L’Italia è sugli scudi di un’America che apprezza e celebra il ritratto della sua provincialità. L’Amica geniale, firmato dall’autrice nota con lo pseudonimo di Elena Ferrante, si aggiudica, dal New York Times, la vittoria come libro migliore uscito nel primo quarto del XXI secolo.
La giuria, composta da 503 personalità di spicco, tra autori, poeti, cristici, saggisti e amanti della lettura (tra cui figurano nomi come Stephen King, James Patterson, Sarah Jessica Parker e Jonathan Lethem), ha avuto il compito di selezionare le 10 migliori opere. Upshot, la rubrica che si occupa di “contabilizzare” i risultati, ha stilato, poi, la hit parade e il vincitore è stato proprio il titolo nostrano, edito nel 2011 e primo capitolo di una tetralogia che ha riscosso un successo enorme, insieme all’omonima serie tv con Alba Rohrwacher e Irene Maiorino. Nella dichiarazione ufficiale del New York Times in merito, si legge:
Il primo volume di quella che diventerà l’affascinante serie dei quattro romanzi napoletani della Ferrante, presenta ai lettori due ragazze cresciute in una violenta periferia di Napoli, Italia: la diligente e coscienziosa Elena e la sua carismatica e più spontanea amica Lila che, nonostante la sua impetuosa intelligenza è limitata dalla ristrettezza della sua famiglia. Da qui il libro (come anche la serie nel suo insieme) si espande, come un nuovo universo, inglobando le idee sull’arte e sulla politica, sulla classe e sul genere, sulla filosofia e sul destino, ponendo il focus sull’amicizia, conflittuale e competitiva, tra Elena e Lila e su come le due ragazze diventano adulte complicate. È impossibile dire quanto la storia ricalchi la vita reale dell’autrice (Ferrante scrive sotto pseudonimo) ma non è un problema: l’Amica geniale si attesta come un primo esempio di ciò che definiamo autofiction, una categoria che ha dominato la letteratura del 21 secolo. Leggere questo inflessibile e indimenticabile romanzo è come guidare una bicicletta sulla ghiaia: è scivoloso, snervante e fastidioso, tutto allo stesso tempo.
In virtù di uno stile che si avvale dei toni vintage di un’Italia che ormai si pensava relegata nel passato, Ferrante dà di nuovo lustro all’immagine di un Paese fermo in un tempo distante dalla contemporaneità e, forse, proprio per questo tanto amato oltreoceano. Il bianco e nero del cinema neorealista nostrano, che portava con sé il dramma della guerra persa, è restituito da pagine intense, malgrado manchino il movente e l’urgenza che avevano spinto cineasti come De Sica e Rossellini a realizzare le loro indimenticabili pellicole. Sebbene quello della Ferrante non sia un classico (al pari delle opere dei due soli autori italiani che hanno avuto risonanza a livello internazionale, ossia Umberto Eco e Italo Calvino), riesce nel suo intento di conferire nuova freschezza allo stereotipo del rione malfamato con tutti gli elementi che gli gravitano intorno.
Ed è grazie a questi ingredienti che la ricetta di Ferrante scala la classifica, posizionandosi davanti al premio Pulitzer Isabel Wilkinson, con il titolo Al calore di soli lontani, incentrato sulle migrazioni dei Neri Americani dal Sud nel periodo compreso tra il 1915 e il 1920. Al terzo posto, il romanzo storico su Cromwell, intitolato Walf Hall, di Hilary Mantel. Appena al di sotto del podio, Il mondo conosciuto, di Edward P. Jones, che racconta la storia di un ex schiavo nella Virginia dell’epoca antecedente alla Guerra di Secessione. Quinto posto per Le correzioni, di Jonathan Franzen, autore noto e apprezzato anche in Italia. Ed ecco che l’autofiction sbaraglia la concorrenza, attestandosi come genere prediletto al punto da far impallidire persino il thriller, che, in linea di massima, è il più amato dalla stragrande maggioranza dei lettori.