Il 21 gennaio 1950 il mondo della letteratura perdeva uno scrittore che, a distanza di settant’anni, continua ad avere una visione cristallina del nostro tempo: George Orwell.
All’anagrafe Eric Arthur Blair e nato in India, George Orwell è uno scrittore che ha usato le sue capacità narrative per combattere contro qualsiasi idea di totalitarismo. Tra i padri del genere distopico, Orwell è diventato famoso anche per la sua capacità di affrontare concetti e tematiche molto seri e complessi senza rinunciare mai alla chiarezza della lingua.
Scrittore, critico, giornalista e opinionista polemico, Orwell avrebbe potuto facilmente nascondersi dietro quel tipo di snobismo intellettuale che colpisce molti artisti con un curriculum vitae di un certo peso. Lo scrittore, invece, non ha mai rinunciato all’idea che i suoi scritti – che fossero saggi o opere di finzione – dovessero comunicare con il pubblico. Orwell non ha mai dato per scontato di dover educare qualcuno, ma ha sempre inseguito l’intento di conversare e comunicare, di utilizzare la satira per rivolgersi ai suoi lettori per metterli di fronte ai rischi che la società stava attraversando.
Il romanzo più famoso di George Orwell
Quando si fa il nome di George Orwell sono sempre due i titoli che vengono presentati come massimo esempio della sua “produzione impegnata”. Uno è La fattoria degli animali, uscito nel 1945, un romanzo che si inserisce nella corrente della antiutopia. Si tratta di una strategia narrativa che spinge a guardare al mondo con uno sguardo quasi esageratamente realistico, che rifiuta ogni forma di rassicurazione utopistica. Il genio di George Orwell si evince già da questi pochi elementi: nel voler raccontare una storia iperrealistica decide di creare una fiaba in cui gli animali di una fattoria inglese si ribellano al loro padrone umano, cacciandolo e dando inizio alla costruzione di una politica e di regime seguendo il comandamento secondo il quale “tutti gli animali sono uguali”. La storia prosegue in quella che poi diventa la costruzione di una dittatura e di un totalitarismo, che pone le basi per la distopia. E, naturalmente, parlando di distopia non si può citare quello che è il romanzo più famoso in assoluto dello scrittore: 1984.
La storia del romanzo più famoso di Orwell è ambientata nel 1984 in Oceania, una delle tre grande potenze, insieme a Eurasia e Estasia, che sono in lotta tra loro per il controllo totale della società. In Oceania ha sede anche la potenza che controlla ogni cosa, il Partito, che basa i suoi dogmi su un socialismo estremo che spinge i cittadini a rinunciare al proprio pensiero, accettando di seguire solo gli ordini del leader, il Grande Fratello. Il protagonista è Winston Smith, un impiegato minore che lavora a Londra ed è ancora scosso dalla guerra nucleare avvenuta poco dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il suo lavoro consiste nel riscrivere la storia per il Ministero della Verità, riportando sull’asse la propaganda: ma proprio la ricerca della verità del Partito porta il protagonista a ribellarsi segretamente contro il governo, avvicinandosi a un gruppo di rivoluzionari, ma anche a una donna, contraddicendo la legge. Il percorso di Winston è un percorso di crescita e redenzione, che però prende il via e si sviluppa all’interno di un mondo nerissimo, brutale e violento, che rappresenta forse l’esempio più alto di cosa significhi la distopia in ambito letterario.
La distopia come accusa all’età moderna
In letteratura, la distopia viene spesso usata come moto di rivoluzione nei riguardi del proprio tempo e della propria contemporaneità. La distopia, infatti, porta sulla carta la descrizione di un futuro non così lontano in cui il genere umano è alle prese con condizioni sociali, culturali e politiche estremamente negative, che molto spesso si identificano nella figura di un dittatore e nella costruzione di un sistema totalitario che vuole annientare ogni libero pensiero e ogni forma di autodeterminazione. Anche solo leggendo la trama di 1984 si intuisce con facilità come il romanzo rientri in questo genere e, di fatto, ne rappresenti l’esempio più fulgido.
Ma il “futuro prossimo” immaginato da Orwell aveva in realtà radici ben profonde nella sua immediata vicinanza. L’intento dell’opera, in effetti, si avvicina all’essere un’avvertenza contro la minaccia derivante tanto dal nazismo quanto dallo stalinismo. Nel romanzo si vede come il governo rapisca e torturi chiunque la pensi in modo diverso, chiunque si fermi a fare domande sullo status quo della società. L’umanità di 1984 è un’umanità che i dittatori vogliono silente e obbediente, un’umanità in cui la diversità non solo non è accettata, ma anche punibile con violenza. Impossibile non pensare alle torture che subivano i dissidenti russi sotto la guida di Stalin, ne il cupissimo ansito dei treni che trasportavano alla morte coloro che erano considerati diversi o comunque non affini al modello umano immaginato da Hitler.
La distopia di Orwell, in questo senso, riesce a colpire come una pugnalata proprio perché è stata in qualche modo capace di raccontare con ferocia ciò che sarebbe accaduto, descrivendo tramite la sua arte alcune delle pagine più brutali che la Storia avrebbe tramandato. Allo stesso tempo, però, l’opera è così precisa e universale che quegli stessi avvertimenti continuano ad essere attuali anche oggi: riflettono i timori e i pericoli che la nostra epoca iper-collegata e iper-tecnologica potrebbe dover fronteggiare in tempi relativamente brevi.
L’umanità sconfitta
Ed è proprio in questa attualità, in questa ciclicità del male, che si può ricercare l’altro dato che ha reso George Orwell un autore immortale e il padre putativo della distopia. Il genere, dallo scrittore di origine indiana, non viene utilizzato per raccontare una presa di coscienza, un’infiammata delle coscienze che porta a ribellarsi e ad accendere gli animi in nome di una rivoluzione necessaria. La distopia di Orwell è lontana anni luce da esempi più recenti come può essere, ad esempio, la graphic novel V per Vendetta di Alan Moore.
George Orwell riversò nelle sue pagine la sua delusione verso il partito socialista e la sua rabbia verso un sistema politico pieno di errori e corruzione. Ecco allora che i suoi romanzi non prevedono vie di fuga, non prevedono sconti. Non prevedono possibilità di felicità. Winston rappresenta la personificazione della civiltà, della libertà e dei diritti che ogni società civile dovrebbe garantire e per i quali dovrebbe essere sempre lecito combattere. La sua sconfitta, il suo cupo percorso all’interno di 1984, rappresenta la sconfitta dell’intero genere umano.
Attraverso Winston, Orwell avvisa i suoi lettori, li mette in guardia riguardo alla vulnerabilità dei valori della civiltà, asserendo tra le righe che tutti questi valori e tutti questi diritti possono crollare da un momento all’altro, quando subentrano in gioco delle potenze che seguono solo l’ambizione e ignorano il proprio popolo. La recente guerra che sta devastando l’Ucraina rappresenta l’esempio più recente di quello che Orwell ha cercato di inserire nei suoi romanzi: mai dare per scontato nulla, mai presumere che l’essere umano, quando si trova con dei poteri tra le dita, scelga di agire per il bene e per i propri simili. È molto più probabile che usi quel potere per distruggere tutto, per annullare ogni diversità, ogni dissenso, muovendosi poi in un deserto di pensieri e opinioni.