Il primo è il film della piacevole scoperta. Il secondo della difficile sorpresa. Il terzo della possibile conferma.
Robert Eggers, con la sua terza opera cinematografica, si giocava tutto. Dopo essere diventato in brevissimo tempo un regista di culto, autore di un nuovo modo di intendere e mettere in scena il genere horror, e dopo due capolavori come The Witch e The Lighthouse, Eggers ha alzato la posta in gioco. Non più un film prodotto da uno studio indie come A24, non un budget piccolo e risicato, non un altro horror.
The Northman doveva sancire il talento del regista anche fuori dalla sua comfort zone. O, almeno, così si pensava. In un’epoca in cui persino il minimo rumor e la più piccola indiscrezione diventano notizie da prima pagina sulle testate specializzate, l’aurea che circondava la terza fatica di Eggers era un misto di attesa e paura.
Attesa, perché i fan del regista aspettavano con ansia la visione di questa storia di vendetta ambientata nelle terre norrene.
Paura, perché alcune dichiarazioni sibilline durante le interviste e qualche voce dagli screening test lasciavano presagire un film problematico a cui erano seguite pesanti ingerenze da parte dello studio.
Si è arrivati, così, al giorno dell’uscita del film con il timore di vedere Robert Eggers inciampare sulle proprie ambizioni e dare vita a un’opera riuscita a metà, dove la visione dell’autore e quella dello studio avrebbero lottato, dando vita a una via di mezzo insoddisfacente per entrambi. Un risultato non proprio piacevole dato che il budget del film si aggira intorno ai 90 milioni di dollari, come un Morbius o un Sonic 2 di ben diverse aspettative commerciali.
E alla fine, che film è The Northman? Un’opera che sacrifica sull’altare del dollaro il talento del regista o un tassello coerente con la sua filmografia?
The Northman è commerciale?
Tagliamo subito la testa al toro. Al contrario di quanto viene detto da parte della critica specializzata, forse come conseguenza delle dichiarazioni e dei rumors di cui sopra, The Northman non è un film commerciale.
Il terzo film di Robert Eggers è, prima di tutto, un film di Robert Eggers. Meno ostico e cinefilo di The Lighthouse, sicuramente più accessibile, ma pura prosecuzione naturale dello storytelling di The Witch, da parte di un talento maturato e nel frattempo cresciuto.
Ci sono troppi elementi presenti nel film che rischiano di allontanare il pubblico medio, quello dei grandi blockbuster a cui si è abituati nel 2022: un ritmo compassato che procede sì inesorabile ma senza brusche accelerazioni, poche scene d’azione (per quanto grandiosamente girate), la violenza brutale che trasforma gli esseri umani in bestie rabbiose, rendendo la parte emotiva e soprattutto empatica un po’ troppo sottopelle, e infine l’inserimento di elementi mitologici e folcloristici che potrebbero causare più di qualche risatina di scherno tra le poltrone della sala cinematografica.
Con una punta di malizia, si potrebbe dire che l’unico vero elemento commerciale è dato dai nomi del cast, anche se non si raggiunge in alcun modo lo star power di altri film recenti (e di successo) come Dune.
In definitiva, se vivessimo in un’era senza internet e non avessimo, prima ancora di vedere i titoli di testa del film, tutte le informazioni che, ufficialmente o meno, ci sono state divulgate, non penseremmo in alcun modo che The Northman possa risultare, ora e in futuro, una mosca bianca nella carriera di Robert Eggers.
Promesse mantenute
Il cinema di Robert Eggers è unico. Non c’è nulla di simile ai mondi che crea sullo schermo ed è l’unico a padroneggiare questo modo di raccontare le storie. Storie che a prima vista sono spogliate di ogni complessità, sembrano canovacci dal quale sprigionare e spremere le migliori qualità cinematografiche, ma che nella loro semplicità rimangono coerenti alla poetica del regista.
Robert Eggers non racconta storie, ma crea mondi.
L’ha sempre fatto, sin dalla sua opera d’esordio, il cui stile è stato preso a modello all’interno dell’horror: basti pensare a come Oz Perkins ha replicato la mano di Eggers in Gretel e Hansel, senza raggiungere gli stessi risultati. Non è possibile farlo, perché il segreto di Eggers sta nella costruzione di un mondo dove la realtà e il mito si confondono. La storia semplice si trasmuta in leggenda, in un racconto che ha tutte le caratteristiche della tradizione orale del passato.
In The Witch il tutto era reso palese dal sottotitolo originale A New-England folktale (tradotto in italiano con Vuoi ascoltare una favola?), in The Lighthouse la storia dei due guardiani del faro si mescolava con le credenze e le storie marinaresche (con tanto di maledizioni legate ai gabbiani, la presenza di sirene e Poseidone). In The Northman la storia di vendetta di Amleth si confonde con la presenza, tangibile e visionaria, delle divinità norrene.
Questa compresenza di umanità e divinità è ciò che rende Robert Eggers un demiurgo di una materia che solo lui riesce a equilibrare al meglio, anche a costo di allontanare lo spettatore. Perché i film di Eggers sono talmente intrisi di Storia, ricchi di dettagli basati sulle fonti a noi tramandate (la lingua parlata, i riti religiosi, la matericità delle scenografie), che non sempre ciò che viene osservato appare chiaro a una prima visione. È il mistero e allo stesso tempo il fascino dell’universo Eggers, dove permane un’enigmaticità che non dona risposte, ma suggestioni.
E quanto è difficile per il pubblico di oggi lasciarsi suggestionare.
Un film da ammirare
Se dal punto di vista narrativo abbiamo assistito allo stesso grado di “commerciabilità” delle precedenti opere di Eggers (non basta una classica storia di vendetta per rendere di fatto un film più felice al box office, conta soprattutto come viene raccontata), lo stesso si può dire dell’attenzione del regista nei confronti delle immagini. Più che alla figura umana, Eggers è interessato a come questa si inserisce nel paesaggio che la circonda, destinando solo ai momenti topici i primissimi piani, dove rimane sempre percepibile la presenza di qualcosa che il protagonista, al centro dell’inquadratura, sta osservando a sua volta.
The Northman, sin dalla prima inquadratura, dove un vulcano con la sua potenza inizia a rendere lo spettatore un mero testimone della grandezza audiovisiva, non lascia presupporre le scelte di un autore che deve scendere a compromessi con le direttive di uno studio interessato (come giusto che sia) a rientrare nelle spese. Si tratta di un film da ammirare, più che da seguire, elemento che in un’epoca dove l’Oscar al Miglior Film è sempre legato alla sceneggiatura e non alla fotografia, alla scrittura delle parole e non delle immagini, non può che dimostrarsi respingente verso lo spettatore, disabituato a questo modello narrativo.
La vera follia, anche questa da ammirare, è vedere uno studio finanziare ben 90 milioni per un film che, a tutti gli effetti, è girato da un regista che non è sceso a compromessi (almeno non vistosi tanto da snaturare la propria idea di cinema), che ha sì un pubblico, ma di nicchia. Difficile che The Northman possa rivelarsi un successo al botteghino, specialmente in un periodo complicato come quello che stiamo vivendo, con il cinema d’autore che sembra vittima di un’emorragia di spettatori sempre più irrefrenabile (i risultati al box office dei nuovi film di Steven Spielberg o Guillermo Del Toro – decisamente meno autoriali di Eggers – lo dimostrano). Tuttavia, è proprio grazie a film come The Northman che rischiamo seriamente di innamorarci dell’arte cinematografica, riscoprendo pulsioni e sentimenti estatici a tratti sin troppo sopiti.
Ecco, se proprio dobbiamo rendere merito a Eggers, nel creare mondi in cui – come abbiamo detto nella nostra recensione del film – iperrealismo e misticismo si sposano, anche noi ritroviamo, a nostra volta, quella magia, misteriosa e fascinosa, del cinema stesso.
Dimenticando per una volta l’aspetto industriale.
Sarà una disfatta, ma nel frattempo avremo cavalcato come valchirie.
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