“Volevo mettermi alla prova tentando quello che non aveva mai funzionato: un film su Hollywood. All’inizio doveva essere una commedia – pensata per Mae West – e solo in seguito divenne la storia di una diva del muto e di uno scrittore.
Queste sono le parole che Billy Wilder in persona, regista di Viale del tramonto (Sunset Boulevard – 1950) ha pronunciato quando il regista Cameron Crowe, durante una lunga intervista pubblicata nel volume “Conversazioni con Billy Wilder”, gli ha chiesto com’è nata l’idea di uno dei uno dei più grandi e incisivi film sul cinema.
Settantacinque anni fa, il 10 agosto 1950, Viale del tramonto faceva capolino nella storia del cinema diventando una pietra miliare imprescindibile. Come lo stesso Wilder dichiarò, il film aveva lo scopo di parlare apertamente di Hollywood, senza filtri. Di fatto Wilder fu il primo a togliere la maschera patinata e ipocrita alla “magica” Hollywood, svelandone tutti gli aspetti più sordidi e puntando su una storia cruda, senza ipocrisie.
Oggi, dopo molti anni, è storia nota che la Hollywood degli anni d’oro fu una sorta di Sodoma e Gomorra, in cui tra festini esagerati, sesso sfrenato ed eccessi di ogni tipo la cronaca nera si muoveva agilmente tra una villa e l’altra della famosa collina – solo che nessuno lo andava a raccontare in giro! Fino a quando Billy Wilder non decise di farlo con una storia noir da brividi, aprendo di fatto la strada a un nuovo genere.
Da Viale del tramonto in poi, il discorso sul cinema è stato più volte introdotto nei film (se si parla di metacinema oggi, è soprattutto merito suo).
Una strada in particolare è al centro dell’azione, Sunset Boulevard appunto: il luogo in cui vivevano molti divi, comprese le vecchie glorie del cinema muto messe da parte con l’avvento del sonoro. Norma Desmond, una di quelle dive in declino interpretata da Gloria Swanson, dice: «Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo».
Cosa penserebbe Norma Desmond del cinema di oggi?
Il cinema di oggi

Probabilmente, dando un’occhiata al cinema contemporaneo, Norma Desmond storcerebbe il naso per le troppe innovazioni tecnologiche. Versandosi un altro drink, snobberebbe tutto con un’alzata di spalle, tornando alla sceneggiatura del suo Salomè. Attualizzando il pensiero della diva del muto potremmo dire che il cinema, oggi, è diventato piccolo non nei mezzi, ma nelle visioni. Le grandi storie hanno ceduto spesso il passo agli algoritmi, ai franchise infiniti, ai remake e ai reboot che rincorrono il successo facile. Norma Desmond sarebbe inorridita nel vedere una Hollywood che preferisce il calcolo al rischio creativo. E forse avrebbe distolto lo sguardo anche davanti a quella trasformazione più sottile: l’avvento dello schermo domestico, l’esperienza collettiva ridotta a visione intermittente, tra uno scroll e l’altro.
Norma, che viveva di primi piani e silenzi assoluti, non avrebbe tollerato di essere compressa in una finestra sul cellulare. Dopo Wilder, molti altri hanno alzato il velo, svelando la realtà oltre il sogno. Norma voleva restare nell’illusione, noi invece vogliamo sapere sempre cosa si cela dietro il trucco. Alla fine, il cinema non è diventato più piccolo: è diventato più vero. Ma nel farsi verità, forse, ha perso qualcosa della sua magia. Norma Desmond non avrebbe mai accettato di condividere la scena con la realtà. Noi, invece, la pretendiamo. Ed è in questo scontro eterno tra sogno e disincanto che Viale del tramonto continua a parlarci, forse più di quanto siamo disposti ad ammettere.
Norma e Joe. Due facce della stessa medaglia

Un altro elemento interessante del film, sul quale vale la pena soffermarsi, riguarda proprio i due protagonisti che, sebbene molto diversi fra loro, in realtà sono speculari nei rispettivi fallimenti. Entrambi disillusi e con un bagaglio di sogni infranti (Norma come attrice, Joe come scrittore); entrambi con una promettente carriera davanti stroncata dall’incapacità (o la riluttanza) di stare al passo con i tempi. Joe, in particolare, è una figura piuttosto ambigua che nella crisi creativa si aggrappa alle idee degli altri per sopravvivere: prima Norma, poi Betty.
Ciò avviene prima con Norma Desmond, dalla quale si fa anche mantenere, poi da una giovane e bella segretaria aspirante sceneggiatrice nella quale ritrova la passione perduta e la voglia di raccontare storie. La figura di Gillis si accosta bene a quella di Norma perché anche lei è ormai delusa dal mondo del cinema che l’ha dimenticata – anche se non sa farsene una ragione e non riesce ad andare avanti. Il risultato è che entrambi finiscono per chiudersi nella villa di Norma, lontano dal mondo esterno, in una casa che è diventata museo delle promesse infrante e preludio di una tragedia.
Una regia impeccabile

Ma non è solo grazie a un’ottima sceneggiatura (scritta da Billy Wilder con Charles Brackett) che Viale del tramonto è passato alla storia del cinema. Lo sguardo di Wilder in questo film è da manuale di regia. Non stiamo parlando di grandi virtuosismi di macchina, anzi, ma l’arte della regia sta anche nello sguardo, nel sapere dove mettere la macchina da presa – e questo Wilder lo sapeva bene. Il film si potrebbe assimilare a un racconto diviso per capitoli con un narratore onnisciente. I “capitoli” (ossia le sequenze, seppur complesse e ricche di avvenimenti) sono scanditi da dissolvenze in nero; le dissolvenze incrociate, invece, dividono una scena dall’altra.
Ma cosa c’è nei capitoli del racconto? Innanzitutto una voce narrante molto particolare che mai si era vista prima: quella di un morto.
Sì, perché Joe Gillis è morto quando ci racconta la sua storia e il film inizia con il suo cadavere nella piscina della villa di Norma Desmond. Cos’è successo? E perché Joe è stato ucciso? Sarà proprio lui a dirci tutto prima che i giornalisti inventino strane storie, come lui stesso dice. Qualche decennio dopo il 1950, precisamente nel 1999, Sam Mendes avrebbe fatto la stessa cosa con il protagonista del suo American Beauty. Non è un caso che diverse inquadrature siano dall’alto: la visione a 360 gradi è quella del fantasma che sta raccontando.
L’indimenticabile sguardo in macchina

Il senso di morte, di squallore e di fallimento aleggia per tutto il film: sapendo fin dall’inizio che il protagonista morirà, noi spettatori non possiamo fare altro che andare incontro all’inevitabile tragedia, rassegnati al fatto di non restare stupiti da nulla di nuovo. Ma è proprio qui che Wilder ci meraviglia ancora una volta con l’iconico finale del film: Norma Desmond scende la lunga scalinata della villa, si ferma davanti alla macchina da presa e la guarda, guarda noi mentre una dissolvenza la restituisce al mito.
Il finale di Sunset Boulevard è passato alla storia come uno dei più virtuosistici della filmografia di Wilder. Del resto, il regista ha sempre mascherato con una apparente neutralità stilistica la sottigliezza delle sue scelte registiche.
Questo è uno dei casi più evidenti. La scena di Norma Desmond che scende la scalinata guardando nella cinepresa è la migliore di tutto il film (insieme all’inquadratura iniziale del cadavere in piscina). Il personaggio si rivolge direttamente al pubblico e poi scompare in una nube che la rende ancora più eterea, assimilabile ad un fantasma. Viale del tramonto è un film di sguardi: quello del pubblico che guarda lo schermo, quello della diva che guarda in macchina e quello della stessa macchina da presa che si infiltra anche negli angoli più nascosti pur di arrivare alla verità.
Wilder fu accusato di aver sputato nel piatto dove mangiava. Il film aveva svelato ciò che è realmente il mondo del cinema: una fabbrica di sogni, ma anche di illusioni, pronta a produrre sempre di più e a scartare tutto ciò che non va più di moda. Quanti Joe Gillis e Norma Desmond ci sono oggi lì fuori? Quanti sogni si sono infranti?
Dopo 75 anni Viale del tramonto è invecchiato benissimo, raccontando una storia applicabile anche al presente: un racconto che sa ancora farci sognare, ma che ci ricorda che quando i sogni finiscono bisogna fare i conti con la realtà.