La copertina di Bea Wolf (Bao Publishing, 2025) raffigura la piccola Bea con indosso un cappuccio da orso, seduta su un “tesoro” di caramelle e giocattoli. Intanto, una casa sull’albero svetta come un castello in mezzo a un cortile di vicini dissidenti e intrighi da gelato che si scioglie d’estate.
Intorno risuona il clamore di bambini in festa, piccole voci che riecheggiano come un coro antico, mentre la memoria si dipana tra le raffigurazioni infantili dei corvi di Odino. All’orizzonte, oltre la staccionata, si staglia un’ombra grigia e minacciosa: un adulto dal cipiglio severo, determinato a spegnere quelle risate.
In questa atmosfera da fiaba vissuta nel giardino sotto casa si apre Bea Wolf, graphic novel di Zach Weinersmith e Boulet che reinterpreta in chiave infantile l’epica di Beowulf, con dedica speciale alla professoressa Elizondo che per prima ha pronunciato quelle sillabe, trasportando “l’eterna guerra tra bambini e adulti”, tra ciò che resta del passato e ciò che sacrifichiamo sull’altare dell’innocenza perduta.
Un fumetto che conduce il lettore nello spazio più intimo della sua mente, nella finestra dove si torna bambini e nel mondo dei giochi e dell’immaginazione quotidiana.
La leggenda della Casa sull’albero

Bea Wolf fa parte della collana Cherry Bomb, firmata da Zerocalcare, in cui il Re Mida del fumetto italiano sceglie e ci mostra le sue opere preferite. E dopo The Grocery del 2024, Zero opta per questa storia perché è nella transizione tra adolescenza ed età adulta che viviamo le avventure più belle. E noi, scavati dalla passione che diventa lavoro, non possiamo che essere d’accordo.
La trama di Bea Wolf scorre come un canto narrato attorno al fuoco. In un’anonima periferia, proprio come nell’epica, i bambini hanno creato un piccolo regno libero, governato dai coetanei. Esiste persino una dinastia: quando un sovrano cresce troppo per giocare, passa la corona a un successore più giovane, dopodiché perde la memoria dei divertimenti passati a causa del tempo che scorre.
Così, il regno resta eternamente giovane mentre gli ex-bambini, divenuti “grandi”, scordano i giorni gloriosi delle marachelle e delle risate. E come nei grandi racconti di ode agli eroi, Weinersmith e Boulet ci consegnano la mitopoiesi di un lignaggio che si tramanda di fantasia in idea, dal re migliore al più amato.
Un regno in pericolo
Il monarca che tende il primo filo del destino è Re Roger, detto il Costruttore, colui che ha eretto la gloriosa Casa sull’albero, rifugio sacro di tutti i bambini liberi e chiassosi e dei compleanni da festeggiare tutti insieme.
Sotto i suoi rami i piccoli sudditi vivono avventure spensierate, protetti dall’innocenza dell’infanzia. Ma oltre quel piccolo Eden incombe la minaccia del mondo adulto. Le festose scorribande dei bambini attirano infatti l’attenzione oscura di Grindle, un vicino anziano e burbero che odia il baccano dei piccoli.
Grindle è un adulto cupo e feroce, con un potere spaventoso: rendere adulti i bambini attraverso il tocco, come il grigio su una palette di colori calda.
Basta un suo gesto perché ai bimbi cadano di dosso gli abiti variopinti dell’infanzia, ritrovandosi all’istante grigi, seri e annoiati come i grandi. Con la sua presenza malevola, Grindle prende d’assedio la Casa sull’albero: notte dopo notte l’ombra dell’adulto strappa qualche bambino dal gioco, trasformando compagni di avventura in piccoli adulti smemorati.
I ranghi del regno arboreo si assottigliano, e un silenzio timoroso inizia a calare laddove prima riecheggiavano risate. Quando tutto sembra perduto, però, un ultimo barlume di speranza giunge da lontano. In nome di un antico patto di alleanza, la guerriera Bea Wolf arriva da un altro quartiere a soccorrere Roger e i suoi compagni.
Bea, mantello sulle spalle e orsetto di peluche come elmo, è coraggiosa, incrollabile, feroce nel modo in cui solo i bambini sanno esserlo. Sarà lei a sfidare il “mostro” Grindle in un duello leggendario sotto le fronde dell’albero, combattendo non solo per una casa di legno, ma per l’anima stessa dell’infanzia.
L’esito di quello scontro finale consegnerà ai posteri una nuova leggenda, il tipo di storia che i bambini di ogni tempo vorranno ascoltare prima di addormentarsi e che, le professoresse del domani, sillaberanno per una classe di futuri oratori e scrittori.
Epica di giochi e cortili

La grande trovata di Bea Wolf sta nel raccontare i giorni spensierati dei bambini con lo stesso respiro epico delle gesta antiche. Weinersmith recupera dalla materia originale di Beowulf gli strumenti linguistici e poetici del testo antico e li applica a un’era di giochi, cortili e immaginazione.
Ogni aspetto della quotidianità infantile viene amplificato e trasfigurato: ciò che agli occhi degli adulti è “solo un gioco”, qui diventa un fatto eroico degno di memoria. Le caramelle divorate di nascosto sono tesori scintillanti; le marachelle notturne, audaci imprese; una semplice casetta di legno tra i rami diventa una cittadella inviolabile.
Il linguaggio è alto e solenne, punteggiato di allitterazioni e termini dal sapore antico, come se un cantastorie medievale stesse declamando le vicende. Non ci sono quasi dialoghi diretti: le vignette rinunciano ai balloon tradizionali, preferendo didascalie poetiche in terza persona che narrano gli eventi, perché non esiste opera epica senza frasi a effetto.
Il risultato è incantevole: il fumetto sembra un racconto orale illustrato, una fiaba epica che scorre con il ritmo di una filastrocca solenne. Colpisce il contrasto giocoso tra forma e contenuto: l’opera mantiene “un tono solenne nella forma quanto spassoso nei contenuti”, per spiegare ancora una volta la scelta di Zerocalcare.
Ritratto di crescita
Scene di vita bambinesca: un assalto a colpi di gavettone, una scorpacciata di dolci, una maratona di cartoni animati, vengono descritte con la gravità epica che si riserverebbe a battaglie campali o banchetti regali. Questo tono bifronte strappa sorrisi continui: il lettore adulto sorride per la buffa epicità delle situazioni, mentre il lettore bambino vi coglie tutta la tensione e l’avventura, prendendo sul serio quel mondo di fantasia.
I riferimenti al poema originale sono disseminati con intelligenza ma senza risultare vincolanti. Chi conosce Beowulf riconoscerà i nomi echeggianti: Bea come Beowulf, Grindle come Grendel, Roger che ricalca Re Hrothgar e gusterà le citazioni nascoste.
In altre parole, Bea Wolf non è una parodia né un esercizio di stile fine a se stesso, ma un’epica autonoma e universale, comprensibile da chiunque. Gli autori hanno voluto dare ai più giovani una loro epica che glorifichi le loro gesta quotidiane apparentemente insignificanti e ci sono pienamente riusciti.
Il fumetto celebra i comportamenti da monello e la fantasia sfrenata in quanto valori: costruisce intorno ad essi una mitologia genuina, affermando che la cultura dell’infanzia non vale meno delle ossessioni e delle regole dei grandi.
Non c’è traccia di pedanteria o intento moralistico: Bea Wolf non vuole insegnare nulla, vuole semmai ricordare a tutti, grandi e piccini, che l’immaginazione è una forza vitale. Proprio per questa sua onestà nel mettersi all’altezza dei bambini, senza mai sottovalutarli, l’opera finisce per parlare davvero a tutti
La nebbia dei ricordi

Sotto l’avvincente avventura, Bea Wolf nasconde anche una profonda riflessione sulla memoria e sull’identità. In apertura vediamo come gli adulti abbiano perduto ogni ricordo della propria infanzia: i “grandi” di questa storia sono figure grigie che non riescono più a comprendere la lingua giocosa dei bambini, quasi fossero stranieri al paese della fantasia. Del resto, capita anche a noi, nella vita reale, di crescere e accorgerci che i ricordi d’infanzia sbiadiscono in una sorta di nebbia.
E il tintinnio segreto si rivede solo in soffitta, dopo anni passati a ripulire la memoria dai giochi, perché crescere è roba da grandi. In Bea Wolf la magia dell’epica tenta di squarciare quella nebbia.
Attraverso il filtro del mito, ciò che sembrava dimenticato torna a prendere forma e sostanza. Le vicende narrate assumono la funzione di ponte fra generazioni: leggendo, l’adulto riscopre emozioni assopite, il bambino vi riconosce il proprio mondo reale trasfigurato in leggenda.
La memoria, inizialmente fragile e fallace, viene recuperata e trasformata in strumento narrativo: diventa il mezzo con cui raccontare l’infanzia e, così facendo, definire un’identità collettiva. Non è un caso che gli autori si siano ispirati ai loro ricordi personali per delineare ambientazione e situazioni, piuttosto che calibrare la casa sull’albero attraverso la griglia di uno smartphone o simpatizzando con gli youtuber da tablet.
Si percepisce, in ogni tavola, l’affetto nostalgico verso quei giorni di giochi spensierati. La lettura di Bea Wolf accende inevitabilmente un faro sui nostri ricordi: è difficile non tornare col pensiero al proprio cortile d’infanzia, a quelle sere d’estate in cui ognuno di noi ha combattuto il suo mostro immaginario prima che la mamma chiamasse per la cena.
Le Pagine della Nostra Vita

In questo senso, il fumetto riesce a parlare anche al cuore di chi bambino non lo è più. Quando si chiude il volume, dopo l’ultima pagina, resta addosso una lieve malinconia mescolata a meraviglia. Bea Wolf ci ha fatto ridere e sognare, ma soprattutto ci ha fatto ricordare.
Ci ha ricordato che tutti siamo stati parte di un’epica segreta – l’epica dell’infanzia – i cui eroi avevano ginocchia sbucciate e mantelli improvvisati.
Ci ha ricordato che quel fanciullino dentro di noi forse tace, ma non è scomparso. E infine ci ha mostrato che ogni ricordo, anche il più sfocato, può diventare una storia potente se lo raccontiamo con il linguaggio giusto. Come un bardo che canta imprese lontane, Bea Wolf trasforma la nostalgia in racconto e il racconto in identità.
È un invito, dolce e solenne, a non perdere mai quel leggendario regno interiore fatto di giochi e speranza, perché è lì, in fondo, che risiede la parte più vera e luminosa di noi stessi.
Perché se la setta dei poeti estinti succhiava il midollo della vita, allora l’epica può descrivere la malinconia come la metafora di un tempo grigio che incombe e mostra i suoi segni su un isolotto in cui abbandonare i giochi. E, in questo, i disegni di Boulet sono l’affresco di un paradosso infantile: tratteggio semplice prestato ai ricordi.
Conclusioni
Un'opera che attraverso l'epica sa raccontare meglio di tanti trattati l'infanzia e la memoria.
La costruzione della storia
- L'uso delle ombre
- Le citazioni all'epica
Alcune tavole risultano confuse
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Voto Screenworld