Nonostante le opere di Shin’ya Tsukamoto abbiano incontrato difficoltà distributive nei circuiti principali italiani, sono riuscite a guadagnarsi un grande apprezzamento nel sottobosco underground e nell’ambito dell’home video, trasformandosi in veri e propri cult. Il regista giapponese è stato uno dei maestri indiscussi del cinema J-horror, una corrente dell’horror nipponico che ha saputo imporsi nel panorama internazionale grazie alle sue idee innovative e all’uso particolare del linguaggio cinematografico. Il suo esordio, Tetsuo: The Iron Man, non ha solo definito i confini del genere, ma ha anche stabilito un nuovo standard per le produzioni a basso budget.

In Tetsuo, Tsukamoto non si limita a dirigere un film horror, ma crea una vera e propria esperienza sensoriale e viscerale, esplorando la psicologia dell’individuo immerso nella società delle macchine. Pur avendo realizzato pellicole molto diverse tra loro, il regista ha sempre mantenuto costanti i suoi temi e il suo stile, creando mondi distopici che pongono l’individuo al centro di un dialogo profondo con la modernità e la tecnologia. La sua abilità risiede soprattutto nell’uso frenetico e grafico del montaggio, raccontando storie di alienazione e trasformazione da una prospettiva sensoriale.

In questo senso, Tsukamoto riesce a stabilire un dialogo con gli autori americani del body horror, da cui il film è chiaramente influenzato. Come nei migliori film di Cronenberg o Carpenter, anche in Tetsuo la deriva horror nasconde in realtà un’aspra critica sociale. Come per il corpo di Jeff Goldblum in La mosca, anche quello del “Feticista del metallo” diventa un veicolo per rappresentare al meglio le nevrosi dell’uomo comune, pronto a fondersi con una tecnologia che non comprende appieno. Ma solo pochi autori del genere sono riusciti, come Tsukamoto, a creare una vera e propria esperienza visiva facendo leva sull’estetica stessa dell’immagine.

Le metamorfosi

Taguchi il salaryman
Taguchi, il salaryman – ©Shin’ya Tsukamoto

Prendendo in esame uno dei racconti più rivoluzionari del Novecento, La metamorfosi di Franz Kafka, è possibile tracciare un parallelo tra Gregor Samsa e il Feticista del metallo. In entrambi i casi, infatti, non c’è una vera e propria motivazione per la trasformazione, anche se questa avviene con scopi diversi. Gregor si ritrova a diventare uno scarafaggio perché, in realtà, è già uno scarafaggio agli occhi della società e della sua famiglia; la trasformazione, in questo caso, serve solo a chiarire ed esplicitare la sua posizione. Quella del Feticista del metallo è invece una trasformazione “attiva”, che ha lo scopo di contrastare la società e la sua oppressione.

Tetsuo inizia infatti con una lacerazione: il Feticista del metallo lacera la propria pelle per impiantare innesti metallici nel corpo, cambiandone per sempre la struttura fisica e mentale. Le metamorfosi dolorose di questi personaggi sono necessarie per descrivere simbolicamente la sofferenza e la difficoltà del passaggio dallo stadio precedente a quello successivo. Un momento di transizione in cui l’identità viene frammentata per ricostruirsi in una forma rivoluzionata. Ma se per Samsa la trasformazione serve solo a delineare la sua colpa sociale, per gli uomini del metallo queste metamorfosi diventano strumenti di una ribellione violenta.

Tsukamoto pone l’uomo davanti agli estremi cambiamenti che la tecnologia, in rapida espansione negli anni ’90, avrebbe comportato. Se Gregor subisce la metamorfosi perché è passivo di fronte alla vita, i personaggi di Tsukamoto sembrano invece anelare la trasformazione per ribellarsi alla loro posizione. I nuovi strumenti tecnologici diventano quindi un mezzo nelle mani dell’uomo, necessario per compiere quella trasformazione che svela le nevrosi accumulate durante un intero secolo, pronte a esplodere con conseguenze distruttive. Se Gregor è costretto a soccombere, i protagonisti di Tsukamoto formano un’alleanza per radere al suolo l’intera umanità.

L’aspetto sociale

Scontro Taguchi e infetta
Scontro tra Taguchi e un’infetta – ©Shin’ya Tsukamoto

Il body horror, fin dalla sua nascita, ha sempre tratto spunto dalla situazione politica e sociale del contesto storico. Tsukamoto, come visto, non fa eccezione. È interessante notare come questa dimensione non sia semplicemente raccontata attraverso didascalici dialoghi – anzi, questi non hanno una vera e propria funzione narrativa. La connotazione sociale viene chiarita solo attraverso i costumi e i comportamenti dei personaggi. Il simbolo sociale degli Uomini di metallo sono, in questo senso, molto vicini ai personaggi di Kafka.

Il salaryman in Giappone rappresenta infatti la figura per eccellenza dell’uomo qualunque, l’individuo che è chiamato a prendere il proprio posto nella società come un mero ingranaggio di un meccanismo più vasto e importante di lui – una dimensione molto vicina a quella di K. o di Gregor Samsa. Gli orari lavorativi sono proibitivi e il tempo personale viene completamente assorbito dagli improrogabili doveri professionali, quasi a scontare quella pena innata a cui Kafka ha dedicato la sua letteratura. Il personaggio di Taguchi è alienato allo stesso modo di Gregor Samsa e solo la sua metamorfosi può portarlo in un nuovo e distruttivo piano dell’esistenza.

In questo senso, è interessante notare il contrasto tra il costume di impiegato ordinato, con giacca e cravatta e dal volto pulito, e il mostro del metallo, deformato in ogni aspetto, asimmetrico, sporco e con il volto segnato da un trucco pesante. Una differenza estetica che compensa la carenza dialogica, raccontando di per sé il contrasto tra l’oppresso impiegato e il violento mostro di metallo. Questo concetto della società come “nemico” diventa ancora più chiaro in Tetsuo – Body Hammer, dove il protagonista si troverà a confrontarsi con veri e propri sicari della “società”.

Dal corpo all’immagine.

Il Metals Fetishist
Il Metal Fetishist originale – ©Shin’ya Tsukamoto

Il cinema è un medium audiovisivo in cui l’immagine ha un peso maggiore delle parole stesse. I grandi registi riescono a comunicare significati e messaggi attraverso le immagini. Tetsuo è un esempio emblematico di come un film possa comunicare molto di più attraverso le immagini che con i dialoghi.  Questi ultimi, quando presenti, sono più funzionali alla creazione di un’atmosfera oscura e minacciosa che a una vera e propria narrazione. Tsukamoto sembra più legato alle anti-regole della Nouvelle Vague, più che a quelle dell’industria cinematografica tradizionale.

Da un lato il film racconta la metamorfosi su un piano prettamente fisico e materiale, mostrando Taguchi alle prese con le trasformazioni del suo corpo in una chiave classica da body horror: il metallo prende lentamente possesso del suo corpo, formando armi, lame e altri terribili strumenti. Ma dall’altro lato queste trasformazioni vengono trasmesse direttamente attraverso l’immagine. L’inquadratura viene infatti tagliata, velocizzata e plasmata mediante un montaggio forsennato, effetti e stop-motion. Ciò che subisce il corpo lo subisce anche l’immagine, producendo così nello spettatore una serie di sensazioni che trasmettono visceralmente i terribili cambiamenti che avvengono nei corpi dei protagonisti.

Tsukamoto anticipa così quello che sarebbe avvenuto in Francia molti anni dopo con il movimento del New French Extremity. Un intero movimento horror di giovani registi, tra cui Claire Denis e Gaspar Noé, che avrebbero dato più attenzione all’immagine stessa, rielaborandola in una chiave completamente nuova. Tsukamoto si posiziona con Tetsuo come uno dei punti di riferimento della cinematografia mondiale, svelando quanto possa essere fondamentale il pensiero dietro l’immagine e la sua manipolazione piuttosto che la storia stessa. Dimostrando che la spettacolarità non sta tanto nei costosi effetti visivi di Hollywood ma soprattutto nella messa in scena.

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Cinefilo accanito, musicomane, videogiocatore e appassionato di letteratura e fumetti. Sono uno studente di cinema e audiovisivo, con una particolare attenzione alle produzioni del continente asiatico. Puoi trovarmi come cinerama46 sui social!