C’era una volta un mondo in cui internet, smartphone, streaming e intelligenze artificiali non esistevano, se non magari in modo confuso e poco chiaro nella testa e nelle opere di geniali autori di fantascienza. Sì, lo sappiamo che per alcuni giovanissimi potrà sembrare quantomeno strano da immaginare, ma è la realtà in cui molti di noi sono cresciuti, una realtà in cui di connesso c’era davvero poco o niente, con tutti i pregi e difetti del caso.
Ma non siamo qui per fare i nostalgici o per ricordavi di come “si stava meglio quando si stava peggio”, tutt’altro. Siamo qui casomai a lamentarci di come, nel giro di poco più di un decennio, la realtà sia cambiata talmente velocemente da rendere quasi obsoleta una delle nostre serie TV preferite. E in effetti forse avremmo dovuto esordire con “C’era una volta Black Mirror, una serie che univa satira e fantascienza in modo così efficace da renderla unica nel suo genere”.
Ma per farlo decentemente (il lamentarsi, si intende) – quasi da wannabe boomer quali aspiriamo ad essere – dobbiamo per forza ripartire da quando tutto questa incredibile tecnologia che oggi ci circonda non solo non esisteva, ma era anche molto difficile da immaginare. E infatti quello che aveva decretato il grande successo di molta della TV degli anni ’60 – e quindi di alcune dei primi fenomeni televisivi di fantascienza, quali Ai confini della realtà, Doctor Who, Il prigioniero o Star Trek – era stata proprio la libertà e la possibilità di volare con la fantasia che questi programmi offrivano, nonché la capacità di ideare nuovi mondi, realtà alternative e società distopiche da parte dei suoi autori. E più gli episodi, e i mondi spaventosi in cui erano ambientati, erano comunque vicini alla nostra realtà, e quindi plausibili, più questi programmi avevano successo e conquistavano un pubblico sempre più largo.
Lo specchio nero di un’epoca che non abbiamo ancora capito
Facciamo quindi un salto in avanti di cinque lustri, e arriviamo al 2010: di storie fantastiche ce ne sono in gran quantità, le saghe fantasy continuano a conquistare platee oceaniche, e la fantascienza si è fatta sempre più filosofica, metaforica, lontana, anche geograficamente, dal mondo in cui viviamo. Questo perché la tecnologia invece ci ha reso tutti più vicini, tutti più connessi appunto. Il 2010 è l’anno di uno dei film più belli ed importanti di questo secolo in corso, The Social Network di David Fincher, in cui si racconta della nascita di quel Facebook che stava già cambiando il mondo, forse per sempre. Ma il film di Fincher non è fantascienza e non racconta alcuna distopia, è semplicemente realtà romanzata.
Nello stesso anno però c’è un qualcuno che invece, proprio perché è cresciuto con le serie sci-fi di cui sopra, ha ancora voglia di immaginare. Ma non più pianeti alieni o mondi popolati di draghi e maghi. Charlie Brooker, questo il suo nome, preferisce immaginare quali possano essere i peggiori scenari possibili che possano capitare in quello che è il nostro di mondo, semplicemente guardando oltre quello che sta già accadendo. Guardando oltre lo schermo/specchio nero che abbiamo tutti davanti in un modo o nell’altro e guardando oltre le notizie e i trend che popolano la nostra vita.
In realtà l’aveva già fatto pochi anni prima, con la notevole miniserie Dead Set, in cui immagina cosa sarebbe potuto succedere agli abitanti della casa del Grande Fratello se, durante il popolare show, il mondo fosse stato colpito da un’epidemia di zombie. Ma appunto lì si parlava di zombie e di scenari quasi impossibili – quasi perché, come ricordiamo, nel 2020 una pandemia c’è comunque stata e in quel caso il reality è andato avanti – e per questo oltre che spaventarsi si rideva, e tanto. Ma rideremmo ancora se invece cominciassimo a ragionare su tutte le potenziali derive che potrebbe prendere la tecnologia di cui facciamo utilizzo quotidiano? Cosa potremmo scorgere nel riflesso, se al posto di farci distrarre dai contenuti che passano velocemente davanti ai nostri occhi ci concentrassimo soltanto sul nero di quegli schermi? Per questi motivi, e molti altri, quando è arrivata nel dicembre 2011 sull’emittente Channel 4, Black Mirror ha conquistato e stupito tutti. Perché nessuno si aspettava nulla del genere da un mezzo scrittore comico quale era sempre stato Charlie Brooker. Ma soprattutto perché nessuno era davvero pronto ad osservare così a fondo un realtà che stava cambiando troppo velocemente. E che nessuno aveva capito ancora. Ma d’altronde c’è qualcuno di noi, anche oggi, che può dire di aver veramente capito il mondo in cui viviamo?
Una serie in caduta libera
Dopo quel dicembre 2011, e quei primi tre potentissimi episodi – Messaggio al Primo Ministro (The National Anthem), 15 milioni di celebrità (15 Millions Merits) e Ricordi pericolosi (The Entire History of You) – che già da soli racchiudono al loro interno angoscia, paura e disperazione da bastare per una vita intera, nel 2013 arriva la seconda stagione con tre nuove puntate, nuovi livelli di crudeltà e cinismo (cosa è Orso Bianco/White Bear se non il “torture porn” definitivo?) ed una capacità di anticipare e prevedere il futuro che fa spavento: tanto che è davvero difficile vedere l’episodio Vota Waldo! (The Waldo Moment) oggi e giudicarlo allo stesso modo di 10 anni fa. Perché quello che sembrava eccessivo e caricaturale allora, oggi è diventato già realtà in più e più occasioni.
Segue poi un (buon) episodio speciale natalizio con Jon Hamm, che del buonismo delle festa non ha ovviamente nulla, e poi l’annuncio dell’acquisizione della serie da parte di Netflix. Ed è qui che in molti cominciano a tremare: sarà l’inizio della fine per Black Mirror? Il colosso dello streaming renderà Charlie Brooker meno cinico e feroce? La risposta è quasi certamente no, perché la terza stagione datata 2016 rimane comunque di livello mediamente alto. Cambia magari tono in alcuni momenti e non ogni episodio funziona al meglio, ma per esempio lo splendido San Junipero nonostante l’apparente lieto fine è Black Mirror fino al midollo. Così come quel Caduta libera (Nosedive) con protagonista Bryce Dallas Howard, tanto “divertente” quanto tanto vicino, forse troppo, a molti comportamenti che già viviamo abitualmente e quotidianamente. Per non parlare poi di Gli uomini e il fuoco (Men Against Fire) che, seppur meno riuscito nel complesso, ha alle spalle un’idea tanto agghiacciante quanto potente.
Ma chi temeva un calo della qualità aveva le sue ragioni per farlo: a Netflix ci sentiamo di addurre la colpa del raddoppio degli episodi, questo sì, ma è evidente come già da tempo Brooker stesse faticando ad avere idee all’altezza della sua stessa fama. La quarta stagione, del 2017, lo dimostra ancora di più ma è ancora salvabile. I problemi veri cominciano con la quinta, quella del 2019, in cui davvero si fatica a ritrovare lo spirito di una serie che ormai sembra destinata a finire. D’altronde anche con il film interattivo Bandersnatch, per quanto originale e piacevole, Brooker sembrava aver già detto tutto quello che aveva da dire sull’argomento tecnologia.
Nel frattempo siamo pure arrivati al 2020. Un’annata che non vi dobbiamo certo presentare o ricordare. Anche perché l’ha già fatto lo stesso Charlie Brooker per noi, con il finto documentario Death to 2020 in cui in modo ironico racconta gli assurdi eventi di quell’anno che da molti era stato definito proprio “come un episodio di Black Mirror”.
Black Mirror non ti disunire: “A tiene o no n’a cos’a raccuntà?”
Dunque abbiamo finito, giusto? Concordiamo tutti col fatto che Black Mirror abbia fatto il suo corso? Che la realtà ha superato la fantasia, che la tecnologia corre talmente veloce che anche volendo nessun autore potrebbe mai stare al passo su questi argomenti. D’altronde se anche solo pochi anni fa si poteva viaggiare con la fantasie e immaginare Intelligenze Artificiali che prendono il controllo e rendono obsoleti gli umani, chi potrebbe mai scrivere di tutto questo oggi? Se non una AI stessa, si intende.
Eppure, un po’ a sorpresa, poche settimane fa Netflix ha annunciato una sesta stagione e noi oggi ci ritroviamo con cinque nuovi episodi di Black Mirror, tutti firmati Charlie Brooker, pronti per essere gustati. E noi per gustarli ce li siamo anche gustati, perché il valore produttivo è sempre comunque mediamente alto, i momenti geniali e WTF non mancano, ma soprattutto l’idea di indagare ancora una volta su noi stessi e quello che ci aspetta il futuro ci piaceva molto. Ma la verità è che questo Black Mirror 6 ci è parso davvero molto, troppo lontano da quello che ci ricordavamo.
Ci è sembrata una serie che ha ormai perso identità ma anche e soprattutto coerenza. Se già con le ultime stagioni la serie si era allontanata sempre di più da quel futuro buio e ipertecnologico che ci aveva colpito e sconvolto, per concentrarsi di più su un presente nemmeno troppo distopico, in questa ultima (perché sarà l’ultima vero?) stagione in più di un’occasione si va addirittura indietro nel passato, fino agli anni ’70. E in più di un’occasione la scrittura di Brooker lascia ogni pretesa di “plausibilità”, sfociando addirittura nel soprannaturale. Come se Black Mirror fosse ormai solo un raccoglitore di storie e film di genere, senza una sua logica o linea editoriale. Ma soprattutto senza avere qualcosa da dire davvero, e non solo una storia da raccontare.
La colpa è di Netflix diranno in molti, ma non siamo d’accordo. La colpa è di Brooker certamente e della sua incapacità di stare al passo con se stesso e il suo stesso genio. Ma la colpa è soprattutto dell’epoca e del mondo in cui viviamo, che di scenari alla Black Mirror ne genera ormai a decine e decine ogni anno, senza che nessuno glieli commissioni o li scriva.
Come potrebbe Black Mirror raccontare il futuro quando in quel futuro di cui si faceva portavoce, quasi come una moderna Cassandra, ormai ci siamo dentro. Quando viviamo in un mondo in cui lo stesso Brooker, avrete letto la notizia, si è rivolto a ChatGPT per testare l’AI chiedendo di scrivere un episodio di Black Mirror.
La verità è che se c’era una lezione da imparare da quella piccola serie britannica che nel 2011 si fece notare dal mondo intero, di certo non l’abbiamo imparato e probabilmente ormai è troppo tardi per farlo. La verità è che quegli schermi/specchi neri di cui ci parlava ormai spenti non lo sono praticamente mai. L’unico modo per godersi davvero nuovi episodi di Black Mirror è viverli e goderceli finché possiamo. Per tutto il resto vi diamo appuntamento a San Junipero, ci rivedremo direttamente lì.
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