Adattare materiale proveniente dal mondo dell’animazione o del fumetto in una serie e/o film in live action non è facile. Negli ultimi tempi abbiamo avuto occasione di rifletterci spesso vista anche la sempre più considerevole mole di materiale che viene riadattato in questo senso. Vale perciò la pena ribadire far rivivere mondi immaginari in live action è rischioso ma non impossibile.
Kiseiju – La zona grigia, disponibile su Netflix, ce lo dimostra con una serie che sfrutta l’opera originale come punto di partenza per poi costruirsi una personalità propria senza essere pedissequa e senza andare a ricercare un iper-realismo non necessario. Ma per capire meglio il tutto cominciamo dall’inizio.
Dal manga all’anime
Prima di parlare infatti della serie Netflix vogliamo spendere qualche parola sull’opera originale. Scritto e disegnato da Hitoshi Iwaaki, Kiseiju – L’ospite indesiderato debutta sulle pagine di Morning Open Zōkan, edito da Kōdansha, nel 1989 per poi approdare su Afternoon, sempre dello stesso editore, dove rimane fino alla fine della serializzazione nel 1995. Tra sci-fi, body horror e questioni esistenziali, il manga raccontava dell’invasione di parassiti alieni che invadono la Terra con l’obiettivo di prendere il controllo del corpo degli esseri umani stabilendosi nel loro cervello. Proprio quello che accade a Shinichi Izumi, un tranquillo studente di diciassette anni, che accortosi di una presenza entrata nel suo corpo riesce a fermarla impedendogli di raggiungere il cervello; stabilitosi nella sua mano destra e per questo chiamato Migi (destra in giapponese), il parassita e il ragazzo, ormai mire tanto degli esseri umani quanto dei parassiti, stringeranno una strana alleanza lottando per sopravvivere. Qualcosa che porterà entrambi a riflettere sulla necessità di comprendere chi è diverso da sé e a trovare così il proprio posto in un mondo ormai cambiato ma in cui può esserci ancora una speranza.
Considerato uno dei seinen migliori degli ultimi trent’anni, nel 2022 Kiseiju – L’ospite indesiderato aveva ancora 25 milioni di copie in circolazione, il manga ha ricevuto nel 2014 un adattamento anime prodotto da Madhouse che riprende abbastanza fedelmente l’intreccio dell’opera originale pur spostando la narrazione nel presente e rielaborando il character design dando ai personaggi un appeal più moderno. Sempre nel 2014 e l’anno successivo vedono poi la luce due film in live action basati sul manga: a dimostrazione del fatto che l’opera di Iwaaki non ha mai smesso di ispirare e creare suggestioni con la sua commistione tra romanzo di formazione e fantascienza.
Uno spin off originale
Da qui arriviamo alla nuova serie tv live action prodotta da Netflix, diretta e co-scritta da Yeon Sang-ho (la mente dietro Hellbound) che omaggia e re-immagina l’universo creato da Hitoshi Iwaaki. Spostando l’ambientazione dal Giappone alla Corea del Sud, Kiseiju – La zona grigia racconta ancora una volta di un’invasione aliena mettendo partendo però da premesse differenti che permettono alla narrazione di andare ad approfondire altre tematiche rispetto all’opera originale.
Se infatti nel manga e nell’anime il protagonista era un ragazzo che veniva assalito dal kiseiju nel proprio letto, nel live action Netflix troviamo invece una ragazza, Jung Soo In, che diventa mutante in punto di morte; il momento in cui il parassita entra nel suo corpo è quello in cui lei stessa viene aggredita da un uomo, una strana coincidenza che non permette al kiseiju – chiamato poi Heidi, di impossessarsi appieno del suo cervello. Anche Jung Soo In e Heidi, proprio come Shinichi e Migi, saranno costrette a una convivenza forzata che le farà riflettere sulla loro differente natura: una premessa simile rispetto a quella dell’opera originale che permette al regista Yeon Sang-ho di intavolare un discorso nuovo anche se coerente con il mondo di Kiseiju.
Gli stessi protagonisti di manga/anime e live action rappresentano l’anticamera di due dinamiche narrative differenti. Se infatti Kiseiju – L’ospite indesiderato ha, come abbiamo accennato, una forte componente di romanzo di formazione – il protagonista cresce grazie al suo rapporto con Migi ma anche per via dei traumi accumulati nel corso della storia, non si può dire lo stesso per la protagonista di Kiseiju – La zona grigia. Jung Soo In non è infatti la ragazza della porta accanto, ma una giovane donna con un passato di abusi e traumi; l’arrivo di Heidi, grazie a cui comunque si salva da morte certa, rappresenta per lei un punto di non ritorno e le permette di guardare al mondo in modo diverso. Il tutto mentre la task force Grey Team cerca di sgominare la minaccia aliena. Qualcosa che ci fa domandare: chi sono i veri parassiti?
Un live action riuscito
Con un’estetica marcatamente body horror che punta a tirare una linea di demarcazione netta tra il “noi” e il “loro”, Kiseiju – La zona grigia amplifica un concetto presente già nell’opera originale, riadattandolo a una sensibilità contemporanea sicuramente più disincantata. Con un interessante sottotesto di critica sociale, la serie tv lascia infatti aperta la questione sul chi siano i veri parassiti – un concetto che Hitoshi Iwaaki aveva già espresso, espandendolo e attualizzandolo arrivando a conclusioni differenti. Se infatti l’opera originale si concludeva con Shinichi e Migi che facevano tesoro di ciò che avevano imparato l’uno grazie all’altro, la serie live action di Netflix pare insistere sul fatto che gli esseri umani hanno parassitato il loro mondo mandandolo in rovina – basti vedere le sequenze d’apertura che mostrano discariche di plastica ed ecosistemi distrutti, e che non siano in grado di fare fronte comune nemmeno di fronte alle minacce.
Meritiamo quindi di essere salvati? Questo lo snodo nevralgico di Kiseiju – La zona grigia che dimostra che è possibile adattare in live action un universo cartaceo e/o animato preesistente scegliendo una chiave di lettura nuova e rifacendosi a stili propri del medium di riferimento senza voler ricalcare a tutti qualcosa di già esistente. Senza ricercare un iper-realismo fastidioso ma utilizzando gli effetti speciali in modo bilanciato, questa serie non tradisce l’opera originale ma al contrario, la omaggia e ne espande il mondo andando a realizzare un prodotto ben fatto e con un plot twist che si riaggancia direttamente al manga/anime e che lascia intravedere prospettive interessanti. Una parola: crossmedialità.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!