Le storie si evolvono e si riscrivono da sole, o rimangono intoccabili nella loro forma primigenia? L’eterno ritorno dei grandi classici in questi giorni vede protagonista assoluto il conte Orlok, il Nosferatu per antonomasia, che domina sul grande schermo grazie al film di Eggers di cui vi abbiamo parlato nella nostra recensione. Non solo sala, ma anche libreria per il vampiro di Murnau, che grazie a uno degli autori più peculiari del mondo del fumetto nostrano, Roberto Recchioni, conquista e seduce i lettori con Shin Nosferatu.
Dietro la figura di Orlok si nasconde una vera e propria mitologia: emulo di Dracula, il vampiro creato (o plagiato?) da Frederich Murnau per il suo film muto è divenuto un cult, capace di discostarsi dall’ombra del più celebre conte transilvano dando vita a una propria leggenda – tanto da meritarsi remake e più libere interpretazioni, come L’ombra del vampiro, in un rinnovarsi narrativo continuo.
L’eterno ritorno del male
La scintilla artistica di Recchioni scaturisce proprio da questo moto perpetuo, ma si arricchisce della passione dell’autore romano per il mondo nipponico. Non solo sul piano visivo, ma anche su quello del linguaggio narrativo inserendo nel titolo un enigmatico shin, termine che ricorre spesso nella recente produzione del Sol Levante al ritorno di figure cult della mitologia moderna giapponese – ricordate Shin Godzilla? Il duplice significato del termine può indicare tanto un ‘nuovo’ racconto quanto la ‘vera’ storia, lasciando scegliere ai lettori per quale accezione parteggiare.
Nel caso di Shin Nosferatu, Recchioni non tradisce i suoi stilemi narrativi, ma anzi li espande con lucida precisione compiendo una crasi tra differenti stili che non ha mai osato in passato. In precedenti lavori come La fine della ragione o Roma sarà distrutta in un giorno si era già percepita questa intrigante ibridazione tra fumetto nostrano e suggestioni esterne, mantenuti all’interno di un perimetro che consentisse di accogliere anche lettori meno avvezzi al medium.
Cinema muto, manga ed espressionismo
Reinterpretando il mito di Nosferatu, il Rrobe rompe ogni indugio e realizza un’opera fortemente autoriale, che celebra il film di Murnau nella matrice stessa della sua generazione. Impossibile leggere Shin Nosferatu senza sentirsi spettatori di un film muto di cui l’autore mutua alcuni meccanismi – tanto che l’intro dei diversi capitoli ricorda volutamente la presentazione delle scene tipica di quel cinema.
Anzi, possiamo spingerci oltre e consigliare di recuperare la visione di Nosferatu, disponibile gratuitamente su YouTube, per assaporarne i tratti specifici. Consiglio che potrebbe essere raccolto con maggior entusiasmo dagli amanti del cinema, considerato come il gusto contemporaneo potrebbe non appassionarsi a un film muto. Tuttavia, se vista con la consapevolezza della sua storicità, l’opera di Murnau mantiene il suo fascino e consente di apprezzare al meglio le peculiarità del Nosferatu di Recchioni.
Dare nuova vita al non morto
La sensibilità dell’autore nell’incorniciare la propria interpretazione, il suo shin, all’interno della classica iconografia di Nosferatu è, infatti, l’aspetto più intrigante del volume di Edizioni BD. Dove la tradizione del cinema muto comprimeva il racconto in recitazioni spesso necessariamente estremizzate e sostenute da colonne sonore di rara sinergia, Recchioni lavora di sintesi, sperimenta nuove soluzioni fatte di contrasti cromatici e di immagini volutamente forti.
Spinto da questo slancio espressivo, l’autore si muove libero sulle pagine, abbandonando ogni schema per dar vita a una sorta di visione espressionista in cui le regole del fumetto paiono stravolte. Tutto viene ricondotto alla pura narrazione per immagine, con l’assenza di gabbia e la presenza di dialoghi trattati come didascalie che sussurrano o urlano la propria presenza all’interno di tavole oscure.
Domina il nero, da cui emergono i personaggi in modo dirompente, con pose e movenze che tradiscono volutamente la tradizione dei grandi maestri del manga, da Go Nagai a Miura. Da questi, Recchioni assimila anche la trattazione dell’aspetto più seducente e ferino del vampiro, dando corpo a un erotismo del male che non viene esplicitato in modo morboso, bensì è presentato con pose languide contrapposte a espressioni fameliche o con momenti di esplosiva sensualità intrecciati astutamente alle regole cui è soggetto il vampiro.
Un nuovo Orlok
In questa dinamica relazionale, Recchioni abbandona quel gusto romantico di certe rivisitazioni del vampiro: non si attraversano oceani del tempo, ma si vive di istanti di selvaggio eros, di pulsione animalesca autentica. Se da un lato Orlok ne fa un’esigenza vitale, le sue vittime sembrano quasi trovare una liberazione nella sua seduzione, cedendo a istinti repressi che questa figura diabolica risveglia pienamente.
Questa nuova vita del non morto per eccellenza è benedetta dalla scelta di non ricreare in modo manicheo scene cult del film di Murnau, ma dall’intenzione di alludere a esse, ancorandole a una tradizione che è però libera di spaziare trasformandole in momenti di grande emotività attraverso tavole espressioniste di rara bellezza. Se Murnau riuscì a ritrarre la bestialità di Orlok tramite la recitazione rigida e impostata di Shreck, Recchioni ha la possibilità di mostrarne una natura ancora più ferina.
Questa ricchezza di suggestioni e di influenze, abilmente miscelate dall’autore, prende la forma di un racconto visivo di grande impatto, inquietante e affascinante, che proprio per questa sua natura si presenta più adatto a lettori con una certa sensibilità.
Espressionismo a fumetti
La forte attinenza al racconto sequenziale tipico del cinema muto consente a Recchioni di realizzare illustrazioni pittoriche alternate ad altre più tradizionali, in cui dare vita a un racconto fatto di sguardi disumani e dettagli sapientemente diluiti nella totalità dell’immagine, quasi un’amichevole sfida con il lettore affinché trovi tutti gli indizi nascosti in ombre e nubi.
Ritorna quella costante della produzione personale di Recchioni, una sincerità con il lettore, il non piegarsi a un gusto del pubblico in cerca di facili consensi, ma il più prezioso dono di un racconto autentico e libero di essere se stesso. Un dialogo imbastito su un terreno comune che per Recchioni diventa possibilità di non ingabbiare la propria vena narrativa.
Il vampiro che domina in Shin Nosferatu non è solamente una rivisitazione del classico di Murnau, ma diventa il fulcro di una sintesi della narrativa legata al mito del signore delle tenebre, quasi che Recchioni abbia voluto appellarsi più al ‘vero’ racconto, creando una storia definitiva. Sarebbe ingiusto e puerile questionare sulla fedeltà a una delle tante rivisitazioni del vampiro, che si chiami Orlok o Dracula: la potenza di opere come Shin Nosferatu è la volontà di reinterpretare, di cercare punti di vista ancora inesplorati vivendoli nella purezza della visione dell’autore.
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Conclusioni
L'eterno ritorno del non morto di Murnau viene interpretato da Roberto Recchioni con un'affascinate sintesi di espressionismo e manga, dove il fumetto diventa racconto visivo di forte impatto
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