Secondo Goya, il sonno della ragione genera mostri. Ma cosa può scaturire se la ragione non si limita ad addormentarsi ma viene soffocata da disperazione odio? I mostri trascendono e diventano demoni, affamati di anime umane da corrompere, ricettacoli per invadere il nostro mondo, seminando morte e distruzione.

Incipit che sembra un deja vù, considerato come la letteratura di genere abbia spesso giocato su questa dicotomia, basti pensare all’Outcast di Robert Kirkman. Ma bastano poche pagine di Bitter Root per comprendere come Sandford Greene e Chuck Brown sia andati ben oltre, intrecciando questo tema dal sapore classico con una vitalità nuova e quanto mai attuale.

Perché non si parla di Bitter Root?

Bitter Root - © Image Comics
Bitter Root – © Image Comics

L’aver radicato Bitter Root all’interno di una precisa parte della popolazione americana la rende una serie particolarmente profilata, come si rivolgesse espressamente alla cultura afroamericana. Se da un lato è apprezzabile, dall’altro questo rischia di rendere la serie poco decifrabile per il pubblico estero, come dimostra anche lo scarso interesse suscitato in Italia, tanto che Bitter Root è ancora oggi un oggetto misterioso, poco curato anche dalla stampa di settore.

Un silenzio che non stupisce, considerato che solitamente fumetti calati nella quotidianità americana faticano a conquistare il pubblico nostrano. Anche titoli come Undiscovered Country, Brigg’s Land o Department of Truth tendono a ritagliarsi nicchie di lettori, non raccogliendo una maggior platea, apparentemente insensibile a questa narrativa.

Eppure, Bitter Root è una delle migliori produzioni fumettistiche recenti, capace nell’arco di quattro anni di fare incetta di premi Eisner, l’Oscar del fumetto, prima come nuova serie e in seguito come migliore serie in corso.

Paga, nel mercato internazionale, il non essere semplicemente un fumetto horror, ma di farsi portatrice di una precisa identità, di non nascondere le proprie radici, collegate alla cultura afroamericana e alle sue prime manifestazioni di inizio ‘900. Anni difficili, ancora turbolenti per una comunità che da poco è stata emancipata dalla schiavitù, ora in cerca di un proprio posto in una nazione che sembra non aver dimenticato odio e razzismo.

Demoni, elisir e lotta sociale

Bitter Root - © Image Comics
Bitter Root – © Image Comics

1920. Ad Harlem, quartiere nero di New York, la famiglia Sangerye è considerata la protettrice della comunità da maledizioni, possessioni e tutto ciò che trascende l’ordinario. Guidati dall’anziana Ma Etta, i Sangerye affrontano la minaccia dei Jinoo, creature mostruose che compaiono quando forze oscure di anime tormentate e affrante. Sebbene alcuni membri della famiglia considerino metodi definitivi come l’unico rimedio a questa piaga, sotto la guida severa di Ma Etta i Sangerye non uccidono, ma utilizzano un elisir creato tramite il sapiente utilizzo di particolari radici, con cui curano i posseduti cercando di ricondurli alla loro esistenza normale.

Nel compiere la loro missione, i Sangerye mostrano tutte le tipiche dinamiche di un nucleo disfunzionale. Eredi designati che rifiutano un ruolo cucito per loro prima ancora che nascessero, membri eclettici considerati strambi e isolati per le loro particolarità sono all’ordine del giorno nella quotidianità di Sangerye, che vivono queste spigolose relazioni come una missione, al pari del loro ruolo di protettori della comunità locale.

A stravolgere la vita di questi cacciatori di mostri arriva una nuova minaccia. Dopo anni di studi e piagato da una vita di ingiustizie, il dottor Sylvester decide di non accettare più passivamente la presenza di demoni e possessioni, ma di utilizzare le sue conoscenze per impiegare questi poteri come strumento per creare un mondo migliore. A costo di opporsi ai Sangerye, che considera come troppo pavidi per prendere decisioni complesse e moralmente fastidiose.

Un radicale cambio nella vita dei Sangerye, che tramite questo nuovo avversario avranno modo di riaprire ferite del passato, venendo costretti a rivedere alcuni dei loro dogmi per comprendere un mondo, non solo umano ma anche sovrannaturale, in costante mutamento.

La Storia diventa storia

Bitter Root - © Image Comics
Bitter Root – © Image Comics

La fine dello schiavismo era una legge, ma non una nuova mentalità. Bitter Root in questo non nasconde come gli stati del sud fossero ancora profondamente legati a segregazione e razzismo, rendendolo il teatro delle manifestazioni più ferali dei Jinoo. Queste possessioni sono infatti legate alla condizione umorale del posseduto, nascono dove odio feroce e di violenza inespressa sono presenti. Facile comprendere come il giogo della schiavitù prima e una condizione sociale basata sulla violenta disparità siano un terreno fertile per simili possessioni.

Walker trova la perfetta allegoria per inscenare un racconto sociale solido all’interno di una declinazione narrativa che accoglie lo steampunk e atmosfere orrorifiche che strizzano l’occhio alle maledizioni locali tanto care a scrittori horror, King in primis. Ne scaturisce una storia emotivamente concreta e sorretta da fondamenta salde, in cui il paranormale e l’orrore puro diventano specchio di una condizione umana che, per quanto contestualizzata nel passato, non manca di echeggiare brutture contemporanee.

Intenzione lodevole, al contempo punto di forza e debolezza maggiore di Bitter Root. L’approccio ritrattistico della società afroamericana del periodo si fonda tanto su un sentito comune, da libro di storia, quanto su dialoghi intelligenti, con specifici riferimenti che rischiano di rimanere ignoti al lettore casuale. Eventi come l’Estate Rossa o la mattanza di Tulsa sono poco noti fuori da confini americani, per quanto citato anche in opere di successo come la serie di Watchmen, ma sono pilastri della dimensione emotiva dei Sangerye e di Sylvester, rappresentano la loro storia familiare.

I mostri dell’animo umano

Walker spinge in modo accorato su questi punti, cerca di costruire tutto l’impianto narrativo di Bitter Root su questa sinergia tra mondo reale e mondo sovrannaturale, sceglie di dare ai mostri della sua storia una radice reale, concreta e, intelligentemente, quasi condivisibile.

Non è un caso che inizialmente i Sangerye si ritrovino a lottare con i Jinoo. Questi essere sono il frutto di una possessione di persone bianche, portatrici di un odio viscerale che divengono ricettacoli perfetti per questi demoni. Maschera perfetta dietro cui nascondere il razzismo, quel suprematismo bianco che proprio negli anni in cui è ambientato Bitter Root sembrava abbattersi sulla popolazione afroamericana con particolare ferocia. È quasi naturale, secondo questo schema, che arrivi un’altra forma di possessione, gli Inzondo, che colpisce la popolazione nera, una nuova forma di manifestazione che si fonda su voglia di rivalsa e di sofferenza repressa troppo a lungo.

Due differenti possessioni che, in realtà, sono componenti della stessa identità sociale . Non è un caso che l’attenzione di Walker si focalizzi principalmente su Harlem, culla della cultura afro negli anni ’20 e ghetto divenuto rifugio per una popolazione in cerca di un porto sicuro. Come vediamo anche nelle splendide tavole di Bitter Root, Harlem diventa un nuovo inizio anche per gli Inzondo, che scoprono come la musica possa aiutarli, assieme al siero dei Sangerye, a tenere a bada la loro violenza repressa, vivendo esistenze se non serene, quantomeno sopportabili.

Odio e disperazione alla radice del male

Bitter Root - © Image Comics
Bitter Root – © Image Comics

La centralità del concetto di possessione in Bitter Root si concilia con il modo in cui i Sangerye interagiscono con questa minaccia. Ma Etta rappresenta la guida saggia che cerca di preservare le tradizioni per tenere assieme la famiglia, mentre la nuova generazione è la nuova linfa che si scontra non solo con un mondo che pare non volerla, ma anche con resistenze in seno alla famiglia.

La condizione della donna viene nuovamente ritratta in un periodo fortemente transitorio, affidando alla giovane Belinda il ruolo di ribelle, incapace di accettare di non potere essere in prima linea nella lotta perché la famiglia ha sempre agito in un certo modo.

La caratura emotiva di Bitter Root è legata principalmente all’ottimo lavoro svolto in fase di creazione dei personaggi. Non ci si è limitati a presentare un ritratto didascalico di una famiglia di colore dell’epoca, ma si sono subito intessuti meccanismi relazionali che valorizzano l’interiorità dei singoli character, offrendo quindi ai lettori una ricca gamma emozionale. Basterebbe citare il colossale Berg, combattente sopraffino ma anche un letterato, al punto che ricorda in diversi momenti l’Hank ‘Bestia’ McCoy degli X-Men, capace di menare colpi straordinari e stemperare il tutto con un dizionario da illuminato scrittore.

Harlem, crocevia di mondi

Ogni personaggio ha una specificità evidente, palpabile. Che non passa solamente da un ritratto fisico o da personalità cesellate, come il ritrarre Ma Etta come una strega voodoo,  ma che si spinge sino a un’identità lessicale che, giocoforza, in lingua originale ha una valenza perduta nell’adattamento. Dettagli che contribuiscono a mostrare la maniacale attenzione nel creare personaggi realistici in un mondo tutt’alto che reale, o forse incredibilmente reale perché l’allegoria orchestrata da Walker mette a nudo maschere altrimenti invisibili.

Tutti questi elementi concorrono a rendere Bitter Root molto più di un fumetto action dalle venature horror. Dietro il lavoro di Walker c’è un vissuto culturale intenso, c’è la volontà di affrontare temi di grande importanza gestendoli tanto sul macro, evidenziandone l’impatto sociale, quanto sul micro, sondando nell’animo dei personaggi. Il tutto calandolo in una narrazione che trascende l’elemento storico e contestualizzandolo in una prospettiva specifica, assumendo in alcuni passaggi un intento quasi didattico, nel mostrare il Rinascimento di Harlem o la letteratura etnogotica.

Lasciandosi ispirare in modo evidente da stilemi steampunk e da maestri della commistione orrore-società, nel dare forma a questo mondo Sandford Green si è lasciato influenzare anche dalla blackploitation cinematografica per conferire ai suoi personaggi un look di spavalda sicurezza, unendolo ad arsenali dal look estroso e retrofuturista perfetto per gli anni in cui è ambientata la storia.

Il worldbuilding di Bitter Root è una perfetta crasi tra fantastico e realistico. Greene coglie il giusto equilibrio tra il tratto urbano finalizzato all’identità culturale dei Sangerye e i necessari dinamismi che caratterizzano i combattimenti, creando una grammatica visiva che ben si concilia anche alle vicende lontane dagli eventi principali, come le location a sud o la dimensione di Barzakh.

Ne risulta un impianto visivo, dove splashpages e inquadrature dagli assi dinamici sono dominanti, consentendo una cinetica che si adatta alle diverse situazioni, passando dalla vivacità degli scontri ai più pacati momenti di dialogo necessario allo sviluppo interiore dei personaggi.

In tutto questo, non viene mai meno l’attenzione al dettaglio, a quei tratti specifici della cultura afroamericana del periodo che rendono Bitter Root un fumetto di altro profilo. Pur se calati all’interno di un impianto grafico che non mira alla verosimiglianza, si riconoscono gestualità e tratti tipici della popolazione di colore, si preserva con naturalezza questa matrice culturale cercando di adattarla a un tratto fresco e talvolta cartoonesco, impreziosito dalla colorazione lisergica e di Greene e Renzi, che adattano la palette cromatica alle esigenze narrative.

Come leggere Bitter Root

Bitter Root - © Image Comics
Bitter Root – © Image Comics

Bitter Root è pubblicato in Italia da Leviathan Labs, che ha già portato nelle nostre fumetterie i primi due volumi della serie. Va riconosciuto all’editore l’aver mantenuto all’interno dei propri volumi il prezioso materiale di approfondimento originale, veri e propri saggi redatti da sociologi e studiosi che aiutano a contestualizzare riferimento storici e dettagli essenziali della cultura afroamericana del periodo.

Pur apprezzando l’impegno in fase di adattamento da parte di Leviatahn Labs, la specifità dello slang originale non era facilmente traducibile in italiano, motivo che spinge a consigliare l’edizione originale ai lettori più vicini alla cultura americana che preferiscono godere dell’identità linguistica dei personaggi.

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Classe '81, da sempre appassionato di pop culture, con particolare passione per il mondo dei comics e la fantascienza. Dal 2015 condivide queste sue passioni collaborando con diverse testate, online e cartacee. Entra nella squadra di ScreenWorld come responsabile dell'area editoria con una precisa idea: raccontare il mondo del fumetto da una nuova prospettiva