Ci sono romanzi che cambiano per sempre la storia dell’umanità, che arrivano addirittura a cambiare le singole persone. È il caso di Cent’anni di solitudine, l’emblema del “Realismo magico” scritto da Gabriel García Márquez e pubblicato nel 1967 (prima edizione italiana 1968). Dell’opera e del suo autore non si smette mai di parlare, ma in questi giorni le discussioni sono fi gran lunga più frequenti: Netflix ha inserito in catalogo l’adattamento televisivo del romanzo. L’11 dicembre Macondo e i suoi abitanti sono diventati reali e le articolate avventure della famiglia Buendía saranno presto nelle case di tutti. Nel caso ci fosse ancora qualcuno nel mondo a non conoscere questa storia, è l’occasione perfetta per recuperarla.
Cent’anni di solitudine è quello che si definisce un “romanzo mondo”: quelle opere in cui l’autore non si è limitato a raccontare personaggi, relazioni e dinamiche, ma ha di fatto costruito un luogo d’azione (in questo caso inventato e utopico) con precise regole e caratteristiche – un richiamo somigliante al mondo reale e potenziato, nel caso di questa storia, da elementi magici, metafore e simboli.
Il giusto incipit per immergersi in un nuovo mondo
Tra i molti pregi dell’autore Premio Nobel spicca la capacità di scegliere sempre il modo giusto per iniziare un romanzo. I famosi incipit di Gabriel García Márquez attirano subito il lettore, che nel giro di poche righe viene travolto dal fiume in piena della sua scrittura. Márquez racconta le vicende dei personaggi con foga, velocità e con abbondanza di dettagli, ma riesce a condensare elementi ed eventi in modo tale che anche una sola pagina venga percepita il triplo rispetto alla sua effettiva lunghezza.
I cambiamenti emotivi e comportamentali dei suoi personaggi avvengono in modo fluido e naturale in un testo denso, ma tanto travolgente da non riuscire a interrompere la lettura. Per arrivare a tutto questo la frase iniziale è fondamentale:
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.
Con una sola frase l’autore ci dice tutto, di cosa parlerà il romanzo e qual è la materia. Difficile dimenticare un inizio del genere, che promette una storia avvincente ma soprattutto emozionante. Pochi incipit hanno lasciato il segno nella storia della letteratura contemporanea. Per capire la sua grandezza, Márquez ha segnato la storia non con uno, ma anche con un altro incipit:
Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati.
Su L’amore ai tempi del colera si sono spese tante parole, ma da questo romanzo Mike Newell è riuscito a realizzare un film in grado di rendere giustizia a una delle storie d’amore più belle mai concepite – un amore contrastato, portato magistralmente in scena da Javier Bardem e Giovanna Mezzogiorno nei panni dei protagonisti Florentino Ariza e Fermina Daza.
Cuori e speranze nel tempo
Raccontare Cent’anni di solitudine è un’impresa ardua, soprattutto perché c’è il rischio di ridurre la complessità di questo capolavoro. Pagina dopo pagina, il racconto attraversa diverse generazioni, intrecciando temi come l’amore, la guerra e molto altro. La narrazione segue le vicende della famiglia Buendía, che vive a Macondo, una cittadina immaginaria e chiaramente utopica da qualche parte in Colombia. Questo romanzo poliedrico trae la sua forza dalla celebrazione delle tradizioni e delle radici culturali, oscillando sapientemente tra il reale e il leggendario.
Per entrare nel cuore della trama, si può partire dal patriarca José Arcadio Buendía. Intorno al fondatore di Macondo si dipanano le storie di sette generazioni della famiglia, intrecciando le vite di una moltitudine di personaggi. Il romanzo è un intreccio complesso in cui elementi magici e mistici si fondono armoniosamente con gli avvenimenti storici dell’epoca. Ursula Iguarán, moglie di José Arcadio e testimone della vita di quasi tutti i discendenti della famiglia, è circondata nel corso della storia da un caleidoscopio di personaggi talmente particolari da far impallidire i protagonisti di molti altri romanzi. Tutti perseguono scopi e sogni, spesso idealistici e talvolta fugaci, in un universo che mescola utopia e disillusione.
Leggere un romanzo e uscirne cambiati
Dopo la lettura di un simile romanzo è davvero difficile non restare affascinati dalla scrittura di Márquez. Non sorprende il fatto che dalle sue opere visionarie siano stati realizzati dei prodotti audiovisivi. Se c’è un autore che scrive per immagini, questo è proprio Gabriel García Márquez: nel corso della lettura, i contorni dei personaggi che si susseguono nella storia si fanno talmente definiti da poterli immaginare chiaramente; il mondo che abitano si fa così dettagliato e affascinante da darci l’impressione di viverlo in prima persona; la descrizione degli odori, dei colori, dei suoni e delle emozioni è eterea ma allo stesso tempo concreta.
Le prime immagini di Cent’anni di solitudine raccontano in poche scene tutto questo e promettono di restituire tutto ciò che abbiamo trovato nel romanzo anche sullo schermo. L’autore permette al lettore di vivere a Macondo come i suoi protagonisti e di uscirne profondamente cambiati. Cent’anni di solitudine è una storia epica e avventurosa in un luogo e un tempo inventati, ma che attraverso il realismo magico assume concretezza e racconta di amore, passioni, guerra, oblio.
Tra sogni e destini
Cent’anni di solitudine è la storia che riflette sull’ineluttabilità del destino di ciascuno di noi, su come tutto si riconduca a un disegno più ampio, a una grande mappa dell’esistenza che gli esseri umani percorrono, in cui agiscono e che possono anche cambiare. Un’opera che si fa soprattutto inno alla libertà, che dimostra di cosa è fatta la natura umana e di come razionalità e istinti umani siano costantemente in lotta tra di loro.
Ci sono persone molto razionali e concrete, saldamente ancorate ai confini della realtà, ma ci sono anche persone che, pur servendosi della mente, vagheggiano di mondi e realtà ideali. Nel primo caso, il personaggio di Ursula Iguarán, moglie di Jose Arcadio Buendía, rappresenta perfettamente questa personalità; nel secondo caso è il suo stesso marito a seguire i sogni e la magia. Un parallelo che si riflette su qualsiasi lettore, colpendolo con la stessa forza delle parole più potenti e portandolo a trovarsi faccia a faccia con la parte più pura dell’esistenza.
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