare qualcosa di orribile”
L’elemento di raccordo, posto con particolare enfasi, è proprio quel “vera storia criminale”: il crimine nel mid-west americano è il filo conduttore fra stagioni molto diverse, legate tra loro dallo stesso conflitto idealistico tra bene e male, tra verità e racconto. Andando avanti con le stagioni, l’importanza di questo conflitto aumenta sino a divenire il cuore pulsante della narrazione. Se la prima, fenomenale serie rappresenta un ottimo rimando concettuale e la base di partenza per le storie successive, già la seconda se ne discosta drasticamente in termini stilistici, sfruttando l’assurdo come elemento cardine. Considerando i primi due “cicli” come tesi e antitesi, la terza stagione può esser vista come la perfetta sintesi del suo dialogo.
Una chiusura che sarebbe apparsa coerente e concreta, ma che non ha frenato Hawley dall’idea di esplorare ulteriormente i significati profondi di quella che ormai è a tutti gli effetti una “sua” creatura. In questo contesto, la quarta stagione potrebbe apparire come un passo falso, ma si tratta solamente di un cambio di termini all’interno dello stesso dialogo. Il bene e il male sono sempre presenti, l’uomo comune tentato dall’opportunità anche, così come le forze del caos al di sopra di ogni sospetto – vere motrici delle vicende e protagoniste segrete dell’opera.
Ordine e Caos
Non è difficile comprendere che, al di là di analisi e trame intricate, siano i personaggi a muovere la narrazione attraverso le loro azioni. In Fargo, però, gli uomini sono i soli a trovarsi abbastanza vicini allo spettatore per permettergli di comprendere ciò che accade. La coesistenza di personaggi dal forte valore morale con vere forze anarchiche che si muovono nell’ombra permette a chi osserva di distinguere attraverso il conflitto chi vive il contrasto, chi ne fa parte e chi ne è consumato. Ciononostante, il particolare più inquietante e affascinante dell’intera opera risiede nel sottile limbo tra ordine e caos: qui si trovano i caratteri che portano il dialogo su un altro livello, gli individui ordinari che compiono scelte scellerate e ne subiscono le conseguenze.
In Fargo si percepisce in ogni scena lo sviluppo di una parabola del cambiamento, con i personaggi che si allineano sulla scia di tre percorsi ben definiti: i “buoni” sono sempre (o quasi) testimoni della verità o risolutori di conflitti, ma non sembrano mai raggiungere una reale vittoria; i “malvagi” si realizzano nel caos, con obiettivi spesso fini a se stessi che difficilmente forniscono risposte concrete sul perché delle loro azioni; i “protagonisti”, invece, adottano scelte e soluzioni estreme accarezzando l’idea di farla franca, ma finiscono spesso per pagare il conto di una fortuna che in fin dei conti nessuno meriterebbe. In questo senso, la quarta stagione ha smosso le acque per continuare il dialogo della terza stagione ed elevare l’inatteso oltre ogni sviluppo ordinario, rendendolo una forza oscura capace di prendere il sopravvento nei contorti intrighi delle vicende.
Il senso oltre l’assurdo
Chiunque, dai personaggi allo spettatore, è portato a chiedersi se ci sia un reale senso dietro l’assurda violenza di Fargo. La “realtà”, la “vera” storia criminale, non perdono valore in questo vortice di puro caos? Per quanto sembri impensabile a un occhio poco attento, anche la violenza e il macabro seguono delle logiche ben precise nella serie: poggiandosi sulla verità dei personaggi coinvolti nelle vicende, tra ciò che raccontano, ciò che nascondono e ciò che cercano di far credere agli altri, le numerose chiavi di lettura si svelano attraverso un attento dialogo tra fonti differenti. Come accennato in un iconico poster della prima stagione, chi dice che tu non sia nel giusto e siano gli altri a essere nel torto? Il contrasto e l’accordo tra diverse verità costituisce il principale legame tra reale e assurdo.
La violenza rappresenta in tal senso due simboli estremamente potenti: da una parte, l’unico mezzo di “liberazione” dell’essere; dall’altra, la scintilla che porta il fato a reclamare chi ne fa uso. Nel mondo di Fargo, quindi, il “vero” più puro si trova nel suo ineluttabile alone di giustizia che colpisce con freddezza chi non è degno della pace o del successo acquisiti attraverso mezzi indicibili. In un mondo come quello di Fargo, che fa così tanto affidamento sulle credenze e sulle verità, chiunque ha la possibilità di ritenersi nel giusto nonostante tutto, e per questo la piena comprensione della verità risulta sempre più complessa di quanto dovrebbe. Non è un caso che i portatori di ordine, i poliziotti, brancolino spesso nel buio alla ricerca di risposte e trovino un senso alle vicende soltanto quando loro stessi capiscono di dover accogliere ogni verità – anche la più incredibile.
Raccontare un cult
Nel corso degli anni, Noah Hawley ha dimostrato di aver capito e assimilato lo spirito di Fargo. In ogni stagione della sua serie si alternano eterne danze di anime mai padrone di se stesse, costantemente alterate da forze esterne o derive violente. Nel portare in scena le loro storie, lo showrunner ha capito quanto sia importante per un personaggio – e quindi anche per lo spettatore – l’illusione del controllo: l’ordine è la cosa di cui l’essere umano ha più bisogno in assoluto e, se assente, lo porta più facilmente a perdersi. Per questo tutti cercano di riordinarsi, di ricomporre equilibri ormai compromessi, ma non riescono mai a realizzarsi.
Nel profondo della sua ricerca, Hawley rivela il segreto della sua creatura, quello che ha tenuto milioni di curiosi incollati allo schermo, attraverso una gelida morale: abbiamo bisogno che le cose abbiano un senso e desideriamo la realtà, quindi non abbiamo pace finché non la troviamo, ma siamo sempre troppo interessati alle storie per carpirla del tutto. Lo storytelling si rivela nuovamente uno strumento potentissimo, capace di catturare chi osserva e alimentare la sua bramosia di “senso”. Il legame con gli uomini di legge della serie è evidente: i poliziotti incarnano l’ordine in un mondo pieno di fragilità, ma rappresentano anche il bisogno di verità dello spettatore.
In un Fargo che cambia e si evolve di anno in anno, sono i personaggi a mettere a nudo i contrasti di un mondo disordinato. Persino quando tutto sembra superficiale, Hawley mantiene sotto traccia la stessa filosofia e attraverso la deriva criminale racconta le contraddizioni di un’America che rigetta se stessa. Forse il segreto di Fargo sta proprio in quella spasmodica ricerca di senso, o più semplicemente nell’esser riuscito come nessun altro a raccontare una fiaba antologica del reale.
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