Se avete avuto la (s)fortuna di vedere Tom Cruise alle prese con una mummia inferocita, avete incontrato in modo decisamente traumatico il Monster Universe, una delle pagine più appassionanti della storia del Cinema. Liberatevi di questo brutto ricordo e provate a immaginare cosa debba esser stato per la Universal lanciarsi nella produzione di film horror negli anni ’30, attingendo a piene mani dalla letteratura gotica inglese con l’intento di portare in sala personaggi come Frankenstein, la Mummia o Dracula.
Una scelta temeraria, capace di segnare in modo così indelebile l’immaginario collettivo che a novant’anni dall’uscita del cult Dracula di Tod Browing, Universal Pictures e Skybound hanno deciso di dare nuova esposizione a queste creature mostruose con degli stupefacenti adattamenti a fumetti. E non poteva che esser il vampiro per antonomasia ad aprire le danze, in un racconto visionario e lisergico scritto da James Tynion IV (già vicino a un certo pipistrello gothamita) e disegnato magnificamente da un Martin Simmonds in stato di grazia.
Il vero Dracula del grande schermo
Perché attingere a un vecchio concept dell’orrore, quando l’horror moderno sembra dilagare? Forse perché i classici non muoiono mai, o forse la verità è che quando Browning decise di portare Dracula sullo schermo non realizzò un semplice film, ma consacrò la creatura della notte a paradigma narrativo immortale, complice la presenza scenica di Bela Lugosi.
Chiunque sia venuto dopo Lugosi, che si chiami Christopher Lee o Gary Oldman, ha sempre dovuto sentire la pesante ombra del vampiro del Monster Universe, divenuto il Dracula per eccellenza. E forse proprio per questo preso come modello da parodiare in Dracula morto e contento di Mel Brooks, con un Leslie Nielsen scatenato che riprendeva alcune delle pose ed espressioni di Lugosi.
Possiamo discutere per ore su chi abbia inventato il vampiro moderno, se sia stato John Polidori con il suo Il vampiro o se Bram Stoker abbia trasformato un conte transilvano nel succhiasangue per antonomasia. Discussione letteraria che non si pone passando al grande schermo, dove è indubbio il merito di Tod Browning, che con il suo Dracula del 1931 creò a tutti gli effetti il Dracula cinematografico cancellando le ultime memorie del Nosferatu di Murnau, che tra copie bruciate e sfortune varie divenne leggenda decenni dopo – curiosamente anche lui celebrato ultimamente con il remake di Eggers e da Shin Nosferatu di Roberto Recchioni.
Rendere immortale un non morto
Una seconda genesi, quella scaturita dalla visione di Browning, così prorompente da consacrare Dracula a creatura senza tempo, presenza imprescindibile dell’immaginario collettivo. Tanto che, come ci ricorda Tynion, è divenuto quasi memoria ancestrale:
Quando ho iniziato a lavorare a questo fumetto, sono stato colpito da uno strano pensiero, Non ho la minima idea di quando ho saputo chi e cosa fosse Dracula
Forse è questa la chiave dell’immortalità del Conte: essere presente in modo sottile nel folklore universale. Le sue diverse incarnazioni, le sue mille iterazioni (dalla Tomb of Dracula marveliana al romanticismo decadente del Dracula di Coppola) lo hanno reinventato e riscritto, ma nella sua anima il vampiro transilvano è rimasto sempre fedele sé stesso. Che fosse raccontato in un fumetto o in un film della Hammer, il suo famelico morso non è mai stato tradito.
James Tynion IV non ha voluto spezzare questo eterno ritorno, evitando di limitarsi a una mera riproposizione della trama del capolavoro di Browning. Il focus non era rinverdire un cult da preservare, ma esplorarlo sotto una luce diversa, creando un’opera complementare alla visione del regista e dando nuovo spessore a personaggi spesso secondari.
Un servo in cerca di perdono
Troppo facile puntare l’attenzione del lettore sfruttando il sicuro carisma del Conte. Più impegnativo – e perché no, stimolante – dare spazio a una figura come Renfield, fedele servitore mai pienamente esplorato nella sua dissonanza tra umanità e servile adorazione del male incarnato.
Tynion sceglie di non riproporre momenti noti, come il primo incontro tra servo e padrone, ma si focalizza maggiormente sul rapporto tra Renfield e il dottor Seward, un costante dialogo tra la mente plagiata del folle e il disperato tentativo dello psichiatra di salvarne l’anima.
E’ questo il vero motore della narrazione di Tynion: l’altra faccia della storia che fa luce su una figura tragica, che viene vista infine come una vittima -‘questa povera creatura’ dirà infine Seward – capace con l’ultimo respiro di comprendere il suo tremendo sbaglio:
Non ho bisogno di medicine, Dottor Seward. Credo di aver bisogno di perdono
Renfield è l’invisibile, il pariah che vede nella seducente promessa di esser finalmente qualcuno la fine della sua esistenza misera, insetto fragile perduto in un’umanità brulicante che vive rifiutandolo, ignorandolo. L’allegorica dieta cui è costretto, il nutrirsi di insetti, lo illude di questa sua nuova identità di essere potente, ma quando la verità gli si palesa non può far altro che comprendere, odiare il tradimento del suo padrone e trovare infine una pace ristoratrice in un ultimo, umano gesto di pietà:
Sono ancora dannato, ma sono dannato come umano, non come un’altra cosa. Grazie…
Rosso come il sangue
La centralità con cui Tynion onora Renfield non priva certo Dracula della sua ferina presenza. Ne diventa anzi esaltazione, tanto nelle pose remissive del folle servitore quanto nel contrasto cromatico, dove la diafana caratterizzazione dell’uomo stride alla sanguigna e oscura presenza del conte.
Se Tynion orchestra una storia di forte emozione, la sua intuizione trova una magnifica interpretazione nella dialettica visiva di Martin Simmonds, già suo compagno di avventura per il graffiante Department of Truth. Con Dracula, Simmonds spinge la sua vena pittorica verso una manifestazione gotica impagabile, tanto nel tratto deciso e modellato su una ritrattistica antica, quanto nella colorazione, capace di passare dai toni seppia alle più accese tonalità rossastre che accompagnano la presenza del Conte.
Renfield viene disumanizzato da una colorazione diafana che ne amplifica il senso di distacco dall’umano consesso, così come il rosso dominante su Dracula non è un mero identificativo cromatico, ma viene utilizzato come imposizione di una ferina vitalità, una bestialità non repressa che esplode in splash page e in tavole in cui la gabbia cessa di esser limite per divenire pura immagine.
L’altro lato della storia
Una visione sicuramente differente rispetto alla tradizione di Dracula, complementare all’interpretazione di Browning – tanto da rendere quasi obbligatoria una visione del cult del Monster Universe che offra una diversa chiave di lettura di questa rivisitazione dell’opera di Stoker.
Il recupero di un contesto cinematografico come quello dei mostri Universal tramite il fumetto consente di rivalutare questi cult tramite nuove interpretazioni che ne preservino lo spirito originale, mostrando ai lettori una differente prospettiva che rinnovi quel patto di orrorifica fascinazione che ci lega a questi orrendi, meravigliosi mostri.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
Conclusioni
Tynion e Simmonds omaggiano il Dracula cinematografico per eccellenza andando oltre la visione di Browning, dando una nuova vitalità al grande classico del Monster Universe della Universal.
-
ScreenWorld